Parità di trattamento tra lavoratori nel settore scolasticoFonte: Dir. 28 giugno 1999 n. 70
29 Giugno 2017
Introduzione
Al centro del dibattito del presente approfondimento si pone il tema della valorizzazione dell'anzianità di servizio dei docenti precari ai fini della corretta determinazione della loro retribuzione, ex art. 4 dell'accordo quadro europeo, sulla base del parametro costituito dal riconoscimento degli scatti di anzianità. A portare in auge nuovamente la questione sono state due recenti sentenze della Corte d'Appello di Milano e del Tribunale di Udine le quali, inserendosi nell'orientamento maggioritario, riconoscono tali diritti ai lavoratori assunti con contratti a termine.
Il riconoscimento di tali diritti per i lavoratori precari del settore scolastico è, infatti, ancora oggi al centro di un intenso contenzioso giudiziario pur essendo oramai stato più volte ribadito dalla Corte di Giustizia Europea, il principio in base al quale in applicazione della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a termine non sono ammesse disparità di trattamento tra lavoratori a temine e lavoratori a tempo indeterminato del pubblico impiego in materia di condizioni di impiego. Certamente il principio di non discriminazione inteso nel suo più ampia senso ha trovato da tempo nel sistema giuridico comunitario una significativa radicazione tanto da essere oggi sancito espressamente nella Carta di Nizza.
Nella sua accezione più strettamente giuslavorista tale principio ha trovato pieno riconoscimento nell'accordo quadro tra CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Più nello specifico, per quanto attiene al principio di non discriminazione tra lavoratori, come noto, l'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, come attuato dalla Direttiva comunitaria n. 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, ha inteso perseguire come obiettivo principale la regolamentazione del contratto a termine al fine di evitare da un lato discriminazioni tra lavoratori a termine e lavoratori assunti a tempo indeterminato e dall'altro un utilizzo illegittimo di tale strumento contrattuale prevedendo una serie di misure di prevenzione degli abusi legati al suo utilizzo.
Inoltre la rilevanza di tali finalità si avverte già dalla lettura del considerando 14 della Direttiva CE, laddove è espressa l'intenzione delle parti di “migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l'applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato”.
L'affermazione di tale obiettivo trova poi specificazione nel principio di parità di trattamento formulato nella clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Quest'ultima rubricata appunto “Principio di non discriminazione” sancisce, infatti, al primo comma un divieto generale di discriminazione tra lavoratori in relazione alle condizioni d'impiego giustificato dalla sola tipologia contrattuale con la quale tali vengono assunti, salvo ciò sia giustificato da ragioni oggettive.
Sulla falsariga, disciplinando il riconoscimento dell'anzianità di servizio, il quarto comma della clausola 4 dispone che: “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.”
Appare evidente dalla lettura della clausola come tale divieto debba intendersi come assoluto tanto che l'unica eccezione prevista è il ricorrere di una ragione obiettiva sulla cui definizione è spesso intervenuta la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea affermando come tale nozione richieda che la disparità di trattamento possa giustificarsi esclusivamente alla luce della sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego nel particolare contesto in cui s'inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti. Solo in tal modo è possibile verificare, dunque, che la deroga al principio di parità di trattamento sia tale da rispondere ad una reale necessità o comunque idonea a conseguire un determinato obiettivo perseguito. La clausola 4 dell'accordo europeo sul contratto a termine è stata, alla stregua della clausola 5, al centro di un significativo dibattito giurisprudenziale manifestatosi come un continuo dialogo tra le corti interne dei paesi appartenenti all'Unione Europea e la Corte di Giustizia Europea.
In particolare tre sono gli aspetti sui quali la Corte di Lussemburgo è stata a più riprese chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale: la nozione di ragioni oggettive, di clausole di impiego e la natura self executive della clausola 4 in materia di divieto di disparità di trattamento.
La Corte Europea, per quanto attiene al primo punto ha specificato, in più Ordinanze, come per ragioni oggettive debbano ritenersi quelle circostanze che possano risultare esclusivamente dalla particolare natura delle funzioni per cui è concluso un contratto a termine, dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro. Per tali motivi il giudice comunitario ha ritenuto come non possano considerarsi ragioni oggettive atte a giustificare una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ad esempio, le sole previsioni contenute in una norma generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale ed il datore di lavoro interessato (sentenza Del Cerro Alonso, punto 57). Inoltre la Corte di Giustizia, con Ordinanza 7 marzo 2013 in causa n. C-393/11, pronunciando sulla compatibilità con il diritto dell'Unione delle disposizioni dettate in tema di inquadramento dei dipendenti stabilizzati dall'art. 75 del D.L. 112/2008, ha richiamato detti principi evidenziando innanzitutto che le ragioni oggettive che giustificano la diversità di trattamento devono consistere in “elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s'inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, o sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche ad esse inerenti o eventualmente dal perseguimento di una legittima finalità politica sociale.”
Infine una recentissima sentenza della Corte di giustizia, VIII Sezione, del 13 marzo 2014 Malgorzata Nierodzik in causa n. C-38/13 pare risolvere definitivamente legata all'integrale applicazione della clausola 4 dell'accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato ai lavoratori pubblici.
Nel caso di specie oggetto del rinvio pregiudiziale era la diversa quantificazione del preavviso di licenziamento in base alla fonte contrattuale regolamentatrice del rapporto lavorativo. Dopo aver, infatti, concluso nello stesso senso della sentenza Carratù, la Corte ha sottolineato come “La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in questione nel procedimento principale, la quale prevede, ai fini della risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a sei mesi, la possibilità di applicare un termine di preavviso fisso di due settimane a prescindere dall'anzianità del lavoratore interessato, mentre la durata del preavviso di risoluzione nel caso dei contratti a tempo indeterminato è fissata in funzione dell'anzianità del lavoratore interessato e può variare da due settimane a tre mesi, quando tali due categorie di lavoratori si trovano in situazioni comparabili.”
Ma l'interpretazione della clausola 4 dell'accordo, come premesso, ha anche permesso alla Corte di Giustizia di fare chiarezza circa il significato di “condizioni di impiego”. Infatti, sulla questione, per l'appunto, quest'ultima si è pronunciata sempre nella causa Del Cerro Alonso, ma anche nella causa n. C-177/14, Regojo Dans, punto 44, evidenziando come tra le condizioni di impiego di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro rientri anche una pretesa che mira all'attribuzione, ad un lavoratore a tempo determinato, di scatti di anzianità che l'ordinamento nazionale riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato, e che la medesima clausola debba essere interpretata nel senso che essa osta all'introduzione di disparità di trattamento fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale ed il datore di lavoro interessato. Su tale tema sempre la giurisprudenza sovranazionale ritiene che, ai sensi della clausola 4 dell'accordo quadro la riserva di cui all'art. 137, n. 5 TCE, ora art. 153, n. 5 TFUE (che esclude la materia della retribuzione dalle competenze delle istituzioni comunitarie) non possa “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione”.
Superate le difficoltà interpretative poste dell'uso di espressioni come “condizioni di impiego” e “ragioni oggettive”, la giurisprudenza comunitaria ha anche più volte sottolineato, in riferimento alla clausola 4 dell'accordo, come il suo contenuto debba ritenersi incondizionato e sufficientemente preciso, posta la natura di diritto fondamentale dei lavoratori. Tale affermazione comporta che la norma non richieda atti di trasposizione interna della direttiva ai fini della sua applicazione, con la sola riserva relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive, le quali, tuttavia, rimangono sempre soggette al sindacato giurisdizionale. Tale principio, inizialmente sancito nella sentenza Impact, è stato più volte confermato come, ad esempio, nel caso della sentenza Gavieiro–Iglesias del 22.12.2010 nei procedimenti riuniti n. C-444/09 e n. C-456/09. In tale ultima sentenza è stato ulteriormente precisato che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro è norma incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da dipendenti pubblici temporanei nel settore scolastico dinanzi ad un Giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il beneficio delle indennità per anzianità di servizio. Tale affermazione riveste un significato di particolare importanza soprattutto nel pubblico impiego scolastico dove la mancata applicazione degli scatti di anzianità al personale non di ruolo è attualmente prevista da una specifica normativa interna. Il contenzioso davanti al giudice del lavoro
Il contenzioso davanti al giudice del lavoro nel settore scolastico in materia di parità di trattamento delle condizioni d'impiego tra lavoratori: il diritto al riconoscimento della ricostruzione di carriera ed agli scatti di anzianità.
Come premesso, nonostante la chiarezza del contenuto della clausola 4 dell'accordo quadro sul contratto a termine, nel settore pubblico il riconoscimento dell'applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori sulla base della sola tipologia contrattuale di assunzione tarda a trovare riconoscimento ed applicazione.
Specialmente nel settore pubblico, infatti, il Miur riconosce soltanto al personale assunto a tempo indeterminato la propria ricostruzione della carriera e l'anzianità di servizio in forza delle disposizioni di cui all'art. 53 comma 3 della Legge n. 312/80, nonché dagli artt. 3 e 4 DPR n. 399/1988 e dei successivi accordi economici.
In tal modo, appare ovvio come il legislatore abbia decisamente posto un ostacolo normativo al riconoscimento del diritto alla maturazione degli scatti in favore del personale non di ruolo assunto a tempo determinato.
Le statuizioni legali sono poi confermate dal CCNL vigente che, come i precedenti contratti, prevede infatti incrementi di retribuzione legati all'anzianità di servizio (artt. 78 e 79; tabelle 1 e 2) dei quali tuttavia attualmente beneficia solo il personale di ruolo, mentre il personale assunto con contratti a termine, pur lavorando a lungo per l'amministrazione pubblica, in forza di contratti a tempo determinato, percepisce sempre la stessa retribuzione senza mai alcun aumento legato all'anzianità di servizio.
In tal modo si realizza un trattamento differenziato tra coloro che svolgono la medesima attività a seconda del contratto regolatore del rapporto di lavoro: incrementi di retribuzione per l'anzianità di servizio per quelli a tempo indeterminato; assenza di incrementi di retribuzione per l'anzianità di servizio per quelli a tempo determinato, con significativa lesione del principio di non discriminazione tra lavoratori assunti per lo svolgimento delle medesime mansioni.
Per tale motivo è ancora oggi in corso un forte contenzioso teso proprio al riconoscimento di tale diritto da parte dei precari del settore scolastico.
Come visto, non sono mancate occasioni alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea per intervenire costantemente in materia di interpretazione della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato decretando, appunto, come nella definizione di condizioni d'impiego rientri pienamente il diritto dei lavoratori a termine a vedersi riconosciuta l'anzianità di servizio e quindi il riconoscimento degli scatti di anzianità per parità di retribuzione, nonché la sua natura di norma self executive permettendo la disapplicazione delle normative interne contrarie.
Sulla scorta delle affermazioni della Corte di Giustizia anche la Corte di Cassazione italiana, intervenendo sulla questione ha, in più occasioni, con una giurisprudenza ad oggi ormai qualificabile come granitica, riconosciuto il diritto al riconoscimento degli scatti stipendiali al personale scolastico, Ata e docenti, assunto con contratti a termine, nonostante gli indirizzi contrari in alcune occasioni adottati dalla varie corti di merito italiane.
Ed infatti a fronte di numerose sentenze aventi ad oggetto il suddetto riconoscimento con conseguente condanna della P.A., si sono alternati anche orientamenti di diverso segno, in particolare inaugurati dalla giurisprudenza della Corte di Appello di Milano, che in varie occasioni ha negato il diritto agli scatti appellandosi al “peculiare sistema retributivo del personale assunto con contratto a tempo indeterminato” il quale giustificherebbe appunto tale disparità di trattamento, posto che lo stesso “presuppone che il lavoratore risulti immesso nel ruolo organico dell'amministrazione, all'esito non solo di un'apposita procedura concorsuale ma anche del superamento di un congruo periodo di prova, cui si accompagnano ulteriori specifici doveri quali – ad esempio – quelli del trasferimento nei casi di eccedenza del personale e della disponibilità in taluni periodi estivi per attività formative ed altro” (App. Milano, Sentenza 15 maggio 2012, n. 709). Ebbene tali statuizioni non passarono inosservate ed anzi andarono a fondare la nota e forse unica sentenza della Corte di Cassazione emessa in tale direzione (Cass. sez. lav., n. 10127/2012).
In realtà attualmente l'orientamento maggioritario sia della giurisprudenza di merito che quella di legittimità ha ormai fissato dei punti fermi in materia. Tra le varie statuizioni della Corte di Cassazione, per chiarezza di esposizione brilla da ultimo la sentenza n. 22552/2016. Nel provvedimento, nel richiamare la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, gli Ermellini hanno infatti ribadito come la clausola 4 dell'accordo quadro escluda in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno. Ma ad essere rafforzato è anche l'interpretazione del giudice comunitario ai sensi della il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzione contenuta nell'art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5) “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione”. Sempre la Cassazione afferma poi che le pretese retributive derivanti dal riconoscimento dell'anzianità di servizio del lavoratore, costituendo condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, possono essere legittimamente negate ai lavoratori con contratto a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva che non può essere tuttavia costituita da un previsione di legge, né dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro, né ancora dalla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate. Tale orientamento è stato da ultimo ripreso e confermato prima dalla Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 24/01/2017, n. 208 e successivamente dalla Corte d'Appello di Milano, dal Tribunale di Udine con sentenza del 10 aprile 2017, n. 117 e dalle due sentenze del Tribunale di Roma del 8 febbraio 2017, nn. 1133 e 1132.
Tutte le statuizioni delle Corti citate, inserendosi nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione, hanno infatti confermato quanto espresso dalla Corte di Giustizia europea riconoscendo il diritto dei docenti precari al riconoscimento dell'anzianità di servizio con contestuale condanna della P.A. al pagamento delle differenze retributive maturate, mutuandone le argomentazioni giuridiche. In particolare una specifica attenzione meritano, infine, le due pronunce emesse della Corte romana lo scorso febbraio sullo specifico tema. Nella parte della motivazione il giudice del lavoro capitolino, chiamato ad accertare il diritto al ricoscimento dell'anzianità di servizio di alcuni docenti non di ruolo, ha infatti con grade chiarezza espositiva affermato che la circostanza per cui i lavoratori a termine una volta assunti a tempo indeterminato si vedano riconosciuti gli anni di pre-ruolo ai fini dell'anzianità di servizio conferma “la perfetta analogia tra le condizioni di lavoro dei dipendenti a tempo determinato e l'attività da essi espletata, rispetto a quelle proprie delle corrispondenti categorie di personale assunto a tempo indeterminato”. (Trib. Roma, Sentenze 8 febbraio 2017, nn. 1133 e 1132) Tale passaggio evidenzia e conferma il principio in base al quale, a fronte dello svolgimento di medesime mansioni, non sia invocabile alcuna differenza di trattamento retributivo, pena la violazione della clausola 4 dell'accordo quadro europeo sul lavoro a termine.
|