Licenziamento per uso eccessivo della connessione Internet aziendale
22 Settembre 2017
Massima
È controllo a distanza, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 4, l'attività che abbia ad oggetto la prestazione lavorativa e il suo esatto adempimento, restando esclusa dal campo di applicazione della norma quella che sia volta a individuare la realizzazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, idonei a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo della sua integrità e del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti. Il caso
Un'azienda ha irrogato ad un proprio dipendente, a seguito di procedimento ex art. 7 St. Lav., la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa per l'esorbitante numero delle connessioni effettuate (n. 47) ed della durata eccessiva (45 ore) delle medesime nei mesi di aprile e maggio 2013.
La Corte territoriale, escluso che la contestazione disciplinare non fosse tempestiva o sufficientemente specifica, anche in relazione alla specificazione della norma violata, ed escluso altresì che il provvedimento fosse stato comunicato oltre il termine stabilito dalla contrattazione collettiva per la conclusione del procedimento, dovendosi avere riguardo al momento di spedizione dell'atto, osservava, in primo luogo, come la dedotta violazione della normativa sulla riservatezza non potesse ritenersi attinente al caso di specie, posto che la società si era limitata a verificare l'esistenza di accessi indebiti alla rete ed i relativi tempi di collegamento, senza compiere alcuna analisi dei siti visitati dal dipendente durante la navigazione o della tipologia dei dati scaricati, né che si vertesse in materia di controllo a distanza della prestazione lavorativa.
Alla luce di quanto sopra, veniva confermata la sentenza gravata, essendo stato provato in giudizio come il comportamento posto in essere dal lavoratore fosse idoneo a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo della sua integrità e del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti. La questione
Nel caso di specie, non solo i fatti oggetto di addebito non risultavano in sé contestati e comunque emergessero dal dettaglio del traffico ma, oltretutto, il ricorrente, pur avendone l'onere, non aveva dimostrato, e prima ancora allegato, che la navigazione fosse avvenuta per motivi di lavoro: si era, pertanto, ad avviso della Corte di Appello, di fronte ad un utilizzo della dotazione aziendale per fini personali non sporadica o eccezionale ma, al contrario, sistematica, e ciò in considerazione del numero delle connessioni (47), della durata dell'accesso (complessivamente 45 ore) e della rilevante entità dei volumi di traffico; ne conseguiva la legittimità del provvedimento espulsivo adottato dalla Società, anche se - notava la Corte - non poteva configurarsi una giusta causa di recesso, in relazione all'assenza di precedenti, al fatto che la condotta illecita non aveva inciso sull'attività professionale e all'esiguità del danno sofferto dall'azienda, e la fattispecie richiedeva invece la conversione del recesso, così come intimato, in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Su tali premesse, e in parziale accoglimento del reclamo incidentale della società, il giudice di secondo grado, disposta la conversione, condannava la Società al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso, oltre accessori di legge. Le soluzioni giuridiche
In primo luogo, la Suprema Corte ha condiviso la lettura che il giudice di merito ha dato dell'art. 28 CCNL per il personale dipendente non dirigente delle imprese di assicurazione, nella parte in cui stabilisce che "qualora decida di adottare un provvedimento, l'Impresa lo comunicherà all'interessato entro i successivi 15 giorni oppure entro 15 giorni dal ricevimento delle eventuali difese scritte presentate dal lavoratore". Ad avviso della Cassazione, infatti, la previsione collettiva ha lo scopo, infatti, di contemperare l'interesse ad una rapida definizione del procedimento disciplinare con l'interesse ad una vera e adeguata ponderazione della sanzione e del contenuto giustificativo delle difese svolte, essendo dunque sufficiente che il provvedimento sia comunicato, anche se non ricevuto materialmente dal lavoratore, nei termini indicati dalla norma collettiva.
Anche il difetto di pubblicizzazione del codice disciplinare, ulteriore motivo utilizzato dal ricorrente per invalidare il procedimento disciplinare attivato dalla Società, viene rigettato dalla Suprema Corte, la quale ha richiamato il proprio orientamento secondo cui "l'onere di pubblicità del cosiddetto codice disciplinare, previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1, si applica al licenziamento disciplinare soltanto nei limiti in cui questo sia stato intimato per una delle specifiche ipotesi di comportamento illecito vietate e sanzionate con il provvedimento espulsivo da norme della contrattazione collettiva o da quelle validamente poste dal datore di lavoro entrambe soggette all'obbligo della pubblicità per l'esigenza di tutelare il lavoratore contro il rischio di incorrere nel licenziamento per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze - e non anche quando, senza avvalersi di una di queste specifiche ipotesi, il datore di lavoro contesti un comportamento che, secondo quanto accertato in fatto dal giudice del merito, integri una violazione di una norma penale, o sia manifestamente contrario all'etica comune, ovvero concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., poichè in tali casi il potere di licenziamento deriva direttamente dalla legge (art. 2119 c.c., e L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3): Cass. sez. lav., n. 14615/2000, Cass. sez. lav., n. 6134/2001; Cass. sez. lav., n. 23120/2004.
La Cassazione sottolinea inoltre come l'obbligo di diligenza previsto dall'art. 2104 c.c., costituendo una specificazione del principio generale di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, debba essere valutato con ampio e complessivo riguardo alla natura dell'attività esercitata, in particolare rilevandosi che il contenuto dell'obbligo si sostanzia non solo nell'esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa (diligenza in senso tecnico), ma anche nell'esecuzione di quei comportamenti accessori che si rendano necessari in relazione all'interesse del datore di lavoro ad un'utile prestazione (Cass. sez. lav., n. 3845/1992; più di recente, fra le molte: Cass. sez. lav., n. 12769/2000 e Cass. sez. lav., n. 7398/2010).
Allo stesso modo, viene disatteso dalla Suprema Corte ogni rilievo inerente la violazione della normativa in materia di tutela della riservatezza, in quanto non viene specificamente cesurata l'affermazione centrale del ragionamento della Corte territoriale, per la quale la possibilità di configurare, nella specie, una violazione della relativa normativa non sussiste, sul rilievo che "l'azienda non ha analizzato quali siti" il ricorrente "ha visitato durante la navigazione in Internet, né la tipologia di dati che ha scaricato, né infine se li ha salvati sul p.c.". In ogni caso, sottolinea la Cassazione, tale rilievo sarebbe comunque infondato, atteso che i dettagli del traffico, quali esclusivamente indicati nella lettera di contestazione disciplinare (data, ora, durata della connessione e importo del traffico), secondo l'accertamento compiuto sul punto dal giudice del merito, non costituiscono dati personali, non comportando alcuna indicazione di elementi riferibili alla persona dell'utente e di sue scelte o attitudini politiche, religiose, culturali, sessuali, rimanendo confinati in una sfera estrinseca e quantitativa che è di per sè sovrapponibile, senza alcuna capacità di individuazione, ad un numero indistinto di utenti della rete.
La Cassazione sottolinea inoltre come è controllo a distanza, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 4, l'attività che abbia ad oggetto la prestazione lavorativa e il suo esatto adempimento, “restando esclusa dal campo di applicazione della norma quella che sia volta a individuare la realizzazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, idonei a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo della sua integrità e del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti” (da ultimo Cass. sez. lav., n. 10955/2015). Osservazioni
Nel caso di specie, dunque, si osserva come la semplice reportistica sugli accessi Internet relativa a valori numerici (numero di accessi, durata, giorni di accesso), senza alcun approfondimento in merito al contenuto degli accessi ed ai siti visitati, non violi, da un lato, né la normativa in tema di dati personali, in quanto tali informazioni non forniscono alcuna indicazione di elementi riferibili alla persona dell'utente e ad i suoi orientamenti politici, religiosi, culturali o sessuali, né, dall'altra, la normativa in materia di controllo a distanza, essendo limitata a comportamenti illeciti che abbiano oggetto la tutela dell'integrità aziendale. |