Lavoro accessorio: evoluzione normativa e novità
21 Ottobre 2016
Quadro normativo
Il lavoro accessorio è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30 e disciplinato dagli articoli 70, 71, 72 e 73 del D.Lgs. 276/2003 (c.d. legge Biagi).
Con l'aggettivo “accessorio”, utilizzato forse impropriamente, si tende a delineare quelle tipologie di rapporto residuali rispetto alle forme tipiche di lavoro dipendente, autonomo occasionale e di carattere coordinato e continuativo. Difatti nell'accezione comune l'accessorietà si collega all'idea di “aggiuntivo” e si accompagna a qualcosa di principale mentre, nella fattispecie, il legislatore ha inteso regolamentare una serie di lavori a carattere discontinuo, occasionali, esercitati da soggetti talvolta privi di un altro impiego, inizialmente concepiti per sopperire ad esigenze delimitate in un arco temporale tendenzialmente breve e caratterizzate da un corrispettivo di ammontare determinato.
Ciò era già evidente nel contenuto dell' art. 4, comma 1, lettera d) della legge 14 febbraio 2003, n. 30 , che delegava il Governo alla disciplina di alcune tipologie di lavoro atipiche, identificando il lavoro accessorio in embrione con quelle attività " con particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro, da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, regolarizzabili attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa" .
Sebbene ab origine questa particolare tipologia di lavoro si presentasse ambigua e priva di connotati ben distinguibili, dal momento dell'entrata in vigore ad oggi, il ricorso al lavoro accessorio è cresciuto in maniera esponenziale, mentre la norma è stata oggetto di successive modifiche che hanno ampliato la platea dei destinatari e ritoccato i limiti economici fino a prevedere, recentemente, l'introduzione di obblighi procedurali più stringenti allo scopo di limitarne gli abusi.
Nato con l'intento di promuovere l'ampliamento dei livelli occupazionali e di sottrarre al sommerso quelle attività che per le loro peculiarità restavano sconosciute (si pensi ad esempio all'agricoltura nel particolare periodo della vendemmia, alle baby-sitter, alle lezioni private del doposcuola) senza tutela né copertura previdenziale, il lavoro accessorio è diventato ormai una realtà ben consolidata, tanto che gli ultimi dati forniti dall'INPS hanno evidenziato la vendita di oltre 84,3 milioni di buoni lavoro (voucher) nei soli primi sette mesi del 2016, con un incremento pari al 36,2 rispetto allo stesso periodo del 2015.
Il meccanismo alla base del lavoro accessorio, com'è noto, prevede la corresponsione di "buoni lavoro" (voucher) in cambio della prestazione richiesta. Il lavoratore riceve dal committente un numero di buoni, del valore nominale unitario pari a 10 euro a fronte dei quali il prestatore riceve 7,50 euro netti esenti da imposizione fiscale (1,30 euro vanno all'INPS, 0,70 euro all'INAIL, 0,50 euro al gestore del servizio) e che non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato.
In origine il lavoro accessorio era circoscritto ad una serie di attività e ad alcuni specifici settori, rivolto a soggetti a rischio di esclusione sociale ovvero non entrati nel mercato del lavoro o in procinto di uscirne. In particolare, l' art. 70 del D. Lgs. n. 276/2003 , come modificato dall' art. 22, decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 , tipizzava espressamente le categorie di lavoratori accessori prevedendo che rientrassero in tale ambito le attività di natura occasionale prestate da lavoratori domestici, i lavori di giardinaggio, di pulizia e di manutenzione degli edifici, di strade, parchi e monumenti, l'insegnamento privato supplementare, quelle svolte in manifestazioni sportive, culturali e caritatevoli o per lavori di emergenza e solidarietà, inoltre era previsto che tale strumento fosse limitato ad alcune categorie di lavoratori sulla base dell'età anagrafica, individuando quali destinatari i giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti ad un ciclo di studi e limitatamente a particolari periodi di vacanza, inoltre le attività stagionali svolte nel settore agricolo, quelle prestate nell'impresa familiare nei settori del commercio, del turismo e dei servizi ed infine la consegna porta a porta e la vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica.
Gli elementi innovativi di maggior rilievo si riscontrano dopo l'entrata in vigore della legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (c.d. riforma Fornero) che ha esteso l'utilizzo dei buoni lavoro a tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, confermando il carattere occasionale delle prestazioni ma superando l'elenco di attività previste dalla disciplina previgente in favore dell'introduzione di precisi limiti economici e quantitativi. Con riferimento ai voucher acquistati d alla data di entrata in vigore della norma citata, il 18 luglio 2012, fu previsto che il lavoro occasionale accessorio potesse essere svolto per ogni tipo di attività e da qualsiasi soggetto. Risultavano pertanto destinatari dello strumento in esame i disoccupati e gli inoccupati, i lavoratori autonomi o subordinati, sia full-time che part-time (unico elemento di incompatibilità era lo svolgimento di prestazioni di lavoro occasionale accessorio presso lo stesso datore di lavoro titolare del rapporto di lavoro dipendente), i pensionati e gli studenti, nonché i percettori di prestazioni a sostegno del reddito.
Nello specifico, la novità legislativa consisteva nella sostituzione integrale dell'articolo 70 e nella parziale modificazione dell' articolo 72 del D. Lgs. n. 276/2003 e successive modificazioni (sull'argomento si vedano anche le circolari del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali 18 luglio 2012, n. 18 e 18 gennaio 2013, n. 4). Il primo comma del novellato articolo 70 del Decreto, come modificato dall' articolo 1, comma 32 della legge n. 92/2012 definiva prestazioni di lavoro accessorio quelle attività lavorative di natura “meramente occasionale” che non davano luogo a compensi, complessivamente percepiti dal prestatore, superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti. Come successivamente specificato nella circolare n. 4/2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il rispetto del limite oggettivo di carattere economico, inteso per prestatore e non in capo al committente, definisce la linea di demarcazione tra legittimità e illegittimità del ricorso al lavoro occasionale di tipo accessorio. La medesima circolare specificava altresì che, fermo restando il limite dei compensi fissato in linea generale a 5.000 euro, le prestazioni di natura meramente occasionale svolte a favore di imprenditori commerciali o professionisti, non potessero comunque superare i 2.000 euro annui, con riferimento a ciascun committente. Si noti che i valori sono annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT relativo ai prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati rispetto all'anno precedente.
Con particolare riferimento al settore agricolo, le disposizioni di cui al comma 32 dell' articolo 1 della legge n. 92 /2012 stabilirono, nell'ambito dei limiti economici precedentemente indicati, la possibilità di ricorrere al lavoro occasionale accessorio per attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l'università ed alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all' articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubbli ca 26 ottobre 1972, n. 633 ( ossia aventi un volume d'affari inferiore a 7.000 eu ro nell'anno solare) che potevano utilizzare in qualunque tipologia di lavoro agricolo qualsiasi soggetto, purché non fosse stato iscritto l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli .
Riguardo alla categoria degli studenti, l'INPS con circolare n. 49/2013, contrariamente alla completa liberalizzazione entro il limite di 5.000 euro per anno solare ed agli indirizzi forniti dal Ministero del lavoro con circolare n. 18/2012 e con circolare n. 4/2013, ha limitato quanto previsto dalla legge confermando la previgente disciplina, pertanto al fine di consentire l'assolvimento dell'obbligo scolastico, si consentiva l'impiego di tali soggetti, iscritti presso un istituto scolastico di qualunque ordine e grado, durante i periodi di vacanza, nel rispetto delle indicazioni già fornite con circolare INPS 1 dicembre 2008, n. 104 . In tal senso venivano considerati periodi di vacanza quello natalizio (periodo compreso dal 1 dicembre al 10 gennaio dell'anno successivo), il periodo pasquale (dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell'Angelo) e quello estivo (dal 1 giugno al 30 settembre). Si aggiunga che era consentito agli studenti regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, l'impiego nelle giornate del sabato e della domenica e, per quelli universitari di età inferiore ai 25 anni, la possibilità di svolgere lavoro occasionale accessorio in qualunque periodo dell'anno.
Tra i prestatori di lavoro accessorio sono inclusi i titolari di trattamenti di anzianità o di pensione anticipata, pensione di vecchiaia, pensione di reversibilità, assegno sociale, assegno ordinario di invalidità e pensione agli invalidi civili nonché tutti gli altri trattamenti compatibili con lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa. Per effetto del richiamo indirettamente operato dal comma 3, secondo periodo dell' articolo 72 , D. L gs. n. 276/03 , il quale prevede che il “compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio” anche i disoccupati e gli inoccupati rientrano tra i prestatori di lavoro accessorio.
Proseguendo nell'elencazione dei prestatori che possono accedere a questa particolare tipologia di lavoro, la legge 7 agosto 2012 n. 134 di conversione del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, all' articolo 46 bis nel modificare il comma 32 lett. a) dell' articolo 1, della legge 28 giugno 2012 n. 92 confermava per l'anno 2013 la possibilità di effettuare prestazioni di lavoro accessorio per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, aggiungendo i seguenti periodi: “Per l'anno 2013 prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali e nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito”. Il limite dei 3.000 euro netti (e non 5.000 come per gli altri percettori) era riferito al singolo lavoratore e pertanto rappresentava il limite annuo di compensi, inteso come sommatoria delle prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro.
Per effetto del nuovo comma 4 dell'art. 70, si prevedeva inoltre l'inclusione dei compensi da lavoro accessorio ai fini della determinazione del reddito complessivo necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno per stranieri, fermo restando quanto previsto nella circolare INPS n. 44/2009 secondo cui, per i cittadini extracomunitari, il solo reddito da lavoro occasionale accessorio, in considerazione della natura occasionale delle prestazioni e dei limiti reddituali richiesti per l'ottenimento del titolo di soggiorno, pari all'importo annuo dell'assegno sociale, non è utile ai fini del rilascio o rinnovo dei titoli di soggiorno per motivi di lavoro.
In riferimento ai committenti imprenditori commerciali e professionisti (a prescindere dall'appartenenza ad un ordine professionale), le novità del 2012 hanno inoltre stabilito che, fermo restando il limite economico dei 5.000 euro per prestatore nell'anno solare, le prestazioni di lavoro accessorio svolte in favore di tali categorie non possano superare i 2.000 euro annui in relazione a ciascun committente. Si noti che per “imprenditori commerciali” si intendono i soggetti appartenenti alle categorie disciplinate dall' art. 2082 e seguenti del codice civile , con esclusione delle imprese agricole, oggetto di separata disciplina nel secondo comma dell' art. 70 del D. Lgs. n. 276/2003 .
Il successivo comma 3 dell' art. 70 art icolo 230-bis del codice civile ed elimina la disposizione che prevedeva la possibilità per tali imprese di utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore a 10.000 euro per anno fiscale, pertanto dall'entrata in vigore della riforma Fornero anche l'impresa familiare soggiace alla disciplina generale, potendo ricorrere al lavoro occasionale per lo svolgimento di ogni tipo di attività, nel rispetto dei soli limiti economici previsti dalla nuova normativa.
Ancora per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 , l' articolo 72 D. Lgs. n. 276/2003 contempla un'importante novità, in considerazione della nuova connotazione che assumono i c.d. voucher. Il citato art. 72 ha infatti previsto che i “beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati” pertanto, dopo anni di indeterminatezza, viene previsto ex lege un parametro commisurato alla durata della prestazione, oltre alla numerazione ed alla datazione di ogni singolo buono lavoro.
Con
c , il Ministero del Lavoro specifica che gli interventi sull'art. 72 sono volti a consentire una verifica certa in merito al corretto utilizzo dell'istituto e giustifica le variazioni dei criteri di quantificazione del compenso del lavoratore accessorio evidenziando che da “una negoziazione in relazione al valore di mercato della prestazione, passa ad un ancoraggio di natura oraria parametrato alla durata della prestazione stessa” in modo da evitare che “un solo voucher, attualmente del valore di 10 euro, possa essere utilizzato per remunerare prestazioni di diverse ore”. Rimane ferma la possibilità di remunerare una prestazione lavorativa in misura superiore, riconoscendo “per un'ora di lavoro anche più voucher”.
La medesima circolare fornisce poi un'ulteriore indicazione operativa e introduce un nuovo aspetto dai potenziali riflessi sanzionatori, laddove specifica che, in materia di comunicazione preventiva della prestazione lavorativa, il riferimento alla “data”, di cui al novellato articolo 72, “non può che implicare che la stessa vada intesa come un arco temporale di utilizzo del voucher non superiore a 30 giorni decorrenti dal suo acquisto”. Tale aspetto viene successivamente ribadito con successiva lettera circolare Ministero lavoro 18 febbraio 2013, n. 3439 con cui il Ministero del Lavoro interviene nuovamente sulla materia precisando che nelle more delle modifiche delle procedure, anche telematiche, da parte dell'INPS, ai fini dell'espletamento delle verifiche da parte del personale ispettivo sulla corretta procedura di utilizzo dei buoni lavoro ed in attesa del completamento da parte dell'Istituto del sistema di monitoraggio dei compensi ricevuti dai singoli prestatori nel corso dell'anno, il committente può richiedere al prestatore una dichiarazione, ai sensi dell' articolo 46 comma 1, lett. o) D.P.R. n. 445/2000 , in ordine al non superamento degli importi massimi previsti. In presenza dell'avvenuta comunicazione preventiva della prestazione, l'acquisizione della dichiarazione costituisce elemento necessario e sufficiente ad evitare, in capo al datore di lavoro, eventuali conseguenze di carattere sanzionatorio.
In linea con il precedente orientamento espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella citata circolare 18 gennaio 2013, n. 4, che definiva “poco significativa la circostanza secondo cui, dal punto di vista lessicale, l'istituto che faceva prima riferimento a “prestazioni lavorative di natura occasionale” oggi viene identificato come una attività “meramente occasionale”, la l egge 9 agosto 2013, n. 99 che ha convertito il decreto legge n. 76/2013 , modifica la natura del lavoro accessorio eliminando il riferimento alla “natura meramente occasionale” lasciando il rapporto ancorato ai soli limiti economici legati al compenso (5.000 e 2.000) e prescindendo dalla tipologia di attività svolta.
Successivamente, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 ha introdotto alcune novità di rilievo che attengono ai limiti economici delle prestazioni di lavoro accessorio, alle modalità di acquisto dei voucher ed alla comunicazione telematica di inizio della prestazione lavorativa.
In particolare, l' art. 48 D.Lgs. n. 81/2015 del citato decreto prevede l'innalzamento dei limiti economici a 7.000 euro netti (rivalutabili annualmente), nel corso di un anno civile per la generalità dei committenti e conferma il limite di 2.000 euro nei confronti di ogni committente imprenditore o professionista; il successivo art. 49 ha disposto che l'acquisto dei voucher da parte dei committenti imprenditori e liberi professionisti sia effettuato esclusivamente con modalità telematiche (c.d. procedura voucher telematico INPS – tabaccai aderenti convenzione Fit-INPS – servizio internet banking Intesa-SanPaolo – banche popolari abilitate), mentre agli altri committenti è consentito l'acquisto sia in modalità telematica che attraverso gli uffici postali. A tale proposito giova rammentare che per effetto di apposita convenzione tra l'INPS e la Federazione Italiana Tabaccai (FIT), i buoni acquistati presso le tabaccherie sono considerati emessi con modalità telematica.
L'INPS è intervenuto a fare il punto sulle novità con circolare Inps 12 agosto 2015, n. 149 fornendo indicazioni in merito alle modalità di acquisto dei voucher e alla comunicazione telematica della prestazione di lavoro accessorio. Nello specifico, l'istituto ricorda che il limite massimo del compenso per lavoro accessorio è stato elevato da 5.000 euro a 7.000 euro con riferimento alla totalità dei committenti (importo lordo di 9.333 euro), mentre rimanefissato a 2.000 euro (2020 per l'anno 2015, per un importo lordo di 2.693 euro) il limite per le prestazioni rese nei confronti del singolo committente imprenditore o professionista; per quanto riguarda i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, viene definitivamente confermata la possibilità di effettuare prestazioni di lavoro accessorio, in tutti i settori produttivi, nel limite complessivodi 3.000 euro (4.000 euro lordi).
L' art. 49 D.Lgs. n. 81/2015 , comma 3, ha inoltre previsto particolari obblighi di comunicazione preventiva che saranno oggetto di specifica trattazione in uno dei paragrafi successivi. Ambito soggettivo: utilizzatori e prestatori
Nell'individuazione dei soggetti legittimati all'utilizzo del lavoro accessorio operiamo una distinzione tra soggetti privati e soggetti in possesso di partita Iva. Per questi ultimi e con particolare riferimento ai committenti imprenditori è opportuno precisare che, come evidenziato in precedenza, la norma del 2003, sebbene più volte modificata, nella sua ultima versione aveva raggiunto una formulazione sostanzialmente equivalente a quella contenuta nell' art. 48 del D. Lgs. n. 81/2015 . Difatti, nella norma previgente il limite pari a 2.000 euro (2.020 rivalutati nel 2015) era applicabile ai "committenti imprenditori commerciali o professionisti". La norma del 2015, pur confermando il limite economico, ha tuttavia eliminato l'aggettivo "commerciale". Sul punto, l'INPS con messaggio n. 8628 del 2 febbraio 2016 ha ritenuto che tale diversa formulazione rispetto a quanto previsto dal vecchio impianto normativo non fosse significativa ai fini dell'individuazione dei soggetti imprenditori. Tale orientamento è rinvenibile anche nella circolare 18/2012 del ministero del Lavoro, infatti, "l'espressione “imprenditore commerciale” vuole in realtà intendere qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che opera su un determinato mercato, senza che l'aggettivo “commerciale” possa in qualche modo circoscrivere l'ambito settoriale dell'attività d'impresa alle attività di intermediazione nella circolazione dei beni".
Ne deriva che, come già evidenziato nelle pagine precedenti, l'espressione "imprenditori" deve intendersi comprensiva di tutte le categorie disciplinate dall' articolo 2082 c.c. e seguenti del codice civile, addivenendo in tal modo all'individuazione di una serie di soggetti che, pur operando con partita Iva e/o codice fiscale numerico, non sono da considerare imprenditori e, dunque, non sono soggetti alle limitazioni anzidette.
A tale proposito l'INPS ha individuato una serie di soggetti, tra cui i committenti pubblici e le ambasciate, i partiti politici ed i gruppi parlamentari, le associazioni sindacali e quelle senza scopo di lucro, le chiese o associazioni religiose, le fondazioni che non svolgono attività d'impresa, i condomini, le associazioni e società sportive dilettantistiche, le associazioni di volontariato ed i corpi volontari tra i quali la protezione civile nonché i comitati provinciali e locali della Croce Rossa, Gialla, Verde e Azzurra, Avis.
Si ribadisce che in mancanza di uno specifico riferimento all'impresa familiare, quest'ultima rientra nella disciplina generale e pertanto valgono le medesime disposizioni previste per i committenti imprenditori che si sostituiscono al precedente limite dei 10.000 euro.
Per quanto riguarda i professionisti l'INPS fa espresso richiamo alla definizione contenuta nell'art. 53 comma 1 del Testo unico delle imposte sui redditi che definisce come redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio, abituale ancorché non esclusivo, di arti e professioni. La norma trova applicazione nei riguardi sia degli iscritti agli ordini professionali, anche assicurati presso una cassa diversa da quella del settore specifico dell'ordine, sia dei titolari di partita Iva, non iscritti alle casse, ed assicurati all'INPS presso la gestione separata di cui all' articolo 2, comma 26, legge n. 335/1995 .
È bene sottolineare che il ricorso al lavoro accessorio è ammesso solo per regolare il rapporto diretto tra il prestatore e l'utilizzatore finale, non è invece consentito il ricorso a tale tipologia per svolgere prestazioni a favore di terzi quali, ad esempio, prestazioni in somministrazione e quelle di appalto di opere o servizi, fatte salve specifiche ipotesi da individuare con decreto del Ministero del lavoro.
Tra i prestatori si annoverano i percettori di trattamenti pensionistici di anzianità o di vecchiaia, di reversibilità, assegno sociale, assegno ordinario di invalidità e pensione agli invalidi civili e comunque di qualunque trattamento compatibile con lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa.
Possono essere prestatori di lavoro accessorio gli studenti, ovvero i giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l'Università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado, nei periodi di vacanza. Sul punto si ricorda che qualora dalla prestazione derivi l'esposizione dei minori ad attività a rischio, il datore di lavoro è tenuto a richiedere il certificato medico di idoneità al lavoro.
Gli studenti possono effettuare prestazioni di lavoro accessorio anche il sabato e la domenica in tutti i periodi dell'anno, oltre che nei periodi di vacanza e compatibilmente con gli impegni scolastici. Oltre alle categorie appena citate, possono prestare lavoro accessorio i percettori di integrazioni salariali o di sostegno al reddito, i titolari di indennità di disoccupazione Naspi, Dis-Coll, disoccupazione speciale per l'edilizia o per l'agricoltura, i minorenni che abbiano compiuto 16 anni, previa autorizzazione dei genitori, o di chi esercita la patria potestà, i lavoratori in mobilità, i lavoratori a tempo pieno o part-time, nell'ambito di qualsiasi settore produttivo, tenendo in debita considerazione che il lavoro occasionale non è compatibile con lo status di lavoratore subordinato se impiegato presso lo stesso datore di lavoro titolare del contratto di lavoro dipendente, gli inoccupati, i lavoratori autonomi ed i lavoratori stranieri in possesso di un permesso di soggiorno che consenta lo svolgimento di attività lavorativa, compreso quello per motivi di studio.
Il Ministero del lavoro ha inoltre chiarito con interpello n. 32/2015 che è possibile fare ricorso al lavoro accessorio nel settore marittimo. Ricordiamo che il lavoro marittimo è disciplinato da una normativa speciale prevista nel Codice della navigazione e, per la nautica da diporto, anche dall'apposito Codice di cui al decreto legislativo 18 giugno 2005, n. 171 . Si sottolinea che il Codice della nautica da diporto all'art. 49 bis, ha previsto il c.d. “noleggio occasionale” per uso non commerciale, per il quale è espressamente prevista, al comma 2, la possibilità di utilizzo di prestazioni di lavoro accessorio nel caso in cui il conduttore non provveda direttamente alla conduzione dell'imbarcazione. Il Ministero del lavoro ritiene ammissibile il ricorso al lavoro accessorio anche in ipotesi diverse dal “noleggio occasionale” con riferimento alle imbarcazioni o navi da diporto a scopi non commerciali, fermi restando evidentemente gli altri requisiti previsti in capo all'effettivo conduttore del mezzo. Il lavoro accessorio è altresì consentito per lo svolgimento dell'attività di maestro di sci, sempre che tale attività sia svolta, con i dovuti titoli abilitanti e rispetti i parametri imposti dall' art. 48 del D. Lgs. n. 81/2015 .
Ai dipendenti pubblici è preclusa la possibilità di svolgere lavoro accessorio in mancanza della preventiva richiesta di autorizzazione all'amministrazione di appartenenza.
Ma quali sono i vantaggi legati all'utilizzo del lavoro accessorio?
Innanzitutto va evidenziato che il committente può beneficiare di prestazioni nella totale legalità, con copertura assicurativa INAIL per eventuali incidenti sul lavoro, senza dover stipulare alcun tipo di contratto né vincoli di assunzione, senza dover effettuare la comunicazione anticipata online al Centro per l'Impiego e senza dover effettuare scritturazioni sul Libro unico del lavoro.
Da parte del prestatore, la possibilità di integrare le entrate attraverso prestazioni il cui compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato fruendo altresì dell'accantonamento previdenziale presso l'INPS ed alla copertura assicurativa presso l'INAIL, totalmente cumulabile con i trattamenti pensionistici.
Lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio, tuttavia, rispetto al lavoro subordinato, preclude al lavoratore il diritto a percepire alcune prestazioni a sostegno del reddito erogate dall'INPS (NASpI, maternità e congedo parentale, malattia, assegni per il nucleo familiare), inoltre il compenso percepito attraverso i voucher, pur essendo fiscalmente esente, va indicato nella DSU per il rilascio dell'ISEE.
Il costo sostenuto per le prestazioni di lavoro accessorio è inoltre interamente deducibile a fini IRES e IRPEF.
Nella pratica quotidiana, il rapporto di lavoro accessorio, sempre nel rispetto dei limiti economici, può bypassare il contratto di lavoro dipendente con apposizione del patto di prova, consentendo in tal modo al committente di testare il lavoratore al fine di valutare l'opportunità di una successiva assunzione.
Ulteriore vantaggio per l'utilizzatore risiede nella mancata computabilità dei prestatori di lavoro accessorio, nel calcolo dei limiti numerici previsti per l'applicazione di particolari normative in materia di lavoro, tra cui, a titolo esemplificativo, quella per il collocamento obbligatorio.
Tra gli svantaggi rileviamo l'indeducibilità ai fini IRAP del costo sostenuto per le prestazioni di lavoro accessorio, ed il rischio di conversione del rapporto, con applicazione della maxisanzione prevista per i casi di lavoro irregolare oltre alla nuova sanzione prevista D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185 correttivo del Jobs Act per la violazione degli obblighi concernenti la comunicazione preventiva.
Ricordiamo inoltre che, secondo quanto disposto dall' art. 20, decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 il lavoratore accessorio è equiparato ai lavoratori subordinati per quanto concerne la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, qualora il committente sia un imprenditore o un professionista. In questi casi il committente è tenuto al rispetto delle norme in materia di sorveglianza sanitaria, a fornire al prestatore adeguata formazione e dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla sua attività.
Negli altri casi si applicano esclusivamente le tutele previste per il lavoro autonomo, escludendo comunque del tutto dall'applicazione di tali norme i piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l'insegnamento privato supplementare e l'assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.
I buoni si possono riscuotere presso gli uffici postali, le tabaccherie convenzionate e gli sportelli bancari, dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro accessorio, per un importo massimo di 1.500 euro al giorno e 500 euro come limite per ogni singola operazione di riscossione.
Se i buoni sono stati acquistati presso l' INPS , si possono riscuotere presso gli uffici postali entro 2 anni dal giorno dell'emissione, se invece sono acquistati presso letabaccherie , si possono riscuotere presso le tabaccherie abilitate entro 1 anno dal giorno dell'emissione. I tabaccai convenzionati espongono un apposito logo “qui Inps" in alternativa è possibile consultare il sito web dell'istituto per interrogare il servizio che consente di individuare le tabaccherie autorizzate digitando semplicemente il cap e il Comune al seguente link: http://serviziweb.tabaccai.it/voucherinps/ .
I buoni lavoro acquistati presso le banche si possono riscuotere solo all'interno del medesimo circuito bancario, entro 1 anno dal giorno dell'emissione, dopo 24 ore dalla fine della prestazione di lavoro accessorio mentre quelli acquistati presso gliuffici postali sono monetizzabili presso i medesimi uffici, dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro, entro 2 anni dal giorno dell'emissione.
I buoni lavoro telematici possono invece essere riscossi tramite Inps Card (carta prepagata di Poste Italiane sulla quale è possibile accreditare la pensione) e con bonifico domiciliato, da incassare presso gli uffici postali. Il lavoratore, per incassare i buoni, deve esibire carta d'identità e codice fiscale. Effettuato il pagamento, viene rilasciata un ricevuta riepilogativa di tutti i voucher che sono stati pagati al prestatore. Qualora sorgano delle problematiche sul pagamento, il lavoratore deve rivolgersi alla sede INPS.
I voucher sono di proprietà del lavoratore, questi non può delegare il datore di lavoro, né altre persone ad effettuare l'incasso. Obblighi e procedure per i committenti
Mentre per il committente privato non vi sono particolari complessità procedurali, il committente titolare di partita Iva, sia esso ditta individuale o società, deve innanzitutto acquistare i buoni lavoro. A tale riguardo ricordiamo che l'utilizzatore dotato di partita Iva, è tenuto ad inviare all'INPS, preventivamente, un'apposita delega (modello SC53). Il modello si compone di due pagine e deve essere compilato indicando i dati del committente e della persona fisica delegata ad operare per le procedure di rilascio dei buoni che potrebbe essere anche il medesimo soggetto legale rappresentante, amministratore ovvero un suo delegato. L'utilizzo dei buoni lavoro deve essere preceduto da una apposita fase di attivazione telematica presso l'INPS, distinta sulla base del canale di acquisto prescelto e consultabile all'apposita pagina del sito web dell'Istituto https://servizi.inps.it/servizi/poa/form/defaultinternet.aspx
Tramite le procedure INPS il committente potrà anche monitorare il superamento dei limiti economici in relazione ai rapporti attivati.
Il decreto legislativo 24 settembre 2016, n. 185 , ha introdotto una nuova versione del comma 3 dell' art. 49 del D. Lgs. n. 81/2015 introducendo nel nostro ordinamento un nuovo adempimento che garantisca la piena tracciabilità dei voucher per il lavoro accessorio, al fine di evitare ogni possibile abuso dello strumento. I committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono obbligati, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale del nuovo Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l'ora iniziale e finale della prestazione. La locuzione “almeno 60 minuti prima” significa che l'utilizzatore può comunicare anche con ampio anticipo la prestazione rispetto al momento in cui essa avrà inizio, ma non oltre un'ora dall'inizio (esempio: per una prestazione che inizia alle ore 19,00 del sabato il termine ultimo per effettuare la comunicazione sarà alle ore 18,00 del medesimo giorno ma l'utilizzatore potrebbe decidere di inviarla anche nei giorni precedenti).
Per gli imprenditori agricoli è previsto l'obbligo di comunicare gli stessi dati, con i medesimi tempi e con le medesime modalità ma con riferimento ad un "arco temporale non superiore a tre giorni" .
La nuova disposizione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 235 del 7 ottobre 2016 ed entrata in vigore il giorno successivo, ha destato molte perplessità proprio in relazione alle modalità operative ed agli indirizzi a cui destinare la comunicazione obbligatoria.
Con circolare del 17 ottobre 2016, n. 1, il nuovo Ispettorato Nazionale del Lavoro ha diramato le prime indicazioni per adempiere al nuovo obbligo, precisando le modalità "condivise" con il Ministero del lavoro e fornendo un elenco di indirizzi di posta elettronica creati ad hoc per ogni sede provinciale dell'ispettorato. In realtà le prime disposizioni non comprendono le regioni a statuto speciale e per qualche strano motivo nell'elenco contenente gli indirizzi email mancano alcune sedi provinciali dell'ispettorato (es. Rieti e Isernia).
Da un primo esame della circolare ed in attesa di ulteriori chiarimenti in merito ai vari aspetti della procedura, anche sanzionatori, riscontriamo che non è richiesto l'uso della posta elettronica certificata e che la comunicazione deve essere effettuata nel testo del messaggio poiché, come si legge testualmente nella circolare "le e-mail dovranno essere prive di qualsiasi allegato", pertanto non vi sono particolari modelli di comunicazione da compilare ma è obbligatorio inserire nell'oggetto della e-mail sia il codice fiscale che la ragione sociale del committente. In merito al primo aspetto, al momento l'unica modalità per adempiere alla nuova comunicazione è la posta elettronica "ordinaria" e la mancata previsione di indirizzi di posta elettronica certificata (PEC) ha colto di sorpresa buona parte degli operatori e dei professionisti del settore, in quanto la posta elettronica è notoriamente priva di valore legale e facilmente alterabile, anche attraverso artifici elettronici che permettono di modificare data e ora dei terminali o l'attestazione di avvenuto invio che, per espressa indicazione della citata circolare, rappresenta il mezzo di prova da esibire qualora il committente subisca un accesso ispettivo.
Tra i punti critici si rileva inoltre l'assenza di esplicite indicazioni in merito alla possibilità di inviare comunicazioni "multiple" vale a dire che contengano i dati di più lavoratori in relazione al medesimo committente, ma la disposizione di prassi non accenna neppure alla possibilità di inviare una comunicazione unica contenente distinte prestazioni per il medesimo lavoratore. Sembrerebbe d'obbligo, a questo punto, inviare una comunicazione singola ed individuale per ciascuna prestazione giornaliera di lavoro accessorio, ciò realizzerebbe indubbiamente la ratio della norma, di contrasto all'utilizzo distorto ed agli abusi che hanno caratterizzato l'istituto negli ultimi anni ma comporterebbe l'inutile duplicazione di adempimenti a cui sarebbe possibile ottemperare in maniera più snella mediante un'unica comunicazione, realizzando in eguale maniera la ratio della disposizione, senza alcun intralcio all'attività di controllo. A tale proposito la stessa circolare prescrive che la comunicazione "dovrà riguardare ogni singolo lavoratore" ma non prevede alcun limite all'inserimento di più lavoratori in un'unica e-mail giornaliera, pertanto riteniamo che ciò sia possibile, purché per ciascun lavoratore e per ciascuna prestazione, si indichino in maniera distinta il luogo, la data di inizio lavoro, l'ora di inizio e di fine dello stesso. Si ricorda che per il settore agricolo è prevista la comunicazione di un arco temporale non superiore a tre giorni. La circolare sottolinea che resta ferma la dichiarazione di inizio attività da parte del committente già prevista nei confronti dell'INPS (attivazione), pertanto specifica in modo netto che il nuovo adempimento è di carattere aggiuntivo e non sostituisce il precedente. Proprio su questo punto è opportuno fare qualche riflessione. In merito all'obbligatorietà della comunicazione preventiva all'INPS necessaria per l'attivazione delle prestazioni di lavoro accessorio, si devono ricordare le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro con la circolare 12 novembre 2010, n. 38, in tema di maxisanzione per il lavoro sommerso, sulla base dell' art. 4 della legge n. 183/2010 .
Con il previgente art. 49, terzo comma, del D. Lgs. n. 81/2015 e fino all'introduzione della nuova comunicazione all'Ispettorato del lavoro, nei casi in cui gli organi ispettivi avessero rilevato la mancanza delle comunicazione preventiva, gli stessi avrebbero comminato, a committenti imprenditori e professionisti, la c.d. "maxisanzione" prevista per il lavoro irregolare, poiché la medesima comunicazione rappresentava l'unico adempimento obbligatorio idoneo a comprovare ed a formalizzare la regolarità del rapporto, per effetto della mancata attuazione di un sistema che permettesse la comunicazione telematica alla DTL competente per territorio. In concreto, i committenti hanno continuato ad operare sulla base delle istruzioni fornite dall'INPS con la circolare n. 177/2013 trasmettendo con modalità telematica all'Istituto previdenziale le comunicazioni di inizio attività e le eventuali variazioni, indipendentemente dal canale di acquisto prescelto. L'ulteriore adempimento ora introdotto dalle modifiche apportate all' art. 49, terzo comma, del D. Lgs. n. 81/2015 ad opera del D. Lgs . n. 185/2016 muta gli scenari ed introduce una nuova sanzione amministrativa da 400 euro a 2.400 euro per ogni lavoratore, per le violazioni (omissioni o comunicazioni difformi e/o prive dei contenuti essenziali previsti dalla norma) al nuovo obbligo di comunicazione preventiva all'Ispettorato. Orbene, la circolare n. 1/2016 dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, dopo aver ribadito che la nuova sanzione amministrativa non è diffidabile, chiarisce che l'applicazione della "maxisanzione" potrà avvenire solo qualora manchino entrambe le comunicazioni, eliminando il carattere di centralità della comunicazione preventiva all'INPS.
Riepilogando gli elementi essenziali e le caratteristiche della comunicazione ricordiamo che essa deve essere predisposta attraverso un messaggio di posta elettronica da inviare ad uno degli indirizzi previsti nell'allegato alla citata circolare n. 1/2016 e deve contenere obbligatoriamente, nell'oggetto del messaggio, sia il codice fiscale che la ragione sociale del committente; deve essere priva di qualunque allegato e riportare i dati del committente (dati anagrafici o codice fiscale), il luogo della prestazione, il giorno di inizio della prestazione, l'ora di inizio e di fine della prestazione (per gli imprenditori agricoli la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3 giorni).
Anche le eventuali modifiche o integrazioni delle comunicazioni già trasmesse devono essere inviate non oltre 60 minuti prima dell'attività a cui si riferiscono.
I committenti devono conservare copia delle e-mail trasmesse al fine di comprovare l'avvenuto adempimento e semplificare l'attività di verifica da parte del personale ispettivo.
L'Ispettorato Nazionale del Lavoro, in una sorta di "mea culpa" seppur non escludendo espressamente l'applicazione di sanzioni, prevede di tenere "in debito conto" il quadro ancora incompleto ed il tempo intercorso in assenza di indicazioni operative tra la data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 185/2016 (8 ottobre 2016) e quella di pubblicazione della citata circolare INL (17 ottobre 2016), riservandosi altresì di fornire ulteriori indicazioni sulla disciplina sanzionatoria dopo un primo monitoraggio dell'applicazione delle nuove disposizioni, senza però specificare i tempi di tale monitoraggio.
Alla data di emanazione della predetta circolare non è ancora possibile utilizzare il canale di trasmissione a mezzo SMS previsto dalla norma, in attesa della creazione di un'infrastruttura tecnologica che permetta di semplificare l'adempimento e preveda, eventualmente, nuove modalità di comunicazione. Ricordiamo che non sono tenuti ad effettuare la comunicazione preventiva all'Ispettorato Nazionale del Lavoro i committenti non imprenditori né professionisti.
In tema di sanzioni giova ricordare che il superamento dei limiti economici previsti per il ricorso al lavoro accessorio, comporta la “trasformazione” del rapporto contestato in quella che, secondo quanto riportato nella circolare INPS n. 49/2013 costituisce “ forma comune di rapporto di lavoro ” vale a dire in un rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato, con l'applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative.
Naturalmente tale previsione si riferisce alle ipotesi in cui le prestazioni siano rese nei confronti committenti che operino in qualità di imprenditori commerciali o di liberi professionisti, tenendo conto dei consueti indici di subordinazione, tra i quali il Ministero del Lavoro ricorda quello concernente la fungibilità delle prestazioni di lavoro accessorio con prestazioni rese da altro personale già dipendente dell'imprenditore o del professionista.
Da ultimo, la circolare non lo specifica ma si ritiene applicabile il provvedimento di sospensione dell'attività ex art. 14, D. Lgs. n. 81/2008 qualora, in assenza di comunicazione preventiva, il personale ispettivo rilevi un numero di lavoratori accessori in misura superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro. In conclusione
Molte sono le criticità in ordine al particolare sistema del lavoro accessorio di cui si è fin qui discusso.
Va evidenziato che lo strumento permette la regolarizzazione di rapporti di lavoro che fino all'introduzione del lavoro accessorio nel nostro ordinamento, erano privi di regolamentazione e restavano nell'alveo dell'illegalità. Abbiamo visto, infatti, che il lavoro accessorio è nato principalmente per arginare il fenomeno del lavoro irregolare, di contro riscontriamo che fino ad oggi è stato spesso utilizzato per sostituire i contratti a tempo determinato ed indeterminato ovvero per monetizzare straordinari o altre prestazioni che in tal modo vengono sottratte alla normale contribuzione da lavoro dipendente e ad imposizione fiscale per il lavoratore. I notevoli abusi a cui si presta questo particolare strumento, in primis la denuncia di qualche ora di lavoro a fronte di veri e propri rapporti a tempo pieno, ha portato il legislatore ad introdurre obblighi ben più stringenti che, attraverso la comunicazione preventiva e telematica, dovrebbero consentire una drastica riduzione delle più comuni pratiche distorsive. Da ultimo, va rilevato che il ricorso al lavoro accessorio, sebbene permetta di finanziare il sistema previdenziale con un consistente gettito contributivo, non sembra garantire un trattamento pensionistico che, ad oggi, resta oggettivamente incerto. Il trattamento previdenziale difatti è calcolato con il sistema contributivo ed è prevista una retribuzione minima al di sotto della quale non si procede ad accredito contributivo.
In attesa di ulteriori disposizioni in merito ai nuovi obblighi di comunicazione, è ragionevole pensare che a breve assisteremo all'avvio di una fase di contenzioso successiva ai primi controlli sulla correttezza del nuovo adempimento a causa degli aspetti controversi ad esso correlati. |