La tardiva attuazione di una direttiva comunitaria conduce al risarcimento dei danni da parte dello stato
22 Dicembre 2015
Massima
Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni accademici compresi tra il 1983 ed il 1991, spetta anche ai medici specializzandi che avevano già iniziato il corso di specializzazione prima del 31 dicembre 1982, attesa l'assenza, nelle citate direttive, di una limitazione della platea dei beneficiari del diritto alla retribuzione ai soli medici iscritti ai corsi di specializzazione a partire dal 1° gennaio 1983, e, comunque, dovendosi ritenere una diversa interpretazione in contrasto con il criterio dell'applicazione cd. retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma comunitaria.
Qualora l'adeguamento del diritto interno non possa essere conseguito tramite interpretazione, gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili, qualificabili come comportamento antigiuridico, allorché ricorrano tre condizioni: 1) il risultato prescritto dalla direttiva implichi l'attribuzione di diritti a favore dei singoli; 2) il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva; 3) esista un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato ed il danno subito dai soggetti lesi. Il caso
Un medico aveva frequentato un corso di specializzazione in Italia a partire dal 1981. Per la frequenza di tali corsi, le norme comunitarie prevedevano la corresponsione allo specializzando di un'«adeguata rimunerazione» (così, la direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE del Consiglio; la materia è stata oggetto nel tempo anche delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 86/457/CEE, n. 93/16/CEE, n. 2005/36/CE). Il termine per l'attuazione della direttiva n. 82/76/CEE era fissato al 31 dicembre 1982. Essa fu tuttavia recepita nell'ordinamento italiano solamente con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (poi integrato dall'art. 11, L. 19 ottobre 1999, n. 370).
A causa della mancata attuazione della direttiva comunitaria, all'epoca della sua frequentazione del corso di specializzazione, il medico non aveva ricevuto alcun compenso. Se ne dolse pertanto con il Tribunale e, in seguito, con la Corte d'Appello di Roma, asserendo di aver subito un ingiusto pregiudizio a causa dell'intempestivo recepimento della direttiva e chiedendo il risarcimento del danno. La sentenza d'appello, favorevole al medico, fu impugnata dai Ministeri competenti presso la Corte di Cassazione sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
Il ricorso è stato respinto dalla Corte di Cassazione. La questione
La questione posta all'esame della Suprema Corte è pertanto la seguente: se il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni accademici compresi tra il 1983 ed il 1991, spetta anche ai medici specializzandi che avevano già iniziato il corso di specializzazione prima del 31 dicembre 1982.
Lo scioglimento del quesito rende altresì necessario il richiamo dei numerosi principî che vengono evocati dalle peculiarità del caso. Le soluzioni giuridiche
Il caso affrontato dalla sentenza in commento concerne, da un lato, in termini generali, il tema della risarcibilità per i corsi di specializzazione frequentati dal 1983 in avanti; dall'altro, in particolare, la risarcibilità in favore di chi, pur avendo proseguito i corsi nel 1983 e oltre, li avesse già intrapresi in precedenza.
Il primo profilo è stato risolto nel solco di un orientamento già espresso dalla stessa Suprema Corte e alla luce delle decisioni della Corte di Giustizia Europea, secondo il quale tutti i medici iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici correnti dal 1983 avevano diritto alla remunerazione stabilita dalla direttiva, anche se la tardiva legge di attuazione n. 257/1991 ne riconosceva il diritto solo dall'anno accademico 1991/1992 (cfr. Corte di Giustizia 25 febbraio 1999, C-131/97, Carbonari e altri; Corte di Giustizia 3 ottobre 2000, C-371/97, Gozza e altri; Cass., SS.UU., 17 aprile 2009, n. 9147; v. anche art. 11, L. n. 370/1999 cit.).
Il secondo aspetto, invece, è stato deciso dalla Corte in consapevole contrasto con un opposto orientamento di legittimità. Il Collegio ha infatti ritenuto che la remunerazione agli specializzandi (e, in sua vece, il relativo risarcimento) fosse dovuta anche a coloro che al 31 dicembre 1982 fossero già iscritti al corso.
La Corte è pervenuta a tale soluzione, ritenendo a) da un lato, che i caratteri della direttiva consentono ai soggetti interessati di far valere il pregiudizio scaturito dalla sua tardiva attuazione da parte dello Stato Italiano; e b), dall'altro, che, pur se iniziata prima del 1° gennaio 1983, la frequentazione della scuola di specializzazione era proseguita oltre tale data, con ciò consentendo l'applicazione dello ius superveniens a quella parte del rapporto che proseguiva nel vigore della nuova disciplina. Osservazioni
Con la sentenza in commento la Suprema Corte è tornata ad affrontare una materia che ha dato luogo ad un lungo e dibattuto contenzioso giudiziario, nazionale e comunitario. Per una più chiara esposizione della vicenda e delle questioni giuridiche che ad essa si riallacciano, conviene pertanto prendere le mosse dalle sue origini.
Come abbiamo ricordato, la vicenda nasce dalle direttive in materia di specializzazione medica e, segnatamente, dalla direttiva n. 82/76/CEE che istituì la previsione di un'«adeguata rimunerazione» in favore dei medici specializzandi. Il legislatore italiano le diede attuazione con quasi dieci anni di ritardo e prevedendo l'attribuzione delle «borse di studio» soltanto a partire dall'anno accademico 1991/1992.
Sorse pertanto un consistente contenzioso, promosso dai medici che chiedevano il pagamento delle borse di studio loro negate per gli anni di corso compresi tra il 1983 e il 1991. La questione fu risolta in favore dei medici, in applicazione dei principî di seguito esposti.
La Corte di Giustizia fu chiamata ad affrontare il tema nelle citate sentenze Carbonari e Gozza. La Corte avviò la propria analisi dai requisiti della direttiva: occorreva infatti verificare se questa contenesse obbligazioni incondizionate e sufficientemente precise da consentire la definizione di un diritto in favore dei soggetti interessati, anche prima del suo recepimento nazionale (cd. «self-executing»).
Ad avviso della Corte, la descrizione della fattispecie operata dalla direttiva era incondizionata e sufficientemente precisa laddove consentiva al giudice nazionale di circoscrivere la categoria dei medici specializzandi interessati. Parimenti incondizionato e preciso risultava l'obbligo di retribuire i periodi di formazione. Tali caratteri, viceversa, difettavano in merito all'identificazione dell'autorità nazionale obbligata e alla misura della remunerazione dovuta, aspetti per i quali era lasciata ampia e discrezionale delega agli Stati membri. Pertanto la direttiva, in difetto di attuazione, non consentiva al giudice nazionale di identificare il soggetto debitore né l'importo della remunerazione dovuta.
Svolte queste premesse, la Corte di Giustizia ricordò che l'obbligo posto a carico degli Stati membri di conseguire il risultato indicato da una direttiva comporta il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti, generali o particolari, atti a garantire l'adempimento di tale obbligo e che tale dovere incombe su tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (cfr. anche Corte di Giustizia 10 aprile 1984, C-14/83, Von Colson e Kamann; Corte di Giustizia 18 dicembre 1997, C-129/96, Inter-Environnement Wallonie; Corte di Giustizia 5 ottobre 2004, da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer). La direttiva, infatti, vincola gli Stati membri limitatamente al risultato da raggiungere, e non già in ordine alla forma ed ai mezzi da adottare (cfr. Cass. 16 settembre 1995, n. 9789). In esecuzione di tale dovere, il giudice nazionale deve applicare il diritto nazionale e, in particolare, le norme introdotte in attuazione di una direttiva, prediligendo l'interpretazione che quanto più possibile rispetti la lettera e lo scopo della direttiva onde conseguire il risultato che essa persegue (cfr. Corte di Giustizia 22 maggio 2003, C-462/99 Connect Austria; Corte di Giustizia 13 novembre 1990, C-106/89, Marleasing; Corte di Giustizia 16 dicembre 1993, C-334/92, Wagner Miret).
Viceversa, qualora il risultato prescritto da una direttiva non possa essere conseguito mediante un'interpretazione adeguatrice, il diritto comunitario impone agli Stati inadempienti membri di risarcire i danni causati ai singoli dalla mancata attuazione di una direttiva, purché siano soddisfatte tre condizioni: 1) vale a dire che la norma violata abbia lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli il cui contenuto possa essere identificato; 2) che la violazione sia sufficientemente grave; 3) e che esista un nesso di causalità diretta tra la violazione dell'obbligo imposto allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (cfr. Corte di Giustizia 14 luglio 1994, C-91/92, Faccini Dori; Corte di Giustizia 8 ottobre 1996, C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94, Dillenkofer e altri).
Per la liquidazione del danno, si disse infine, possono soccorrere le stesse misure di attuazione della direttiva adottate, pur tardivamente, dallo Stato membro. In altri termini, ad avviso della Corte di Giustizia, la liquidazione di un risarcimento adeguato può essere operata anche alla luce di quanto stabilito delle misure di attuazione della direttiva, che possono essere a tal fine applicate retroattivamente dal giudice nazionale, salva la prova ad opera dei beneficiari dell'esistenza di danni ulteriori, patiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi garantiti dalla direttiva (cfr. Corte di Giustizia 19 novembre 1991, C-6/90 e C-9/90 Francovich e Bonifaci).
Tali principî hanno trovato trasposizione nella giurisprudenza nazionale, per tutti, ad opera delle Sezioni Unite della Suprema Corte e di successive pronunce conformi (Cass., SS.UU., 17 aprile 2009, n. 9147; Cass. 17 maggio 2011, nn. 10913, 10814, 10815 e 10816; sul canone ermeneutico dell'interpretazione del diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario, cfr. anche Cass., SS.UU., 14 aprile 2011, n. 8486; Cass., SS.UU., 16 marzo 2009, n. 6316; Cass. 18 aprile 2014, n. 9082; Cass. 9 agosto 2007, n. 17579; Cass. 19 aprile 2001, n. 5776; Cass. 26 luglio 2000, n. 9795; Cass. 10 marzo 1994, n. 2346).
Le SS.UU. della Corte di Cassazione hanno infatti sancito che la direttiva n. 82/76/CEE concernente l'adeguata remunerazione degli specializzandi in medicina non era direttamente applicabile nell'ordinamento interno per via del suo carattere non dettagliato, che non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, né l'importo di quest'ultima.
Pertanto, ad avviso del Collegio, preclusa la via di un adeguamento in via interpretativa, sorgeva il diritto degli interessati al risarcimento del danno (cfr. Cass., SS.UU., n. 9147/2009 cit.; e anche Cass. 11 marzo 2008, n. 6427).
A questo proposito, è stato precisato che la configurazione di un danno risarcibile si deve alla circostanza che la mancata attuazione della direttiva costituisce un comportamento dello Stato membro suscettibile di essere qualificato come antigiuridico (oltre alla sentenza in commento e alle SS.UU. cit, cfr. Cass. 8 febbraio 2007, n. 2746; Cass. 5 ottobre 1996, n. 8739; Cass. 11 ottobre 1995, n. 10617; Cass. 19 luglio 1995, n. 7832). Il diritto al risarcimento, dunque, spettava a tutti gli specializzandi che avessero frequentato i corsi a partire dal 1983 (v. anche art. 11, L. n. 370/1999 cit.).
Tuttora oggetto di dibattito, invece, è il secondo aspetto del problema, quello affrontato specificamente dalla sentenza in commento. Persiste infatti il contrasto giurisprudenziale tra decisioni che ritengono di dover escludere dal diritto al risarcimento i medici che, alla data del 31 dicembre 1982, erano già iscritti a corsi di specializzazione (che pure sono proseguiti oltre il 1° gennaio 1983) e decisioni di segno opposto.
Ricordiamo tra le decisioni favorevoli ad estendere i benefici della direttiva anche ai medici già iscritti nel 1982, oltre alla sentenza in commento: Cass. 2 settembre 2015, n. 17434; Cass. 12 maggio 2015, n. 9613 (v. anche: Cass. 29 agosto 2011, n. 17682; Cass. 17 novembre 2011, n. 24092). Nel senso contrario, si vedano: Cass. 5 novembre 2015, n. 22619; Cass. 16 ottobre 2014, n. 21967; Cass. 10 luglio 2013, nn. 17067, 17069 e 17072; Cass. 27 novembre 2012, n. 21076; Cass. 6 luglio 2002, n. 9842.
In considerazione del contrasto insorto, recentemente la Sez. Lav. della Suprema Corte ha chiesto l'assegnazione della questione alle Sezioni Unite (cfr. Cass. 23 ottobre 2015, n. 21654).
L'orientamento che ritiene di escludere dal beneficio gli specializzandi già iscritti nel 1982 prende le mosse dall'assunto secondo cui l'inadempimento dello Stato è maturato soltanto il 1° gennaio 1983. Per i medici già iscritti ad un corso di specializzazione a quella data, il fatto costitutivo del diritto si sarebbe pertanto già verificato nel vigore della precedente disciplina, sicché estendere a costoro i benefici della norma successiva si sarebbe risolto «in una sorta di inammissibile retroattività degli effetti dell'inadempimento statuale» (Cass. n. 1157/2013 cit.; cfr. anche Cass. 18 agosto 2011, n. 17350; quest'ultima e, più diffusamente, Cass. 26 giugno 2013, n. 16104 affrontano anche il tema della prescrizione). Secondo tale orientamento, inoltre, il risarcimento per il periodo di corso successivo al 1° gennaio 1983 sarebbe escluso anche perché il corso va valutato nella sua unitarietà e non potrebbe ammettersi il frazionamento della disciplina tra diversi anni del medesimo corso. A questi argomenti, infine, si aggiungono talora le esigenze di finanza pubblica che deporrebbero in favore della gradualità dell'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa comunitaria.
La sentenza in commento ha ritenuto non condivisibile l'orientamento esposto e ha concluso che anche coloro che stavano già frequentando un corso di specializzazione alla data del 31 dicembre 1982 hanno diritto al risarcimento. Afferma infatti la sentenza che, in primo luogo, la prospettata limitazione ai soli medici iscritti ai corsi di specializzazione a partire dal 1° gennaio 1983 non trova alcun riscontro nella direttiva n. 82/76/CEE, mentre trova invece indiretta smentita nell'art. 14 della stessa, il quale stabilisce che: «le formazione a tempo ridotto di medici specialisti iniziate prima del 1 gennaio 1983, in applicazione dell'art. 3 della direttiva 75/363/CEE, possono essere completate conformemente a tale art.». Inoltre, le sentenze della Corte di Giustizia hanno indicato come rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva l'applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione, prevedendo la possibilità di risarcire tutti coloro che avevano subito un danno, senza operare alcuna distinzione in ordine all'anno di iscrizione al corso di specializzazione.
Infine, conclude la Corte, occorre altresì considerare che il corso di specializzazione frequentato dal medico configura un rapporto di durata. Nei confronti di un tale rapporto trova applicazione il principio secondo cui la legge sopravvenuta disciplina il rapporto giuridico in corso, sebbene sorto anteriormente, ogniqualvolta esso non abbia ancora esaurito i propri effetti e a condizione che la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto generatore del rapporto ma il suo perdurare nel tempo (cfr. Cass. 8 marzo 2001, n. 3385; Cass. 9 febbraio 2001, n. 1851).
Non appare giustificata, in conclusione, l'esclusione dei medici già iscritti a corsi di specializzazione prima del 1° gennaio 1983 dal risarcimento per la mancata attuazione della direttiva 82/76/CEE. |