Fra demansionamento e mobbing: quali i confini?
19 Maggio 2014
Un'impiegata amministrativa di un'azienda telefonica viene trasferita al servizio di centralinista. La Cassazione rigetta il ricorso della lavoratrice sulla domanda di risarcimento del danno da mobbing. Si chiede dunque una precisazione fra demansionamento e mobbing.
Il "distinguo" tra la dequalificazione professionale e il mobbing si gioca in realtà sul piano della prova. È necessario chiedersi quale può essere l'elemento di distinzione, indispensabile anche per quantificare l'eventuale risarcimento del danno subito. In caso di accertato demansionamento professionale il giudice di merito può desumere infatti l'esistenza del danno, determinandone anche l'entità in via equitativa. La giurisprudenza ha precisato che la dequalificazione non è necessariamente mobbing se non si prova l'intento persecutorio dell'azienda. La Cassazione, con la sentenza n. 12770 del 23 luglio 2012, ha affermato che la dequalificazione professionale non è prova certa di una volontà oppressiva e vessatoria del datore di lavoro. Non si può escludere, tuttavia, solo per questo, il riconoscimento di un indennizzo per il danno morale, biologico e professionale subìto, poiché il demansionamento del lavoratore comporta comunque uno svilimento della professionalità acquisita dal dipendente. Se il ricorso della lavoratrice è stato rigettato significa che per la Cassazione i singoli comportamenti non avevano in sé, congiuntamente e isolatamente considerati, contenuto mobbizzante, sicché dalla loro somma, mancando una qualsiasi prova dell'esercizio abusivo del diritto, non si poteva desumere un disegno persecutorio, fonte di risarcimento. |