Associazione in partecipazione: autonomia e subordinazione, requisiti

21 Maggio 2015

Per la qualificazione di un rapporto contrattuale, quale associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato ovvero quale lavoro subordinato, occorre accertare quali elementi dell'una o dell'altra tipologia contrattuale prevalgano nel concreto atteggiarsi del rapporto dedotto.
Massime

L' art. 86, comma 2, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, non ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di conversione legale del contratto di associzione in partecipazione in contratto a lavoro subordinato, ma ha soltanto previsto - in funzione integrativa della disciplina della associzione in partecipazione - che, ove detto contratto sia stato stipulato con finalità elusive delle norme di legge e di contrattazione collettiva a tutela del lavoratore, all'associato si applichino le più favorevoli disposizioni previste per il lavoratore dipendente (conf. Cass. Civ. sez. lav. 24 febbraio 2012 n. 2884 in Giust. civ. Mass. 2012, 2, 221).

Per la qualificazione di un rapporto contrattuale, quale associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato ovvero quale lavoro subordinato, occorre accertare quali elementi dell'una o dell'altra tipologia contrattuale prevalgano nel concreto atteggiarsi del rapporto dedotto (nel caso di specie, era stata rilevata l'ampia autonomia nello svolgimento delle mansioni quotidiane dell'interessato, nella mancanza di un controllo sulla sua presenza da parte della società, nell'assenza di vincoli di orario, nella possibilità di avvalersi di terzi collaboratori, nell'assenza di un potere direttivo e disciplinare nonché nell'accesso alle scritture contabili ed infine nella presenza di un rischio d'impresa per l'associato; di conseguenza, il rapporto contrattuale era stato correttamente qualificato come associazione in partecipazione) (conf. Cass. Civ. Sez. Lav. 29 gennaio 2015, n. 1692, in Dir. & Giust. 2105, 30 gennaio).

Il caso

Un associato in partecipazione agisce per fare accertare la natura di rapporto di lavoro subordinato di un rapporto sorto formalmente come associazione in partecipazione e, di conseguenza, per far qualificare il recesso come licenziamento disciplinare, illegittimo.

Soltanto in tale occasione, invocava l'applicazione dell' art. 86, comma 2, D.Lgs. n. 276/03, norma oggi abrogata dall' art. 1, comma. 31, L. 92/12.

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte, pur dichiarando l'inammissibiltà della domanda volta all'applicazione dell' art. 86 D.Lgs. 276/03 perché proposta soltanto in sede di giudizio di legittimità, cioè tardivamente, si è incidentalmente riportata alla propria giurisprudenza, secondo cui la norma invocata non dispone l'automatica conversione (legale) del contratto di associazione in partecipazione in contratto di lavoro subordinato, sicchè chi rivendica la subordinazione deve fornirne rigorosa dimostrazione la cui valutazione spetta esclusivamente al Giudice del merito.

La questione

La fattispecie dedotta si inquadra nella disciplina dell'istituto del contratto di associazione in partecipazione vigente in epoca anteriore all'intervento della L. 92/12 (c.f. “Riforma Fornero”), tesa a scongiurare l'utilizzo fraudolento dell'istituto (cfr. art. 1, cc. 28, 29, 30 e 31 L. 92/12) alla stregua della cc.dd. “partite i.v.a.”.

La sentenza affronta la questione se la verifica dei presupposti previsti dall' art. 86, comma 2, D.Lgs. n. 276/03 comporti la prova dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (e in tal caso la norma avrebbe introdotto nel nostro ordinamento una forma di conversione legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto di lavoro subordinato) o se, a tal fine, occorra un più complesso tema di indagine e di prova da parte del giudice di merito (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. 10 novembre 2014, n. 23931 in Dir. & Giust. 14 novembre).

Le soluzioni giuridiche

Se la domanda ex art. 86, comma 2, D.Lgs. n. 276/03 fosse stata proposta tempestivamente, l'eventuale accoglimento della stessa non avrebbe dovuto essere fondata sulla prova dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in quanto tale norma non avrebbe introdotto una forma di conversione legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto di lavoro subordinato.

L' art. 86, comma 2, D.Lgs. n. 276/03, infatti, si è limitato a prevedere – in funzione integrativa alla disciplina dell'associazione in partecipazione – che, ove il contratto di associazione in partecipazione sia stato stipulato con finalità elusive delle norme di legge e di contrattazione collettiva a tutela del lavoratore, si applichino all'associato in partecipazione le disposizioni più favorevoli previste per il lavoratore dipendente.

Secondo il regime previgente, spetta infatti al giudice di merito indagare quali siano gli elementi qualificanti dai quali desumere – in relazione alle modalità del concreto atteggiarsi del rapporto contrattuale dedotto – la sussistenza di un tipo di rapporto piuttosto che dell'altro.

Inoltre, ciò che caratterizza l'associazione in partecipazione è l'obbligo di rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza di un rischio di impresa in capo all'associato.

Il rapporto di lavoro subordinato, invece, sussiste laddove emerga l'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

A questo proposito, la Suprema Corte ha ribadito che il potere direttivo non si limita alle direttive di carattere generale, perché esse sono presenti in altre forme di collaborazione, ma deve esplicitarsi concretamente attraverso ordini specifici, reiterati e attinenti alla prestazione lavorativa.

Il potere organizzativo, poi, si estrinseca nel semplice coordinamento – presente anch'esso in altre tipologie contrattuali – ma deve esprimersi nell'effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, la qualificazione formale del rapporto fornita dalle parti – nel caso di specie era documentalmente provata la stipulazione di un contratto di associazione in partecipazione – rileva, pur non essendo decisiva: di conseguenza, il giudice deve condurre un accertamento molto rigoroso sulla sussistenza del rapporto di lavoro dipendente fatto valere, considerato che nell'associazione in partecipazione possono riscontrarsi comportamenti delle parti riconducibili ai poteri direttivo e organizzativo.

Di conseguenza, soltanto in presenza di un effettivo rischio economico e dell'approvazione dei rendiconti, ovvero di un effettivo e provato assoggettamento al potere disciplinare del datore di lavoro, è possibile qualificare in un modo o nell'altro il rapporto contrattuale.

Per queste ragioni, al fine della riconducibilità del rapporto all'una o all'altra tipologia, l'indagine da parte del giudice di merito circa la sussistenza degli uni e/o degli altri elementi caratterizzanti deve essere rigorosa e non è censurabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata.

Osservazioni

La sentenza in esame riguarda una fattispecie anteriore alla L. 92/12.

Giova ricordare come il confine tra contratto di associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato – di rado ben delineato – ha favorito l'utilizzo del contratto disciplinato dagli artt. 2549 e ss. c. c.. con finalità elusiva delle norme imperative proprie del rapporto di lavoro subordinato, specialmente al fine di evitare di sostenere i costi conseguenti, ragione per la quale il Legislatore ha cercato nel tempo di intervenire per limitare gli abusi.

Un primo intervento risale all'anno 2003 (con l'art. 86 D.Lgs. n. 276/03 c.d. “legge Biagi”), un altro all'anno 2012 (con l' art. 1, commi 28, 29, 30 e 31 L. 92/12 c.d. “legge Fornero”): in entrambi i casi – nel secondo in maniera più stringente - il Legislatore ha cercato di arginare i fenomeni patologici del rapporto di associazione in partecipazione.

Attraverso il primo, il Legislatore si è limitato – così come si desume dalla sentenza in esame – a garantire il diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o, in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo (salva prova da parte del datore di lavoro o committente o utilizzatore che la prestazione rientri in una delle tipologie disciplinate dal D.Lgs. 276/03 ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina o in un contratto nominato di lavoro autonomo o in altro contratto espressamente previsto dall'ordinamento).

Attraverso il secondo, il Legislatore ha introdotto alcune presunzioni (relative e assolute) tese a disincentivare l'utilizzo del contratto di associazione in partecipazione.

Stanti poi alcune rigidità introdotte da quest'ultima novella, il Legislatore è intervenuto di nuovo sulla materia con l'art. 7 del D.L.76/13, convertito con modificazioni nella l. 99/13, nonché con l'art. 7 bis, D.L. 76/13 e con l'art. 1, comma 133, lett. a) e b) della l. 147/13 (cfr. anche Circ. Min. Lav. e Pol. Soc. 22 aprile 2013; Circ. INPS 5 dicembre 2013, n. 167).

In particolare, la legge Fornero (art. 1, comma 30, L. 92/12) ha novellato l'art. 2552 c.c. imponendo l'obbligo per l'associante di consegnare il rendiconto all'associato, in mancanza del quale il rapporto si presume di lavoro subordinato: si tratta di una presunzione semplice, sicchè deve essere fornita la prova contraria alla subordinazione.

Analogamente, secondo la legge Fornero, sono presunzioni semplici anche la mancanza di effettiva partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa e l'apporto di lavoro non connotato da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività (concetti che il Ministero del Lavoro, circ. 27 dicembre 2012, ha cercato di specificare).

Nonostante l'ammissibilità della prova contraria, se il contratto di associazione in partecipazione presenta anche uno solo degli elementi suddetti, si ha conversione del rapporto dedotto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Secondo la legge Fornero, invece, è presunzione assoluta di subordinazione, il superamento del limite numerico di tre associati in partecipazione nella medesima attività, indipendentemente dal numero degli associati (a meno che gli associati siano legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo).

Dalla presunzione assoluta, discende la conversione di tutti i contratti di associazione in partecipazione in rapporto di lavoro subordinato, a meno che si tratti di contratti certificati ex art. 75 D.Lgs. 276/03 già vigenti al momento della novella (18 luglio 2012) e fino alla relativa cessazione, ai sensi dell' art. 1, comma 29, L. 92/12.

Con la “legge di stabilità” (L. 147/13) è stata prorogata la possibilità di convertire i contratti di associazione in essere in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, possibilità già fissata dalla L. 99/13 per il 30 settembre 2013, al 31 marzo 2014, avendo il Legislatore originariamente disposto cadenze temporali ristrettissime.

Con riguardo, da ultimo, alla sentenza in esame, la Suprema Corte conferma la rilevanza – ancorchè non prioritaria - della forma scritta del contratto di associazione in partecipazione: posto che tale forma non è prevista dalla legge (salvo essere richiesta dalla natura del bene conferito in caso di conferimento di un bene), non si può prescindere dal contenuto del documento scritto, sebbene il concreto atteggiarsi del rapporto sia significativo per la sua qualificazione (cfr. ex pluribus, Cass. sez. lav. 26 agosto 2013, n. 19568, in Foro it. Rep. 2013, voce Lavoro (rapporto), n. 772).

Il quadro resta, in ogni caso, poco chiaro e poche sono le certezze in subiecta materia.

Si segnalano, seppure riferite a fattispecie sorte in epoca anteriore alla riforma Fornero:

Cass. Civ. sez. Lav. 17 aprile 2014, n. 8977, sulla riqualificazione del rapporto, stante altresì la percezione da parte dell'associato di un guadagno minimo garantito (contra Cass. Sez. Lav. 24 febbraio 2012, n. 2884);

Cass. Sez. Lav. 12 aprile 2013, n. 8928, in Dir. & Giust. aprile 2013 in tema di distinzione tra lavoro subordinato e subordinazione;

Cass. Sez. Lav. 26 gennaio 2010, n. 1584, in Dir. & Giust. on line 2010 e 18 febbraio 2009, n. 3894 in Giust. Civ. Mass. 2008, 10, 1458 in tema di indici della subordinazione;

Cass. Sez. Lav. 11 giugno 2013, n. 14644 in Dir. & Giust. 2013, 12 giugno; 21 febbraio 2012, n. 2496, Riv. it. dir. lav. 2013, 2, II, 350; 20 settembre 2010, n. 19833 in Guida al Diritto 2010, 47, 72 e 28 maggio 2010, n. 13179 in Giust Civ. Mass. 2010, 5, 837 in tema di partecipazioni a utili e perdite;

Cass. Sez. Lav. 28 ottobre 2011, n. 22521 in Giust. civ. Mass. 2011, 11, 1544 in tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione e società;

Cass. Sez. Lav. 30 maggio 2013, n. 13649 in Dir. & Giust. 2013, 31 maggio in tema di recesso dal contratto;

Cass. Sez. Lav. 30 maggio 2013, n. 13649 in Giust. Civ. Mass. 2013, in tema di natura dell'obbligazione di pagamento di una somma di denaro in base a criteri preventivamente stabiliti, quale debito di valuta e quindi non soggetto a rivalutazione monetaria.

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