L’actio iudicati nella riscossione coattiva dei crediti degli enti previdenziali
22 Febbraio 2017
Il mancato o ritardato versamento, nei termini stabiliti dalla legge, dei contributi previdenziali, tra cui si annoverano anche i premi dovuti per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, consente agli enti previdenziali di procedere al recupero, avvalendosi della riscossione coattiva.
In particolare, a partire dal 1° ottobre 1999, “i contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali non versati dal debitore nei termini previsti da disposizioni di legge o dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici sono iscritti a ruolo, unitamente alle sanzioni ed alle somme aggiuntive calcolate fino alla data di consegna del ruolo al concessionario, al netto dei pagamenti effettuati spontaneamente dal debitore” (art. 24, comma 1, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46).
L'ente previdenziale iscrive a ruolo i contributi o premi non versati e poi lo consegna all'ente esattore, che procede all'esecuzione forzata mediante formazione di una cartella di pagamento, che viene notificata al debitore, il quale può adempiere l'obbligo in essa contenuto nel termine di sessanta giorni, onde evitare l'esecuzione forzata, oppure può proporre opposizione nel termine perentorio di quaranta giorni decorrenti, anch'essi, dalla notifica della cartella di pagamento (art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999).
La Corte Costituzionale, con la sentenza 29 marzo 2007, n. 111 (in Giur. cost., 2007, 2; in Dir. rel. ind., 2008, 2, 521 (s.m.)), ha respinto i dubbi di legittimità costituzionale prospettati sull'art. 24, osservando, da un lato, che “non è irragionevole la scelta del legislatore di consentire ad un creditore, attesa la sua natura pubblicistica e l'affidabilità derivante dal procedimento che ne governa l'attività, di formare unilateralmente un titolo esecutivo, e, dall'altro, che è rispettosa del diritto di difesa e dei principi del giusto processo la possibilità, concessa al preteso debitore, di promuovere, entro un termine perentorio ma adeguato, un giudizio ordinario di cognizione nel quale far efficacemente valere le proprie ragioni”.
Se il debitore non propone opposizione, si produce l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito azionato, stante la perentorietà del termine di presentazione dell'opposizione, “finalizzata a rendere non più contestabile dal debitore il credito contributivo dell'ente previdenziale e a consentire così una rapida riscossione del credito medesimo” (Cass. sez. lav., 27 febbraio 2007, n. 4506; Cass. sez. lav., 25 giugno 2007, n. 14692; Cass. sez. lav., 1 luglio 2008, n. 17978; Cass. sez. lav., 5 febbraio 2009, n. 2835; Cass. sez. lav., 14 ottobre 2009, n. 21790; Cass. sez. lav., 9 febbraio 2010, n. 7667; Cass. sez. lav., 14 giugno 2010, n. 14195; Cass. civ., sez. VI, 15 ottobre 2010, n. 21365; Cass. civ., sez. VI, 19 aprile 2011, n. 8931; Cass. sez. lav., 23 ottobre 2012, n. 18145).
Qualora il debitore non adempia spontaneamente, dunque, si può procedere con l'esecuzione forzata, spesso anticipata da un'intimazione di pagamento inviata al medesimo debitore esecutato, il quale può sempre far valere un atto estintivo successivo alla notifica del titolo, come l'avvenuta prescrizione del credito, nel caso in cui dopo la notifica della cartella esattoriale sia trascorso un termine superiore ai cinque anni, senza che sia intervenuto alcun atto idoneo ad interrompere la prescrizione.
È noto, infatti, che a partire dal 1° gennaio 1996, i contributi previdenziali si prescrivono nel termine di cinque anni (art. 3, comma 9, L. 8 agosto 1995, n. 335) e che la cartella di pagamento, anche se non opposta, resti un atto amministrativo privo dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Non trova, così, applicazione il più lungo termine a cui è soggetta l'actio iudicati, esperibile, per giurisprudenza di legittimità consolidata, nel termine decennale decorrente dalla data del passaggio in giudicato di una sentenza di condanna (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n. 15765), anche generica (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2015, n. 6901) oppure dal giorno in cui il decreto ingiuntivo abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6628; Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 3987) o dal passaggio in giudicato di un decreto o di una sentenza penale di condanna.
Pertanto, in assenza di un provvedimento giudiziario suscettibile di giudicato, la giurisprudenza di legittimità, senza tentennamenti, chiamata a verificare la tempestività dell'azione esecutiva intrapresa per il recupero di contribuzione previdenziale o di crediti relativi ad entrate dello Stato, ha applicato il termine decennale di prescrizione dell'actio iudicati solo in presenza di un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo (Cass. 3 gennaio 1970, n. 1; Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 1989, n. 5777; Cass. civ., sez. I, 11 marzo 1996, n. 1965; Cass. 11 marzo 1996, n. 1980).
L'uniformità del suddetto orientamento è stata scalfita allorché la Sezione lavoro della Suprema Corte, richiamando alcune pronunce rese in materia tributaria, in base alle quali trova applicazione l'ordinario termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c. (decorrente, ai sensi dell'art. 2935 c.c., dal momento in cui il credito diventa esigibile e non il termine quinquennale di estinzione di cui all'art. 2948, comma 1, n. 4, c.c. [Cass. 26 agosto 2004, n. 17051; Cass. sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2941; Cass. sez. trib., 12 novembre 2010, n. 22977; Cass. civ., sez. VI, 15 gennaio 2014, n. 701), ha sostenuto, senza peraltro porsi in esplicito contrasto con il precedente orientamento, che l'esecuzione di una cartella di pagamento non opposta si considera tempestiva se iniziata entro il termine di dieci anni di cui agli artt. 2946 e 2953 c.c., a prescindere, quindi, dalla sussistenza di un titolo giudiziario, passato in cosa giudicata (Cass. sez. lav., 24 febbraio 2014, n. 4338; Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2015, n. 11749; Cass. sez. lav., 15 marzo 2016, n. 5060). Cosicché, una parte della magistratura di merito ha ritenuto ancora tempestiva l'esecuzione forzata iniziata dopo che fossero trascorsi cinque anni dalla notifica della cartella di pagamento, nonostante che nelle more non fosse stato inviato un atto idoneo ad interrompere la decorrenza del termine di prescrizione (tra le tante cfr. App. Torino, n. 288/2010; App. Lecce n. 1149/2012; Trib. Cosenza n. 429/2012; Trib. Frosinone n. 33/2013).
Avvalendosi di quest'ultimo orientamento, un ente previdenziale ha chiesto l'annullamento della sentenza resa dalla Corte di Appello di Catania, che aveva dichiarato prescritto il credito contributivo vantato dall'ente previdenziale, essendo decorso un quinquennio dalla notifica della cartella esattoriale non impugnata (avvenuta il 31 agosto 2001) senza che fosse intervenuto alcun atto interruttivo da parte del concessionario della riscossione, prima dell'intimazione di pagamento, inviata il 27 maggio 2008 (App. Catania 16 maggio 2014, n. 456).
In particolare, il giudice del gravame era giunto a tale conclusione, reputando che “la cartella esattoriale, pur avendo le caratteristiche di un titolo esecutivo, resta un atto amministrativo privo dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato, il che significa che la decorrenza del termine per l'opposizione, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, mentre non determina alcun effetto processuale, sicché non può trovare applicazione l'art. 2953 c.c. ai fini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve (quinquennale) in quello ordinario decennale”.
Con ordinanza interlocutoria, pronunciata all'esito della camera di consiglio, fissata ex art. 380-bis c.p.c., la Suprema Corte, rilevata la necessità di operare un'armonizzazione tra le pronunce delle diverse sezioni, rimetteva gli atti al Primo Presidente, al fine di valutare l'opportunità, poi condivisa, di assegnare la trattazione della questione alle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 1799).
In particolare, si legge nell'ordinanza interlocutoria, “l'art. 2953 c.c. - che è norma speciale - non può applicarsi in via analogica ad altre fattispecie diverse dalla sentenza, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 12 preleggi (Cass. 29 gennaio 1968, n. 285) e che, nel caso di cartella di pagamento non opposta, non vi è nessun titolo di formazione giudiziale dotato di autonomia, non potendo la "stabilità" della cartella non opposta nei 40 giorni equipararsi ad un giudicato, in quanto il consolidamento consegue alla mancata opposizione”; inoltre, “a mente dell'art. 2946 c.c., la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale, se la legge non dispone diversamente, e nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (L. n. 335/1995, art. 3, comma 9)”.
Le Sezioni Unite hanno risolto la questione, aderendo all'orientamento interpretativo maggioritario e più risalente nel tempo, con una motivazione ineccepibile, con cui sono stati esaminati e poi messi a confronto i due orientamenti non coincidenti (Cass. S.U., 17 novembre 2016, n. 23397).
La Magistratura superiore, chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze della mancata e/o tardiva opposizione ad uno degli atti di riscossione coattiva sia di crediti previdenziali sia di crediti relativi ad altre entrate dello Stato, ha sostenuto, senza soluzione di continuità, che si produca l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito, limitando, nel contempo, l'adozione dell'actio iudicati, solo in presenza di un provvedimento reso dall'Autorità giudiziaria, suscettibile di giudicato o, comunque, non più impugnabile.
Sin dall'origine, infatti, quando l'evasione o l'omissione contributiva costituivano ancora un illecito penale, in caso di condanna penale comminata con decreto o con sentenza il diritto dell'INPS al recupero delle somme non versate era soggetto, ai sensi dell'art. 2953 c.c., alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente dal momento in cui il provvedimento giurisdizionale fosse diventato definitivo (Cass. 1 marzo 1956, n. 623; Cass. 17 giugno 1974, n. 1794).
In sostanza, la Suprema Corte sosteneva che, in presenza di un decreto penale non opposto, il diritto dell'INPS ad ottenere il pagamento sia dei contributi non corrisposti sia della relativa sanzione civile non fosse più soggetto alla prescrizione di due anni disposta dall'art. 17, R.D. n. 1239/1937 (Cass. 10 aprile 1979, n. 2085) o a quella quinquennale, di cui all'art. 55, RDL 4 ottobre 1935, n. 1827 (Cass. 5 luglio 1980, n. 4320), ma a quella decennale di cui all'art. 2953 c.c. (Cass. 9 giugno 1981, n. 3733), applicabile anche in presenza di un giudicato penale di condanna (Cass. 28 luglio 1983, n. 5195).
Il quadro giurisprudenziale non cambiava neanche dopo la depenalizzazione delle fattispecie di reato in materia di omissione e/o evasione contributiva (art. 35, L. 24 novembre 1981, n. 689).
Nel nuovo assetto, scaturito con l'entrata in vigore della summenzionata legge, gli enti previdenziali, oltre ad avvalersi del procedimento per ingiunzione (artt. 633 e ss., c.p.c.) - culminante con l'emissione di un decreto ingiuntivo, avente natura giurisdizionale, al quale, una volta divenuto esecutivo, veniva applicato, senza tema di smentita, il termine decennale di prescrizione di cui all'art. 2953 c.c. - potevano emanare un'ordinanza-ingiunzione, con cui ingiungere al debitore il pagamento della contribuzione non versata e delle relative sanzioni civili e amministrative (artt. 18 e 35, L. n. 689/1981).
In particolare, nonostante che il destinatario dell'ordinanza-ingiunzione potesse proporre nel termine di trenta giorni opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro (artt. 22 e 35, L. n. 689/1981), che si avvaleva del rito previsto per le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie (art. 442 e ss. c.p.c.), l'ordinanza non opposta restava un provvedimento amministrativo, da cui non scaturivano gli effetti del giudicato, precludendo unicamente “la contestazione dell'efficacia di titolo esecutivo, come anche l'accertamento giudiziale dell'inesistenza del credito dell'amministrazione” (Cass. sez. lav., 24 luglio 2008, n. 20375).
Trattandosi di un provvedimento amministrativo differente rispetto al decreto ingiuntivo, l'Autorità giudiziaria escludeva che l'ordinanza-ingiunzione perdesse efficacia per mancato rispetto dei termini di cui all'art. 644 c.p.c., applicabili solo al decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. I, 12 novembre 1992, n. 12189; Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1993, n. 5788; Cass. civ., sez. I, 9 novembre 1993, n. 11059; Cass. 1 luglio 1995, n. 733).
Non essendo un provvedimento giudiziario, dunque, l'ordinanza-ingiunzione veniva definita come un “titolo esecutivo paragiudiziale”, avente l'attitudine a diventare (in caso di mancata opposizione o di opposizione proposta fuori termine) definitivo ed incontrovertibile (Cass. 24 settembre 1991, n. 9944; Cass. sez. lav., 2 ottobre 1991, n. 10269; Cass. sez. lav., 26 ottobre 1991, n. 11421). Alla medesima conclusione si era pervenuti per l'ingiunzione emessa dall'INAIL ex R.D. 14 aprile 1910, n. 639 (Cass. sez. lav., 29 agosto 1995, n. 9119).
Tra i titoli paragiudiziali, la Corte di Cassazione inseriva anche la cartella esattoriale di pagamento emessa ai sensi dell'art. 2, comma 5 e ss., D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in L. n. 389/1989, la quale, in caso di omessa opposizione o di opposizione tardiva - in quanto proposta dopo la scadenza del termine di trenta giorni previsto dalla medesima legge e tale dichiarata dal giudice a conclusione del relativo giudizio - diviene definitiva, cosicché il diritto di credito vantato dall'ente previdenziale non è più contestabile (Cass. sez. lav., 11 agosto 1993, n. 8624; Cass. sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11426).
Dopo l'entrata in vigore delle norme sulla riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo (D.Lgs. n. 46/1999), la giurisprudenza di legittimità si limitava a confermare che la mancata opposizione della cartella di pagamento, nel termine prescritto a pena di decadenza dall'art. 24, comma 5, D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, comportasse unicamente l'incontrovertibilità del credito contributivo, onde consentire una rapida riscossione del credito iscritto a ruolo (Cass. sez. lav., 27 febbraio 2007, n. 4506; Cass. sez. lav., 25 giugno 2007, n. 14692; Cass. sez. lav., 1 luglio 2008, n. 17978).
Anche in materia di riscossione coattiva di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extra-tributarie, la Corte di Cassazione applicava il termine di prescrizione decennale, di cui all'art. 2953 c.c., solo in presenza di una sentenza passata in cosa giudicata, precisando che “in tema di tributi doganali … l'azione dello Stato per la loro riscossione non si prescrive nel termine di cinque anni, previsto dall'art. 84 del D.P.R. n. 43/1973, ma entro quello più lungo di dieci anni, previsto dall'art. 2953 c.c., decorrente dal passaggio in giudicato della decisione di rigetto dell'opposizione ... perché il titolo giudiziale formatosi è autonomo e vive di vita propria, così trasformando le prescrizioni brevi in prescrizioni decennali” (Cass. 3 gennaio 1970, n. 1; Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 1989, n. 5777; Cass. civ., sez. I, 11 marzo 1996, n. 1965; Cass. 11 marzo 1996, n. 1980; Cass. sez. trib., 12 marzo 2010, n. 6077; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2012, n. 1194; Cass. civ., sez. VI, 13 giugno 2016, n. 12074). Ovvero che “il diritto alla riscossione di un'imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, perché confermato con sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione che scandiscono i tempi dell'azione amministrativo-tributaria, ma esclusivamente al termine di prescrizione generale previsto dall'art. 2953 c.c., in quanto il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l'atto amministrativo, ma la sentenza” (Cass. sez. trib., 11 marzo 2011, n. 5837; Cass. sez. trib., 12 marzo 2010, n. 6077), “che ne ha confermato la legittimità pronunciando sul rapporto” (Cass. sez. trib., 17 gennaio 2014, n. 842; Cass. sez. trib., 23 ottobre 2015, n. 21623).
All'opposto, l'inapplicabilità dell'art. 2953 c.c. ai fini della prescrizione discendeva dal fatto che l'atto, come un'ingiunzione fiscale non opposta, con cui viene iniziato il procedimento di riscossione forzata, pur avendo natura di atto amministrativo con le caratteristiche del titolo esecutivo, tuttavia è privo di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato perché è espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della P.A. Con la conseguenza che l'inutile decorso del termine perentorio per proporre l'opposizione, pur determinando la decadenza dall'impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2003, n. 8335; Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. sez. trib., 25 maggio 2007, n. 12263).
Il termine decennale di prescrizione di cui all'art. 2953 c.c. veniva applicato anche alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie comminate con una sentenza passata in giudicato, poiché “il termine di prescrizione, entro il quale debba essere fatta valere l'obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni, non può che essere di tipo unitario …. tale termine non può che essere quello decennale previsto dall'art. 2953 c.c.” (Cass. S.U., 10 dicembre 2009, n. 25790; in senso conforme Cass. sez. trib., 9 agosto 2016, n. 16730; Cass. sez. trib., 19 luglio 2013, n. 17669).
In particolare, Cass. S.U., 10 dicembre 2009, n. 25790, confutando la tesi dell'actio iudicati claudicante, in base alla quale l'art. 2953 c.c. trovava applicazione solo per la riscossione del credito (Cass. sez. trib., 1 febbraio 2006, n. 2211; Cass. sez. trib., 2 ottobre 2000, n. 12989; Cass. sez. trib., 2 febbraio 2007, n. 2290), pur in presenza di sentenza passata in giudicato, ha in modo condivisibile affermato che "il fatto che l'atto impugnato sia dotato di per sé di esecutività (sempre che non venga impugnato) riguarda il profilo precontenzioso ed amministrativo dell'atto stesso, che non incide sugli effetti del giudicato, né comporta una sorta di sterilizzazione degli effetti del giudicato. Non sembra che si possa sostenere che l'atto, suscettibile di acquisire il carattere dell'esecutività se non contestato, quando poi viene impugnato produce un effetto "oscurante" del giudicato recuperando la potenziale vis originaria, che avrebbe potuto acquisire se condiviso dal destinatario. L'insorgere del contenzioso determina l'azzeramento della "posizioni di rendita" della parte pubblica, con la trasformazione del rapporto sostanziale potere - soggezione in un rapporto processuale paritetico, nel quale la potestas appartiene soltanto al giudice terzo ed al suo decisivi. Dopo di che, nulla sarà più come prima, non i diritti ed i doveri delle parti, che sono concretamente e incontestabilmente definiti da comando del giudice terzo, non la disciplina del termine di prescrizione in relazione al quale fa stato, come dies a quo, il giorno del passaggio in giudicato della sentenza, che determina una sorta di novazione giudiziaria generale del rapporto tributario in contestazione".
Accanto al consolidato orientamento espresso sull'ambito di applicazione della norma di cui all'art. 2953 c.c., in materia tributaria (precisamente in tema di riscossione coattiva dell'imposta IVA) la Corte di Cassazione sosteneva che, in caso di accertamento divenuto definitivo, non trovasse applicazione il termine breve di prescrizione di cui all'art. 2948, comma 1, n. 4, c.c., che fa riferimento a quanto debba pagarsi periodicamente (Cass. sez. trib., 12 novembre 2010, n. 22977; Cass. sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2941) o quello di decadenza stabilito dall'art. 57, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - che è relativo alla notificazione degli avvisi di rettifica e di accertamento da parte dell'amministrazione (Cass. sez. trib., 8 settembre 2004, n. 18110), ma l'ordinario termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c.. Tale termine decorre (ai sensi dell'art. 2935 c.c.) dal momento in cui il credito diventa esigibile e cioè dalla data (sessantesimo giorno successivo a quello della notificazione dell'avviso di accertamento) in cui l'accertamento diviene definitivo per mancata impugnazione, giacché “la prestazione tributaria, stante l'autonomia dei singoli periodi di imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito anno per anno da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi, ed è pertanto soggetta all'ordinario termine prescrizionale di dieci anni di cui all'art. 2946 c.c.” (Cass. sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2941).
Il riferimento al termine ordinario di prescrizione di cui all'art. 2946 c.c., operato dalla giurisprudenza tributaria per escludere l'applicazione del termine breve di cui all'art. 2948 c.c. (peraltro corretto, poiché in ambito fiscale vale come regola generale proprio quel termine) determinava la disarmonia nella giurisprudenza di legittimità, poiché la Sezione lavoro faceva applicazione del termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c., in conformità a quanto previsto per l'actio iudicati, in materia di riscossione dei crediti contributivi.
Con ricorso per Cassazione, un debitore esecutato si doleva che il giudice di merito non avesse dichiarato estinto, per decorso del termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 3, L. 8 agosto 1995, n. 335, il credito contributivo vantato da una Cassa professionale.
La Suprema Corte respingeva la doglianza in quanto la Corte di Appello aveva ritenuto che il termine quinquennale fosse stato tempestivamente interrotto con la notifica del preavviso di fermo.
Pur tuttavia, in forma di obiter dictum, aggiungeva che “una volta divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata proposizione dell'opposizione alla cartella esattoriale (come avvenuto nel caso di specie), non è più soggetto ad estinzione per prescrizione il diritto alla contribuzione previdenziale di che trattasi e ciò che può prescriversi è soltanto l'azione diretta all'esecuzione del titolo così definitivamente formatosi; riguardo alla quale, in difetto di diverse disposizioni (e in sostanziale conformità a quanto previsto per l'actio iudicati ai sensi dell'art. 2953 c.c.), trova applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario di cui all'art. 2946 c.c. (cfr, per arg., Cass. 26 agosto 2004, n. 17051, in motivazione)” (Cass. sez. lav., 24 febbraio 2014, n. 4338).
In particolare, la Sezione lavoro si riferiva ad una delle sentenze rese in materia di iscrizione a ruolo per IVA, con cui era stato affermato che per effetto della iscrizione l'Ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall'art. 2946 c.c. (Cass. 26 agosto 2004, n. 17051).
Sebbene non influisse sull'esito della controversia, il richiamo al termine ordinario di prescrizione, pur se ininfluente, risultava fuorviante poiché nel caso dei contributi previdenziali vi è uno specifico termine di prescrizione (art. 3, comma 9, L. n. 335/1995), che impedisce l'applicazione del termine ordinario di cui all'art. 2946 c.c.
La Magistratura superiore incorreva nuovamente in errore, laddove riteneva applicabile (ancora in tema di riscossione dei contributi previdenziali) la prescrizione ordinaria di cui all'art. 2946 c.c.; ma anche questa volta, l'esito della causa prescindeva dall'applicazione del termine decennale poiché l'operatività del termine breve quinquennale, almeno per il credito contributivo, era coperto da giudicato (Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2015, n. 11749).
Poco tempo dopo, però, la Sezione lavoro respingeva il ricorso con cui il debitore esecutato si doleva che il giudice di merito non avesse dichiarato prescritto il diritto di credito dell'INAIL, nonostante che tra la notifica della cartella di pagamento e la notifica dell'intimazione di pagamento fosse trascorso un termine superiore al quinquennio, pur non trovando applicazione il termine decennale di cui all'art. 2953 c.c., affermando che una volta divenuta intangibile la pretesa contributiva, per effetto della mancata proposizione dell'opposizione alla cartella esattoriale, il diritto alla contribuzione previdenziale non è più soggetto ad estinzione per prescrizione, a cui rimane soggetta l'azione diretta all'esecuzione del titolo cosi definitivamente formatosi, riguardo alla quale, in difetto di diverse disposizioni (e in sostanziale conformità a quanto previsto ai sensi dell'art. 2953 c.c.), trova applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario di cui all'art. 2946 c.c. (Cass. sez. lav., 15 marzo 2016, n. 5060).
Con quest'ultima sentenza veniva decisa una causa con una fattispecie concreta analoga a quella poi trattata dalle Sezioni unite, ma decisa con esito opposto.
Con le tre sentenze, appena descritte, la Magistratura superiore si discostava dall'orientamento giurisprudenziale consolidato, senza metterlo in discussione, avendo utilizzato un principio di diritto che non avrebbe potuto trovare applicazione in materia di riscossione dei crediti contributivi, soggetti al termine di prescrizione di cui all'art. 3, comma 9, L. n. 335/1995.
Per questo motivo si è dato origine inconsapevolmente ad un orientamento divergente rispetto a quello che si era nel tempo consolidato. Conclusioni
Le Sezioni Unite, aderendo alle conclusioni rappresentate nell'ordinanza interlocutoria (Cass. civ., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 1799), hanno respinto il ricorso per Cassazione dell'ente previdenziale e pronunciato i seguenti principi di diritto:
A) "La scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al art. 24, comma 5, D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo la art. 3, commi 9 e 10, L. 8 agosto 1995, n. 335) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che dal 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 30, convertito dalla L. n. 122/2010)".
B) "È di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti - comunque denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extra-tributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo" (Cass. S.U., 17 novembre 2016, n. 23397).
Si tratta di massime convincenti, fondate su una molteplicità di ragioni, tutte condivisibili, rappresentate dalle Sezioni unite, secondo cui:
Le Sezioni Unite, inoltre, hanno corroborato la soluzione adottata, osservando che la conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale di cui all'art. 2953 c.c., senza un titolo giudiziario, si pone in contrasto con la ratio della perentorietà del termine per l'opposizione alla cartella esattoriale, fissato in quaranta giorni (art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999), mettendo il debitore in una situazione di incertezza, definita “perenne” dalle Sezioni Unite, perché l'ente previdenziale potrebbe interrompere il termine (già di per sé lung), facendone decorrere un altro della medesima consistenza, esponendo il debitore ad un'azione esecutiva per un tempo indeterminato o, comunque, eccessivo ed irragionevole.
Ed infine, hanno aggiunto le Sezioni Unite, in materia di contribuzione previdenziale vige il principio di ordine pubblico dell'irrinunciabilità della prescrizione (art. 3, comma 9, L. n. 335/1995), in base alla quale non è ammessa la possibilità di effettuare versamenti, a regolarizzazione di contributi arretrati, dopo che rispetto ai contributi stessi sia intervenuta la prescrizione.
Pertanto, trascorso il termine quinquennale di cui all'art. 3, comma 9, L. n. 335/1995, l'Ente di previdenza non solo non può procedere all'azione coattiva rivolta al recupero delle omissioni, ma è tenuto a restituire d'ufficio il pagamento del debito prescritto effettuato anche spontaneamente, considerato, altresì, che nella materia previdenziale (a differenza che in quella civile) il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti, sicché una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva - non già preclusiva - in quanto l'ente previdenziale creditore non può rinunziarvi.
Applicandosi, invece, il termine decennale di cui all'art. 2953 c.c., per il semplice fatto che la cartella di pagamento non sia stata opposta tempestivamente, si perverrebbe alla conclusione di consentire all'ente previdenziale di riscuotere contributi prescritti, in violazione del divieto stabilito, per ragioni di ordine pubblico, di effettuare versamenti a regolarizzazione di contributi assicurativi, dopo che rispetto agli stessi sia intervenuta la prescrizione, divieto che opera indipendentemente dall'eccezione di prescrizione da parte dell'ente previdenziale e del debitore dei contributi. |