Lavoro autonomo in favore di una Amministrazione Pubblica: riqualificazione in rapporto dipendente e tutela sanzionatoria

Elvira Sessa
26 Aprile 2017

La riqualificazione come subordinato di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una Amministrazione Pubblica non determina l'acquisizione di un posto di ruolo alle dipendenze dell'Ente ma solo la possibilità di un ristoro pecuniario ex art. 2126 c.c. che deve essere oggetto di una apposita domanda.
Massime

La riqualificazione come subordinato di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una Amministrazione Pubblica non determina l'acquisizione di un posto di ruolo alle dipendenze dell'Ente, ma solo la possibilità di un ristoro pecuniario ex art. 2126 c.c. che deve essere oggetto di una apposita domanda.

Nel caso di prestazione di lavoro autonomo in favore di una Pubblica Amministrazione, va corretta in diritto e non merita di essere cassata la sentenza di appello che, su una base argomentativa errata, ossia ritenendo ostativa al riconoscimento della subordinazione una circostanza – la violazione del dovere di esclusività - non incisiva ai fini della qualificazione del rapporto, sia comunque pervenuta ad un esito conforme al diritto ossia al rigetto della domanda di conversione in rapporto a tempo indeterminato.

Infatti, gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato di cui il lavoratore lamenta il mancato esame, quando anche considerati non avrebbero comunque consentito l'accoglimento della domanda nei termini in cui è stata formulata, non avendo il lavoratore mai chiesto una tutela in termini meramente risarcitori, la sola che merita accoglimento nelle ipotesi di contratto stipulato in violazione delle disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il caso

Un lavoratore agisce innanzi al Tribunale di Vasto per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il Comune di San Salvo, in virtù di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa svolto in qualità di educatore presso una Casa Famiglia, stipulato in data successiva all'effettivo espletamento dell'attività lavorativa.

Per l'effetto, il ricorrente chiede la condanna dell'Ente alla conversione del rapporto a tempo indeterminato a decorrere dalla data di effettivo inizio dello svolgimento della prestazione e al pagamento delle differenze retributive tra il trattamento stipendiale proprio dell'inquadramento in cat. C1 del C.C.N.L. comparto Enti locali e quanto percepito.

Il giudice di primo grado respinge il ricorso e la Corte di Appello dell'Aquila, nel confermare la sentenza di primo grado, rigetta la domanda di conversione, escludendo la natura subordinata del rapporto in quanto ritiene a tal fine determinante la concomitante attività lavorativa resa dal ricorrente in favore di altro datore di lavoro, in violazione del dovere di esclusività del dipendente pubblico.

Il lavoratore ricorre allora in Cassazione, lamentando che la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato le previsioni normative relative al regime delle incompatibilità, giacché l'art. 53, D.Lgs. n. 165/2001, accanto alle incompatibilità assolute, che comportano la decadenza dall'impiego, regolamenta le attività espletabili da qualsiasi dipendente pubblico senza necessità di autorizzazione datoriale.

Il ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e il vizio di motivazione per aver la Corte territoriale omesso di esaminare gli indici rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro, allegati e costituenti fatti decisivi del giudizio.

La Corte di Cassazione non accoglie il ricorso, ritenendo che la sentenza gravata sia pervenuta ad un esito (rigetto della domanda) conforme al diritto anche se fondato su una errata argomentazione.

La motivazione della sentenza di appello viene dunque corretta ex art. 384 c.p.c., nel senso di ritenere che la questione delle incompatibilità non può incidere ai fini della della qualificazione del rapporto.

Per il resto, la Corte evidenzia che l'eventuale qualificazione del rapporto in questione come subordinato non avrebbe comunque mai potuto comportare la conversione richiesta ma solo il risarcimento pecuniario nei limiti di cui all'art. 2126 c.c. che, nella specie, non era stato domandato, perciò gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato, quando anche considerati, non avrebbero potuto consentire l'accoglimento della domanda nei termini in cui era stata proposta.

Le questioni

La pronuncia in commento, nel conformarsi ad un orientamento consolidato che, in base alla regola costituzionale del concorso pubblico trasfusa nel comma 5 dell'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001, esclude la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso con la pubblica amministrazione sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa, dà lo spunto per riflettere su altre questioni, come quella se la domanda risarcitoria ex art. 2126 c.c.., conseguente alla riqualificazione del rapporto, debba o no essere espressamente formulata dal lavoratore che chieda l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro autonomo.

Le soluzioni giuridiche

Costituisce ormai jus receptum quello secondo cui in caso di contratto di lavoro autonomo reso in favore della Pubblica Amministrazione, la qualificazione come subordinato del rapporto non può comportare la acquisizione di un posto di ruolo da parte del prestatore ma solo la tutela risarcitoria, stante la regola della concorsualità per l'accesso al pubblico impiego di cui all'art. 97 Cost..

La pronuncia in commento, nel dare attuazione a tale regola, espressa nel comma 5 dell'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001, conferma la correttezza della pronuncia di appello nella parte in cui aveva rigettato la domanda di conversione del rapporto avanzata dall'educatore che aveva lavorato presso il Comune di San Salvo in forza di un formale contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

La Corte precisa che la regola del concorso per l'accesso al pubblico impiego trova applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni, inclusi gli enti locali (Corte Cost. 23 luglio 2015, n. 180; Corte Cost. 22 novembre 2013, n. 277) e che è ragionevole la scelta del legislatore di ricollegare alle violazioni di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle Pubbliche Amministrazioni, conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione prevista nel rapporto di lavoro privato, in quanto il suddetto principio dell'accesso mediante concorso enunciato dall'art. 97 Cost., posto a presidio della imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, rende non omogeneo il rapporto di impiego alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche rispetto al rapporto alle dipendenze dei datori privati (Corte Cost. 27 marzo 2003, n. 98; Cass. S.U., 15 marzo 2016, n. 5072; Cass. S.U., 9 marzo 2015, n. 4685).

Una deroga alla regola del concorso pubblico per il personale precario delle pubbliche amministrazioni si è avuta, come è noto, con le procedure di “stabilizzazione” previste dalla L. n. 296/2006, L. n. 244/2007, D.L. n. 78/2009.

Tuttavia, anche tali procedure non integrano ipotesi di “conversione quale effetto sanzionatorio” di un utilizzo abusivo di forme contrattuali flessibili, ma costituiscono una misura di favore prevista dal legislatore per coloro che abbiano già prestato servizio alle dipendenze di un ente pubblico per un determinato periodo di tempo e che consentono a tale personale, “in ragione di tale solo requisito fattuale, di accedere ai ruoli della P.A., in deroga alla regola generale, altrimenti applicabile, dell'accesso mediante concorso pubblico” (così, tra le molte, Cass. sez. lav., 24 novembre 2016, n. 24025 con riguardo alla L. n. 296/2006).

Si tratta comunque di procedure che, di fatto, hanno interessato solo i lavoratori a terminementre i co.co.co. sono stati esclusi dalle procedure di stabilizzazione in nome di principi affermati in termini assoluti, senza un bilanciamento adeguato con gli altri principi e diritti di rango costituzionale […] quali sono il rispetto dell'eguaglianza giuridica (art. 3 Cost.), la tutela del lavoro (art. 35 Cost.) e la finalizzazione del « ;fatto lavoro ;» (art. 36 Cost.)” (così Garilli A., che si interroga sulle ragioni della disparità di trattamento, nelle procedure di stabilizzazione, tra co.co.co. e lavoratori a termine).

L'unica tutela azionabile nelle ipotesi di rapporti di lavoro autonomi svoltisi “di fatto” con le modalità tipiche del lavoro subordinato, è, dunque, come ribadisce la Corte nel caso in esame, quella meramente risarcitoria, da riconoscersi nei limiti di cui all'art. 2126 c.c., pacificamente applicabile anche nei confronti della Pubblica Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 22 dicembre 2004, n. 8182).

Tuttavia, nella fattispecie, la Suprema ritiene di non poter applicare tale disposizione, evidenziando che “L'odierno ricorrente non risulta aver mai proposto una domanda risarcitoria ai sensi dell'art. 2126 c.c., ma ha chiesto la conversione del rapporto […] in rapporto di pubblico impiego e il riconoscimento delle differenze retributive derivanti da tale conversione”. (punto 5.1).

Tale statuizione si pone in linea di discontinuità con una giurisprudenza che, in presenza di indici rivelatori di un rapporto subordinato alle dipendenze della P.A., applicava d'ufficio, dunque anche a prescindere da una specifica domanda, l'art. 2126 c.c., con conseguente diritto del dipendente non solo alla retribuzione ma anche alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico regolare, a tal fine richiamandosi al principio generale della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo, quale l'atto di assunzione di dipendenti in violazione delle disposizioni costituzionali sull'accesso ai pubblici impieghi (così Cass. sez. lav., 17 ottobre 2005, n. 20009; v. anche Cass. sez. lav., 9 febbraio 1999, n. 1105; Cass. sez. lav., 3 luglio 2003, n. 10551; Consiglio di Stato, sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 427; Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6815; Consiglio di Stato, sez. V, 18 settembre 2003, n. 5293; Consiglio di Stato, sez. V, 10 novembre 1993, n. 1135; per la giurisprudenza di merito, tra le molte: Trib. Teramo, 22 settembre 2015, n. 783; Trib. Bologna, 3 maggio 2007, n. 237. Si ritiene di segnalare, da ultimo, in tema di rimedi sanzionatori per i co.co.co. che mascherano rapporti di lavoro subordinato, App. L'Aquila 5 febbraio 2015, che nella fattispecie condanna una Azienda Sanitaria Locale al pagamento al lavoratore delle rivendicate differenze retributive non solo a norma dell'art. 2126 c.c. ma anche ai sensi dell'art. 2041 c.c., rinvenendo un implicito riconoscimento da parte della P.A. dell'utilità della prestazione eseguita, desumibile dal fatto che detta prestazione era stata dall'amministrazione utilizzata a proprio favore).

Osservazioni

La pronuncia in commento solleva alcuni interrogativi.

Invero, dalla lettura della sentenza non si evince come mai la Suprema abbia ritenuto di rigettare la censura di vizio di motivazione con cui il lavoratore lamentava che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare gli indici rivelatori della subordinazione, puntualmente allegati e costituenti fatti decisivi del giudizio.

I giudici di legittimità, nel correggere la motivazione di appello, ammettono infatti la “eventualità” di una riqualificazione del rapporto in questione, riscontrando che il ricorrente aveva “dedotto che, contrariamente a quanto pattuito nel contratto di collaborazione autonoma, vi era stato l'assoggettamento al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, lo stabile inserimento del lavoratore all'interno nell'organizzazione dell'ente di appartenenza, l'osservanza di un preciso orario” di lavoro; inoltre, gli Ermellini evidenziano che gli indici rivelatori del rapporto dipendente erano stati erroneamente trascurati dalla Corte territoriale, che aveva escluso la subordinazione dando rilievo ad una circostanza non determinante per la qualificazione della natura del rapporto ossia alla violazione del dovere di esclusività del dipendente.

Alla luce di tali rilievi, una motivazione più dettagliata avrebbe forse consentito di capire come mai, nella fattispecie, i giudici di legittimità abbiano ritenuto di rigettare il ricorso e non, invece, di cassare la sentenza di appello rinviando alla Corte territoriale per un nuovo esame delle circostanze di fatto (in tal senso, si v. tra le molte, Cass. sez. lav., 15 maggio 2012, n. 7517; Cass. sez. lav., 8 aprile 2015, n. 7024).

Una risposta potrebbe rinvenirsi solo dalla lettura di quel passaggio della sentenza in cui si legge che gli indici della natura subordinata del rapportoquand' anche considerati non consentirebbero comunque l'accoglimento della domanda nei termini in cui è stata proposta” (punto 4) e, in particolare, “L'odierno ricorrente non risulta aver mai proposto una domanda risarcitoria ai sensi dell'art. 2126 c.c., ma ha chiesto la conversione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa […] in rapporto di pubblico impiego e il riconoscimento delle differenze retributive derivanti da tale conversione” (punto 5.1).

Per l'accoglimento della domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto, sembrerebbe dunque determinante, per la Suprema, la mancata richiesta da parte del lavoratore di una tutela risarcitoria ex art. 2126 c.c..

Ma anche tale ragionamento non sembra convincere perché finisce per sovrapporre il piano qualificatorio della fattispecie (autonomo/subordinato) a quello della tutela sanzionatoria richiesta (conversione del rapporto a tempo indeterminato/mera tutela risarcitoria di cui all'art. 2126 c.c.), oltretutto in discontinuità con l'orientamento giurisprudenziale di cui si è detto che riteneva applicabile ex officio l'art. 2126 c.c..

Guida all'Approfondimento
  • Comandé D., Collaborazione 'mascherata' nelle PPAA e tutela risarcitoria: retribuzione da dipendente con previdenza da subordinato?, in Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2009, 5, 859 ss.
  • Garilli A., I co.co.co. nella Pubblica Amministrazione: scompariranno davvero?, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2015, 412 ss
  • Pallini M., Il lavoro autonomo nelle pubbliche amministrazioni: l'ipocrisia della « ;via alta ;» alla flessibilità, in M.G. Garofalo-Leone, La flessibilità del lavoro: un'analisi funzionale dei nuovi strumenti contrattuali, Bari, 2009, 221 ss;
  • Ricci G., Gli incarichi professionali e i rapporti di collaborazione nelle pubbliche amministrazioni, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2008, 249 ss
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