Costituisce truffa il viaggio di piacere durante i giorni di permesso ex legge 104/1992

La Redazione
24 Gennaio 2017

Colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33, l. 104/1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere l'attività lavorativa ...

Colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33, l. 104/1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere l'attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all'estero in viaggio di piacere, non prestando quindi alcuna assistenza.

La ratio legis dell'istituto del permesso mensile retribuito è quella di favorire l'assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare. Le finalità dell'istituto sono da rinvenire, quindi, da un lato, nell'assicurare in via prioritaria la continuità delle cure e nell'assistere il disabile in ambito familiare; dall'altro, in un intervento economico integrativo di sostegno alle famiglie il cui ruolo risulta fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap.

Per tali ragioni, la Corte di cassazione, Sez. II, con sentenza n. 54712/2016 depositata il 23 dicembre 2016, ha ritenuto non meritevole di accoglimento la doglianza presentata dalla ricorrente secondo la quale la ratio legis dell'art. 33 l. 104/1992 non consiste solo nella salvaguardia della salute psicofisica della persona della persona affetta da grave handicap ma anche nella realizzazione del completo equilibrio del lavoratore impegnato, oltre che nel proprio lavoro, anche nella talora gravosissima cura del soggetto disabile.

I giudici di legittimità ritengono infondato anche l'altro motivo di ricorso con il quale l'imputata chiedeva l'applicazione dell'art. 131-bis c.p., affermando il principio di diritto secondo cui la condotta di chi, durante il periodo in cui usufruisce dei permessi ex art. 33 l. 104/1992 si rechi all'estero in gita di piacere, commettendo quindi il reato di truffa, non può essere considerato un fatto di particolare tenuità. Questo in quanto una simile condotta, oltre ad essere gravata sulla collettività, dimostra la strumentalizzazione della malattia del familiare per allungare una vacanza, tale comportamento, spiega il Collegio, è espressione di un illegittimo malcostume, conseguenza di una malriposta fiducia nella lealtà del dipendente che dimostra che l'omissione dell'effettuazione di controlli può essere facilmente utilizzata dal dipendente che se ne voglia approfittare per proprio tornaconto personale.

Fonte: ilpenalista.it

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