Illegittimità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica basato esclusivamente sulla certificazione del medico dell'azienda

Francesco Meiffret
26 Luglio 2017

La sola valutazione del medico del lavoro non costituisce elemento sufficiente per giustificare l'intimazione di un licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica.
Massime

La valutazione del medico del lavoro non costituisce elemento sufficiente per giustificare l'intimazione di un licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica.

Affinché sia legittimo un licenziamento per giustificato motivo oggettivo basato sulla soppressione della posizione lavorativa è necessario che quest'ultimo evento costituisca la causa del licenziamento e non la sua conseguenza.

Il caso

Ad una dipendente del servizio mensa di un collegio veniva diagnosticata una neoplasia alla mammella sinistra.

Sulla base della sola valutazione del medico aziendale veniva intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (di seguito LGMO) sul presupposto dell'inidoneità psicofisica sopravvenuta (di seguito IPS).

Nella lettera di licenziamento veniva altresì evidenziato come la posizione della lavoratrice fosse stata soppressa e non fossero disponibili altre mansioni equivalenti alle quali assegnare la dipendente.

Le questioni
  • Può un'impresa intimare il licenziamento per IPS (di seguito anche LIPS) sulla scorta della sola certificazione del proprio medico del lavoro?
  • Quando un LIPS del lavoratore può essere considerato legittimo?
Le soluzioni giuridiche

Per quanto concerne il primo punto, il giudice, richiamandosi ad un costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (Cass. sez. lav., 10 marzo 2017, n. 6291), nega tale possibilità. Sottolinea la scarsa rilevanza della valutazione del medico dell'azienda, a maggior ragione se viene -come nel caso di cui trattasi- contestata dal lavoratore. Nel dispositivo evidenzia come la conclusione del medico aziendale fosse stata sconfessata dall'A.T.S. di Pavia che aveva dichiarato l'idoneità della ricorrente alle mansioni di aiuto cuoco. Rileva, inoltre, che alle medesime conclusioni era giunta l'INPS che aveva accertato l'idoneità lavorativa della ricorrente respingendo sia la domanda d'inabilità che quella, in subordine, d'invalidità.

Risulta, quindi, non provata dal datore di lavoro la IPS della ricorrente. Di conseguenza, ex art. 18 co. 7 L. n. 300/1970, poiché la dipendente era stata assunta nel 1988, veniva ordinata la reintegrazione della lavoratrice.

A riguardo del secondo punto, il giudice si sofferma sull'illegittimità anche della seconda motivazione addotta nella lettera di licenziamento per giustificare il recesso: la soppressione della posizione lavorativa. Il venir meno dell'utilità della prestazione lavorativa non è stata la conseguenza del riassetto organizzativo, bensì la causa. La sentenza non manca di sottolineare che le mansioni precedentemente svolte dalla ricorrente sono state redistribuite tra i lavoratori rimasti in organico. Il LGMO, anche quello causato dall'IPS, può essere sintetizzato come il rapporto tra il potere organizzativo dell'imprenditore-datore di lavoro e l'impatto che questo può avere sui rapporti di lavoro. In assenza di tale nesso di causalità o nel caso in cui, come quello di cui trattasi, il rapporto causa effetto sia invertito, il LGMO non è legittimo (v. Cass. civ., sez. VI, 28 settembre 2016, n. 19815).

Osservazioni

Il giudicante aderisce a quel consolidato orientamento in base al quale il LIPS rientra nel LGMO (si veda ex plurimis Cass. sez. lav., 24 maggio 2005, n. 10914; Cass. sez. lav., 6 marzo 2007, n. 5112; Cass. sez. lav., 16 maggio 2016, n. 10018). Le condizioni di salute del lavoratore comportano un inadempimento di quest'ultimo per cause ad esso non imputabili, ma che ha conseguenze negative sul regolare funzionamento dell'impresa.

A tal proposito non deve sfuggire che la Cass. S.U., n. 7755/1998, risolvendo un contrasto all'interno delle sezioni semplici, aveva stabilito che anche nel caso di LIPS dovesse essere prima verificata la possibilità che il lavoratore potesse essere riassegnato a mansioni equivalenti o, in subordine, a mansioni inferiori con il mantenimento, tuttavia, della retribuzione originaria.

Questo orientamento è stato successivamente recepito dall'art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008 che ha aggiunto l'ulteriore onere per il datore di lavoro di provvedere ad eventuali adattamenti all'organizzazione del luogo di lavoro al fine di mantenere in organico il lavoratore divenuto disabile. Quest'ultima condizione costituisce l'unica ipotesi in cui vi può essere un parziale sindacato sulle scelte organizzative dell'imprenditore.

Resta da capire se l'interpretazione che considera il LIPS come una particolare ipotesi di LGMO possa dirsi ancora valida alla luce della riforma della tutela dai licenziamenti avvenuta con il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Quattro elementi propendono per il probabile diverso inquadramento giuridico della fattispecie. Nell'art. 2 co. 4 del D.Lgs. n. 23/2015 che disciplina l'ipotesi di cui trattasi è scomparso l'aggettivo “oggettivo” presente nell'art. 18 co. 7 L. n. 300/1970. Inoltre è stata prevista una tutela reintegratoria “forte” e non più debole così come prevista dall'art. 18 riformato dalla L. n. 92/2012 avvicinando, quindi, tale fattispecie a quella del licenziamento discriminatorio. La riqualificazione della fattispecie in discriminatoria esce rafforzata dalla collocazione topografica della disposizione, ovvero all'interno dell'art. 2 derubricato “Licenziamento nullo, discriminatorio e orale” e dal fatto che la norma non utilizzi più il termine “inidoneità”, bensì quello “disabilità” con un richiamo quindi, all'art. 15 della L. n. 300/1970, che si occupa di discriminazione anche sulla base di handicap. In ultimo, ma non per importanza, non si può non rimarcare come solo quest'ultima soluzione di inquadramento giuridico della fattispecie possa dirsi conforme alla Direttiva 2000/78/CE recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 216/2003.

Se da una parte è indubbia una maggiore tutela a favore del lavoratore licenziato per IPS, dall'altra parte occorre effettuare una breve riflessione sulla ripartizione dell'onere della prova.

Pur non costituendo l'oggetto della presente nota non si può non evidenziare come intorno al LGMO vi sia un acceso dibattito giurisprudenziale in relazione al presunto onere di allegazione (v. ex plurimis Cass. sez. lav., 12 settembre 2016, n. 17091) da parte del lavoratore consistente nell'indicare le posizioni lavorative disponibili, sia di pari livello che inferiori, alle quali può essere riassegnato, fermo restando poi l'onere probatorio in capo al datore di lavoro di dimostrare che tali posizioni non esistono, sono già state riassegnate o non sono compatibili con il profilo professionale del lavoratore licenziato.

A prescindere, comunque, dall'onere di allegazione in capo al lavoratore per quanto riguarda il repechage, basato in numerosi casi su un presunto principio di lealtà e collaborazione delle parti durante il processo (Cass. sez. lav., 16 maggio 2016, n. 10018), al momento pare inconfutabile ex art. 5 L. n. 604/1966 che tutti gli altri requisiti del LGMO debbano essere dimostrati integralmente dal datore di lavoro.

Il discorso è diverso per il licenziamento discriminatorio nel cui caso spetta al lavoratore dimostrare la condotta discriminatoria da parte del datore di lavoro.

Trattandosi di un onere piuttosto gravoso, prima l'art. 4 L. n. 125/1991, poi l'art. 28 del D.Lgs. n. 150/2011, hanno previsto che il lavoratore che esercita l'azione antidiscriminatoria possa limitarsi a dimostrare l'esistenza di fatti ed elementi sulla base dei quali, anche in base ad un criterio statistico, è plausibile presupporre una condotta discriminatoria. È necessario tuttavia che le presunzioni, sulle quali si basa il convincimento di un licenziamento discriminatorio, siano gravi, precise e concordanti.

Dall'altra parte il datore di lavoro dovrà dimostrare l'insussistenza oggettiva di una condotta discriminatoria. A nulla rileva l'esistenza o meno di un intento discriminatorio in capo al datore di lavoro. Quest'ultimo, invece, deve dimostrare che avrebbe adottato il medesimo comportamento anche nei confronti di un altro soggetto, privo di quel determinato status che secondo il lavoratore ha causato la discriminazione.

Un'ultima considerazione deve essere svolta su tale “mutazione” giuridica del LIPS. In dottrina si discute se esista o meno un aggancio normativo che giustifichi l'esistenza dell'onere di repechage nel GMO. Una possibile soluzione poteva essere l'art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008 che prevede che, nel caso di IPS del lavoratore, debba essere dimostrato che quest'ultimo non può essere riassegnato a mansioni equivalenti o inferiori. Posto che la giurisprudenza e lo stesso art. 18 co. 7 della L. n. 300/1970 definiva tale ipotesi di licenziamento come GMO, a giudizio dello scrivente era possibile sostenere una base normativa del repechage. Tale impostazione non pare più possibile per le ragioni sin qui esposte, ovvero che il licenziamento per IPS è divenuta una fattispecie discriminatoria. Aggiungendo a questo elemento il fatto che, sulla scorta delle recenti riforme, sia in giurisprudenza (si veda Cass. sez. lav., 7 dicembre 2016, n. 25201) sia in dottrina si è messo fortemente in dubbio il diritto al mantenimento del posto del lavoro ritenendo di dover spostare una buona parte delle tutele al di fuori del rapporto del lavoro e, quindi, nel momento successivo alla sua estinzione, sia con misure di ricollocamento che di sostentamento del lavoratore licenziato, non pare inverosimile che a breve possa esserci un intervento delle Sezioni Unite che determini in primis l'esistenza o meno del repechage come elemento giustificativo del LGMO e in secondo luogo la sua estensione anche a seguito della riforma dell'art. 2103 c.c.

Guida all'approfondimento

Santoro Passarelli G., Il licenziamento per giustificato motivo “organizzativo”: la fattispecie

Giubboni S., Il licenziamento del lavoratore disabile tra disciplina speciale e tutela antidiscriminatoria, in W.P.C.S.D.L.E “Massimo D'Antona”.IT, 67/2008, p. 7

Giubboni S., Il licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione dopo la legge Fornero e il Jobs Act, in W.P.C.S.D.L.E “Massimo D'antona”.IT, 261/2015, p. 12

Ferraresi M., Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, Torino, 2017, Giappichelli Editore

Maresca A., Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento: il prius, il posterius ed il nesso causale

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