Congedo straordinario per assistenza disabili: l'elenco degli aventi diritto è tassativo

Paolo Bonini
26 Settembre 2014

Con risposta ad Interpello n. 23 del 15 settembre 2014, il Ministero del Lavoro indica che l'elenco degli aventi diritto al congedo straordinario per assistenza a congiunti in situazione di grave disabilità, deve intendersi come tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica. Dopo una ricostruzione dell'Istituto, un breve commento alle nuove indicazioni di Prassi.

Quadro normativo ed evolutivo

L'Istituto in oggetto, disciplinato dall'art. 42, c. 5-5 quinquies, D.Lgs. n. 151/2001, trae origine dal congedo di cui all'art. 4, c. 2, L. n. 53/2000. Quest'ultimo contiene una previsione di carattere generale in base alla quale, in presenza di “gravi e documentati motivi familiari”, è riconosciuta al lavoratore dipendente la facoltà di astenersi dal lavoro per un periodo massimo di due anni, anche frazionati, con diritto alla conservazione del posto, ma non alla retribuzione né al computo del periodo ai fini previdenziali e dell'anzianità di servizio. Successivamente il legislatore (art. 80, c. 2, L. n. 388/2000), nell'intento di rafforzare le misure a tutela della maternità e paternità, riconosce, ai genitori (lavoratori dipendenti) di “soggetto con handicap in situazione di gravità”, il diritto al medesimo congedo attribuendo loro, per tutto il periodo di fruizione, sia un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, sia l'accredito della contribuzione figurativa. Il diritto era riconosciuto anche ai fratelli o sorelle conviventi, nel caso in cui i genitori fossero deceduti. L'indennità era (ed è tuttora) riconosciuta entro limiti massimi annui, rivalutati annualmente in funzione della variazione dell'indice FOI (per il corrente anno il limite è pari ad € 47.351,00, Circ. INPS n. 20 del 6 febbraio 2014). La situazione di handicap grave è accertata e certificata dalle commissioni di cui all'art. 4, L. n. 104/92, sulla base dei criteri individuati dall'art. 3 della medesima legge (per maggiore completezza in ordine alle procedure di accertamento e certificazione, si veda l'art. 2, D.L. n. 324/1993, conv. in L. n. 423/1933, recentemente modificato dall'art. 25, c. 4, D.L. n. 90/2014). Nella versione originaria, il diritto al congedo era subordinato alla permanenza della situazione di gravità della menomazione da almeno 5 anni; vincolo poi superato con la modifica apportata dall'art. 3, c. 106, L. n. 350/2003, in base al quale il beneficio è erogato a prescindere dalla data di insorgenza dello stato di disabilità grave. Nel frattempo, coerentemente con la ratio originaria, ferma restando la collocazione della disciplina riguardante il congedo non retribuito di cui sopra, l'istituto era stato trasferito nel corpo del “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, D.Lgs. n. 151/2001 (art. 42, c. 5). La successiva evoluzione è da attribuire sostanzialmente ai ripetuti interventi della Corte Costituzionale (riferimenti in calce), che, in ossequio, su tutti, ai principi di eguaglianza (art. 3 Cost.), protezione familiare (art. 29 Cost), tutela della salute (art. 32 Cost), sussidiarietà (art. 118 Cost.), hanno progressivamente ampliato la platea dei beneficiari, tanto che ad oggi il congedo straordinario, ancora collocato nel D.Lgs. n. 151/2001, non consiste più soltanto in una misura di sostegno alla genitorialità ma in uno “strumento di politica socio-assistenziale” a favore delle persone con handicap grave; sebbene, secondo una tendenza tipica del nostro ordinamento di welfare (privo di una netta separazione tra misure di “previdenza” e “assistenza”), esso sia riconosciuto a partire dalla particolare condizione di lavoratore dipendente, propria del soggetto che presta assistenza.

Sulla scorta delle sopra richiamate pronunce giurisprudenziali è intervenuto il D.Lgs. n. 119/2011 (artt. 3 e 4), in forza della delega contenuta nella L. n. 183/2010; il recepimento delle indicazioni della Corte è qui declinato innanzitutto con la previsione del seguente ordine di priorità nell'individuazione degli aventi diritto (art. 42, c. 5, D.Lgs. n. 151/2001):

  • coniuge convivente;
  • padre o madre, anche adottivi;
  • uno dei figli conviventi;
  • uno dei fratelli o sorelle conviventi.

Val la pena ricordare da subito che, frattanto, la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta con la sentenza n. 203/2013, dichiarando l'illegittimità della citata disposizione "nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto… il parente o l'affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave". La platea dei beneficiari risulta oggi così ulteriormente ampliata, fermi restando i criteri orientativi per la "scelta" del beneficiario, consistenti appunto nella mancanza, decesso o presenza di patologie invalidanti in capo al soggetto posto dalla legge in posizione prioritaria. Quest'ultima sentenza appare opportuna non solo da un punto di vista strettamente sostanziale, ma anche perché rende l'istituto del congedo straordinario più coerente (nell'individuazione dei beneficiari) con i permessi (tre giorni/mese) di cui all'art. 33, L. n. 104/92, i quali sono rivolti alla tutela del medesimo interesse all'assistenza della persona disabile grave.

Inoltre, ancora con riguardo ai soggetti beneficiari, il comma 5-bis dell'art. 42, stabilisce il cd. principio del "referente unico": il congedo non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona disabile, salvo il caso dei genitori, che potranno alternarsi nella fruizione del congedo in favore del figlio disabile; durante tali periodi non sarà comunque possibile, per l'altro genitore, neppure fruire dei permessi ex art. 33, L. n. 104/92, soggetti peraltro al medesimo regime di alternanza nella fruizione.

I soggetti aventi diritto così individuati potranno quindi astenersi dal lavoro (entro sessanta giorni dalla richiesta) per un periodo massimo di due anni nell'arco dell'intera vita lavorativa, continuativi o frazionati. Nel caso in cui la persona da assistere sia ricoverata a tempo pieno, il congedo potrà essere riconosciuto solo qualora i sanitari richiedano la presenza di un familiare.

Con riferimento alla durata massima dei congedi (Circ. INPS n. 32/2012), ricordiamo inoltre che:

  • il periodo di congedo straordinario rientra nel limite massimo globale di due anni per gravi e documentati motivi familiari;
  • pertanto, qualora un soggetto abbia già fruito di permessi non retribuiti per gravi motivi familiari, potrà fruire del congedo retribuito solo per l'eventuale periodo residuo fino ai due anni;
  • in quest'ultimo caso, il disabile potrà vedere comunque realizzato il suo diritto all'assistenza per due anni, attraverso il riconoscimento del congedo residuo ad un altro familiare, che ne abbia potenzialmente diritto a termini di legge (la Circolare in parola fa riferimento all'"altro genitore", riprendendo letteralmente quanto già indicato nella Circ. n. 64/2001, precedente l'estensione della platea dei beneficiari, nella quale peraltro già si leggeva: "Le stesse regole valgono per i fratelli dei soggetti handicappati in caso di decesso dei genitori").

Il D.Lgs. n. 119/2011 interviene anche sulla quantificazione dell'indennità economica, che è oggi riconosciuta sì sulla base dell'ultima retribuzione, ma con esclusione degli istituti retributivi indiretti e/o differiti quali mensilità aggiuntive e TFR, fermo il riconoscimento della contribuzione figurativa. L'indennità è anticipata dal datore di lavoro e da questi recuperata, con le consuete modalità, in sede di denuncia e versamento dei contributi previdenziali dovuti.

L'Interpello n. 23/2014

L'oggetto dell'istanza riguarda la possibilità di riconoscere il congedo straordinario al genitore del disabile, pur in presenza di un convivente more uxorio. Nella sua risposta il Ministero del Lavoro sottolinea come la disposizione che stabilisce la priorità del coniuge nella fruizione del congedo non è suscettibile di interpretazione analogica, e pertanto non può estendersi anche al convivente non coniugato con il soggetto disabile. Da qui, la conclusione che l'individuazione dei soggetti aventi diritto al periodo di congedo sia tassativa, anche in considerazione del fatto che il beneficiario del congedo ha diritto alla percezione di un'indennità economica.

D'altra parte, probabilmente non è questo l'unico argomento a favore della tassatività dell'elenco dei beneficiari di cui all'art. 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001: anche solo la lettura delle sentenze della Corte Costituzionale qui citate porta a conclusioni similari. Non solo, infatti, la Corte, per quanto abbia ampliato progressivamente, come si è visto, il novero degli aventi diritto, si è rifiutata, pur con argomentazioni prevalentemente "tecniche", di estendere la fruibilità del congedo a chiunque possa vantare un rapporto di parentela tout court, anche oltre il terzo grado, con la persona disabile; ma soprattutto, nel riassumere la ratio della norma, essa fa riferimento al congedo quale misura di welfare volta alla tutela della salute e della sfera sociale e personale del soggetto disabile, la quale si ritiene meglio realizzata in ambito familiare, nel quadro della "valorizzazione delle relazioni solidarietà interpersonale e intergenerazionale, di cui la famiglia costituisce esperienza primaria, in attuazione degli artt. 2, 3, 29, 32 e 118" (Corte Cost. n. 203/2013). Laddove il richiamo all'art. 29 ci ricorda come a tutt'oggi la famiglia, costituzionalmente riconosciuta come tale, trovi ancora nel vincolo matrimoniale il suo fondamento.

Riferimenti normativi:

D.L. 24 giugno 2014 n. 90

D.Lgs. 18 luglio 2011 n. 119

L. 24 dicembre 2003 n. 350

D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151

L. 23 dicembre 2000 n. 388

Prassi:

INPS, Circolare 6 febbraio 2014, n. 20

INPS, Circolare 15 novembre 2013, n. 159

INPS, Circolare 6 marzo 2012, n. 32

INPS, Circolare 16 marzo 2009, n. 41

INPS, Circolare 15 marzo 2001, n. 64

Giurisprudenza:

Corte Cost. 18 luglio 2013 n. 203

Corte Cost. 30 gennaio 2009 n. 19

Corte Cost. 8 maggio 2007 n. 158

Corte Cost. 16 giugno n. 233

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