Licenziamento per g.m.o. inefficace in assenza del parere del Comitato di Redazione

24 Settembre 2015

Nell'ipotesi in cui, a seguito della cessazione di una Testata giornalistica, si intenda procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo dei giornalisti ivi impiegati, la preventiva comunicazione della scelta aziendale al Comitato di Redazione, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 4 e 34 del CCNLG, assume la valenza di condizione di procedibilità del recesso, con la conseguenza che l'omessa comunicazione inficia la risoluzione del rapporto di lavoro e rende inefficace il licenziamento.
Massima

Nell'ipotesi in cui, a seguito della cessazione di una Testata giornalistica, si intenda procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo dei giornalisti ivi impiegati, la preventiva comunicazione della scelta aziendale al Comitato di Redazione, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 4 e 34 del CCNLG, assume la valenza di condizione di procedibilità del recesso, con la conseguenza che l'omessa comunicazione inficia la risoluzione del rapporto di lavoro e rende inefficace il licenziamento.

Il caso

Un giornalista dipendente di una Società editoriale, inquadrato come Capo Servizio, veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo, in conseguenza del generale piano di risanamento economico che aveva comportato la chiusura del periodico nell'ambito del quale egli svolgeva la propria attività.

La Corte di Appello di Milano, riformando la decisione resa dal Giudice del primo grado, ha ritenuto inefficace il predetto licenziamento, per violazione dell'

art. 34

del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico del 2001, essendo emerso che non era stato preventivamente richiesto il parere del Comitato di Redazione, adempimento, questo, previsto come obbligatorio e finalizzato alla tutela delle posizioni sindacali e dei singoli lavoratori colpiti da provvedimento di licenziamento.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha confermato la sentenza di secondo grado.

La questione

La questione in esame, risolta dalla Suprema Corte di Cassazione, riguarda la rilevanza da attribuire al parere preventivo, obbligatorio, rimesso, ai sensi dell'art. 34 del contratto collettivo di categoria, al Comitato di Redazione.

Detto parere è preventivo all'emanazione di una serie di provvedimenti datoriali.

Nel caso di specie il parere riguardava la risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo di un giornalista.

Ad avviso del lavoratore, licenziato senza il preventivo parere, la prescrizione introduce un vero e proprio obbligo idoneo ad assumere la valenza di condizione di efficacia dell'atto di risoluzione del rapporto di lavoro; ad avviso della Società, invece, l'eventuale violazione della preventiva comunicazione integra solamente una condotta antisindacale, rispetto alla quale il lavoratore non è titolare di alcuna legittimazione ad agire.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso specifico, nel quale il licenziamento era stato dettato dalla cessazione di un periodico edito dall'Azienda editoriale che ha disposto il recesso, la Suprema Corte ha rilevato che l'art. 34 CCNLG, nella parte in cui prevede, tra l'altro, che il Comitato di Redazione debba esprimere pareri preventivi in tema di licenziamenti, deve essere letto ed interpretato anche alla luce del disposto di cui all'art. 4 del medesimo contratto collettivo.

Le predette disposizioni, in questo caso, assumono la valenza di condizione procedimentale, che introduce una garanzia diretta in favore dei lavoratori, divenendo il presupposto di legittimità del licenziamento, oltre che lo strumento di tutela delle prerogative sindacali.

La soluzione adottata dalla Corte ha tratto spunto sia dalla espressa previsione contrattuale con la quale si attribuisce la natura obbligatoria al parere preventivo, sia dalla previsione dell'art. 4 dello stesso contratto collettivo, il quale prevede una sorta di diritto di repechage, di derivazione sindacale, in caso di cessazione dell'attività di una testata o della riduzione di organici da parte delle redazioni interessate, successivamente alla realizzazione dei programmi di integrazione e di supporto regolamentati dall'art. 43 del CCNLG, in materia di sinergie editoriali.

Nel caso di cessazione dell'attività di una testata, l'art. 4, ult. cpv. del contratto di categoria prevede che “l'editore ed il comitato di redazione, assistiti dalla FIEG e dalla FNSI, si incontreranno al fine di verificare la possibilità di riassorbimento dei giornalisti e dei praticanti in altre testate della stessa azienda o dello stesso gruppo editoriale o di testate di società controllate”.

La previsione specifica il ruolo gestorio, in capo al Comitato di Redazione, delle riorganizzazioni idonee a creare pregiudizio per l'organizzazione del lavoro e per l'assetto occupazionale, come presupposto della salvaguardia dell'occupazione medesima, già prescritta dalla lettera e) dell'art. 34 in esame, ai sensi del quale, il Comitato di Redazione è chiamato ad “esprimere pareri preventivi o formulare proposte sui nuovi programmi, iniziative di ristrutturazione aziendale, trasferimenti di impianti, ed ogni attività che investa la struttura dell'azienda e che, comunque, possa recare pregiudizio alle specifiche prerogative dei giornalisti”.

Osservazioni

Il principio affermato dalla pronuncia in esame non appare chiaro e può destare perplessità.

Dalle motivazioni addotte non si comprende, infatti, se la conclusione avallata dalla Suprema Corte sia stata indotta dalla specifica fattispecie regolamentata, oltre che dall'art. 34 CCNLG, anche dall'art. 4 del contratto stesso o se la stessa possa dirsi valevole anche nel caso in cui il licenziamento sia determinato da ragioni oggettive, esulanti dalla cessazione dell'attività di una testata o del piano sinergico di gruppo.

In alcuni passi della sentenza, infatti, pare avallata questa seconda impostazione, in quanto la Corte afferma che il tenore letterale dell'art. 34 CCNLG lascia chiaramente intendere che la comunicazione preventiva al C.d.R. “costituisce un atto dovuto, a prescindere dalla considerazione che possa essere o meno obbligatorio il successivo parere che potrà essere formulato dal comitato di redazione. In pratica, dalla lettura della norma di cui all'art. 34 del contratto in esame si evince che tale adempimento è previsto a garanzia dei diritti lavoratori, oltre che dei sindacati, tanto che la stessa disposizione aggiunge espressamente che in ogni caso per l'applicazione del comma d) avranno luogo incontri con periodicità quindicinale tra direttore e comitato di redazione".

Di diverso tenore, invece, appaiono le affermazioni che sembrano focalizzare l'attenzione e, forse, l'esito della decisione, sulla circostanza che, nella vicenda di specie, l'omissione ha riguardato la procedura di consultazione contemplata nell'art. 4, del CCNLG: “Se ne deduce, quindi, che la parte datoriale, in base alla suddetta sequela procedimentale, è tenuta ad informare il comitato di redazione e non a caso la norma di cui all'art. 4, u.c., dello stesso contratto prevede, nell'ipotesi di cessazione di attività di una testata, che l'editore ed il comitato di redazione, assistiti dalle federazioni degli editori dei giornali e della stampa FIEG e FNSI, debbano incontrarsi al fine di verificare la possibilità di riassorbimento dei giornalisti e dei praticanti in altre testate della stessa azienda o dello stesso gruppo editoriale o di testate di società controllate. Orbene, nella fattispecie in esame, in cui si controverte di un'ipotesi di licenziamento per motivo oggettivo dovuto a ragioni aziendali, la Corte territoriale ha accertato in punto di fatto, con congrua motivazione che sfugge ai rilievi di legittimità, che non fu eseguita la predetta comunicazione di cui all'art. 34 del CNLG del 2001 e che nemmeno fu ritualmente eseguito il confronto di cui all'art. 4, u.c., dello stesso contratto, per cui le violazioni di tali norme collettive in tal modo manifestatesi non potevano non incidere sull'efficacia del licenziamento. Tra l'altro, per quel che concerne la ravvisata mancanza di un rituale svolgimento del confronto di cui al citato art. 4, si rileva che la ricorrente non muove una censura specifica al riguardo di tale importante passaggio decisionale dell'impugnata sentenza”.

Dal complessivo argomentare operato, però appare che il ricorso al disposto dell'art. 4, al fine di attribuire alla comunicazione preventiva la natura di presupposto sostanziale di efficacia del licenziamento, sia stato operato ad adiuvandum per confermare una conclusione alla quale, probabilmente, la Suprema Corte sarebbe comunque arrivata.

Infatti, ciò che pare assumere un pregnante significato nel convincimento espresso dalla sentenza in esame riguarda la natura obbligatoria del parere preventivo, la quale, come tale, rende ininfluente la circostanza che il parere stesso, una volta reso, non è dotato di alcun potere vincolante per il datore di lavoro.

Simile pronuncia, soprattutto se riferita al solo art. 34 CCNLG e, quindi, da ritenersi valevole per ogni ipotesi di licenziamento per motivo economico (anche diverse da quelle contenute nell'art. 4) è certamente significativa e segue le orme già tracciate dalla sentenza resa dalla Cassazione in data 22 aprile 2008, n. 10337, nella quale si verteva degli effetti indotti dalla violazione formale, in esame nell'ipotesi del licenziamento di un giornalista titolare di una carica sindacale.

In questo caso la disposizione prevede un ulteriore iter procedurale, articolato in una richiesta di nulla osta dal datore di lavoro all'Associazione sindacale del dipendente, al cui esito negativo consegue un intervento da parte della Commissione paritetica nazionale, istituita dall'art. 47 del CCNLG, alla quale è affidato il compito di svolgere un tentativo di conciliazione, esaurito negativamente il quale le parti riprendono la loro libertà di azione anche giudiziaria.

La difesa datoriale ha sostenuto che la norma perseguirebbe unicamente lo scopo di garantire al lavoratore sindacalista di non essere licenziato per ritorsione per l'attività sindacale espletata, di modo che la violazione del procedimento ivi prescritto si paleserebbe, semmai, come condotta antisindacale, senza poter influire in alcun modo sulla legittimità/efficacia del licenziamento.

Ad avviso della Suprema Corte, invece, la sequenza di atti previsti dall'art. 34 in esame (che, nei fatti, sembra richiamare quanto già previsto dall'Accordo Interconfederale 18 aprile 1966 sulle Commissioni Interne), “istituisce, a garanzia di una piena trasparenza in materia di licenziamento di un dipendente sindacalista, un procedimento costituito dalla sequela di atti descritti - in cui interviene anche il sindacato e, in seconda istanza, un organo paritetico -, attribuendo a tale procedimento la funzione di integrare la fattispecie costitutiva dell'efficacia del licenziamento medesimo, secondo una tecnica di procedimentalizzazione del potere datoriale”.

Ora, seppure nella diversità letterale delle due previsioni, in quanto nel caso appena proposto la norma prevede espressamente il divieto del licenziamento in assenza del nulla osta sindacale mentre, nell'ipotesi affrontata nel caso in esame la disposizione prescrive solo il l'acquisizione del parere, non vincolante, del C.d.R., ciò che indubbiamente rileva nell'interpretazione giurisprudenziale è la valorizzazione della procedura preventiva introdotta per via contrattuale.

Ritenere l'onere procedimentale quale presupposto della validità dell'atto di recesso, significa attribuire alla formalità il ruolo di condizione di efficacia del licenziamento, aspetto, questo, talvolta escluso dalla giurisprudenza di merito [secondo P. Roma, 21 marzo 1995 “Qualora l'azienda, violando accordi contrattuali, abbia omesso di raccogliere il parere (necessario ma non vincolante) delle oo.ss. i provvedimenti così adottati, ancorché irrituali, non sono affetti da nullità ma la loro efficacia rimane sospesa fino a che l'azienda non provveda ad integrare l'iter, procedendo alle opportune informazioni e all'acquisizione del previsto parere”].

L'inefficacia del provvedimento può essere di derivazione legale o contrattuale.

La giurisprudenza della Suprema Corte, sempre con la sentenza n. 10337/2008, ha ritenuto che nei casi di “inefficacia previsti da una norma di natura contrattuale, le conseguenze sono quelle di disciplina generale, che prevede che il negozio di licenziamento debba ritenersi privo di effetto, con la correlata prosecuzione de iure del rapporto di lavoro e quindi con la permanenza in capo al datore di lavoro dell'obbligo retributivo fino alla effettiva reintegrazione del dipendente o al suo valido ed efficace licenziamento”.

In questo senso si era espressa Cass. 20 febbraio 2007 n. 3929, chiamata a pronunciarsi sul licenziamento di un dirigente pubblico, disposto senza il preventivo parere del Comitato dei Garanti. La Suprema Corte, in applicazione del disposto di cui all'art. 20, D.Lgs. n. 29/1993 e dell'art. 27 CCNL del Comparto Enti Locali (ratione temporis vigente) ha ritenuto che a seguito di simile omissione il licenziamento è viziato da carenza di potere in capo all'Ente e, pertanto inefficace: “ ... l'annullamento della procedura di accertamento di responsabilità ben può derivare, come nella fattispecie, dalla mancata richiesta di un parere obbligatorio e vincolante”.

In presenza di un licenziamento inefficace, prima dell'avvento della riforma Fornero, nessun dubbio sorgeva circa la tutela applicabile in favore del lavoratore, che avrebbe beneficiato del ripristino di diritto comune, sulla base del fatto che il licenziamento intimato fosse da considerarsi tamquam non esset: “Se quanto precede è vero, la nullità-inefficacia del recesso comporta la prosecuzione "de iure" del rapporto di lavoro” (Cass. 20 febbraio 2007 n. 3929).

Oggi, in ipotesi di violazione del presupposto di efficacia dell'atto di recesso risulta invocabile la tutela reintegratoria, disposta dall'art. 18, comma 1, St. lav. (applicabile, giusto il comma 8 della medesima disposizione, indipendentemente dal numero dei dipendenti impiegati), nel caso in cui la procedimentalizzazione del licenziamento sia di derivazione legale e, quindi, la relativa violazione sia “riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge” (il riferimento è ai casi di nullità diversi da quelli previsti dalla disposizione statutaria e non riguarda la disciplina dei licenziamenti collettivi espressamente destinatari di apposita regolamentazione).

Dalla pronuncia in commento si desume che l'omessa acquisizione del parere del C.d.R. è dotata di una plurioffensività, ledendo sia il diritto del lavoratore (alla conservazione del posto di lavoro) sia la prerogativa sindacale alla preventiva consultazione.

La lesione dell'interesse sindacale, connaturata all'omesso coinvolgimento preventivo al provvedimento di recesso è stata conformemente affermata dalla giurisprudenza, ad avviso della quale simile condotta è stata qualificata come inadempimento del datore di lavoro nei confronti del sindacato che si perfeziona e si manifesta definitivamente nel momento in cui viene adottato il provvedimento che doveva essere preceduto dalla consultazione.

Di fronte a simile condotta istantanea si configurano, però, gli effetti permanenti idonei ad ingenerare il ricorso alla tutela di cui all'art. 28 St. lav., “allo scopo di porre fine ad una situazione di illegittima compressione della libertà sindacale”, essendo configurabile l'interesse “del sindacato ad una pronuncia di mero accertamento della condotta antisindacale del datore di lavoro pubblico, che abbia violato il diritto di informazione e consultazione del sindacato sulla qualità dell'ambiente di lavoro e sulle misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro” (Cass. 8 ottobre 1998, n. 9991).

Il principio sembra specificare, ampliandone i contenuti, quello in base al quale: “Quando la condotta antisindacale si esaurisce istantaneamente e non vi sono più effetti da rimuovere, se, per la sua frequente reiterazione, essa rivela una natura non meramente episodica, ma destinata a persistere nel tempo, con conseguenti effetti intimidatori e situazione di incertezza fra i lavoratori, non è preclusa al giudice una pronuncia di cessazione del comportamento illegittimo per il futuro, purché adeguatamente motivata” (Cass., 3 luglio 1984, n. 3894; nel merito P. Cosenza, 12 maggio 1999; P. Roma, 9 luglio 1994; P. Parma, 7 febbraio 1994).

Ciò che è imprescindibile, in ogni caso, è la sussistenza dell'interesse, in capo alla O.S. alla pronuncia di antisindacalità, il quale, a sua volta, presuppone la dimostrazione dell'interesse, attuale e concreto, ad esercitare la prerogativa lesa dalla illegittima condotta datoriale.

A questo proposito, e proprio rispetto agli effetti indotti dalla violazione dell'art. 34 CCNLG, la Suprema Corte, con la sentenza 6 giugno 2005, n. 11741, se, da un lato, ha ammesso la sussistenza dei requisiti legittimanti l'azione statutaria, al momento del compimento dell'atto ritenuto illegittimo, dall'altro, afferma che qualsiasi violazione, per potersi ritenere tale, deve avere inciso non soltanto astrattamente sulla prerogativa sindacale, essendo necessaria la prova che l'organizzazione sindacale fosse seriamente interessata al rispetto della formalità dedotta in contratto, la cui violazione, dunque, potrebbe anche non ledere le prerogative della organizzazione medesima.

Tanto è vero che la tutela invocata dall'Associazione Sindacale ricorrente è stata respinta sul presupposto che questa non avrebbe “offerto qualche indizio del fatto che il comitato di redazione si ritenesse effettivamente interessato alla formulazione dei pareri preventivi di cui ora si lamenta la mancata richiesta e si fosse sentito leso nelle proprie prerogative a seguito di tali omissioni”.

Ad avviso di remota giurisprudenza, relativa al disposto contrattuale risalente al 30 luglio 1991, “il parere preventivo del comitato di redazione, previsto dall'art. 34, 2º comma, lett. d), del contratto nazionale di lavoro giornalistico 30 luglio 1991, deve essere obbligatoriamente sollecitato dall'editore in ogni ipotesi in cui lo stesso intenda licenziare un giornalista e, quindi, anche qualora si tratti di licenziamento disciplinare”.

L'inefficacia del provvedimento datoriale trova applicazione anche nelle ipotesi di trasferimento del giornalista (Trib. Roma 26 gennaio 2000).

La natura prescrittiva della disposizione, invece, non è stata ritenuta applicabile ai giornalisti addetti all'Ufficio Stampa della Regione Sicilia, “in quanto il rapporto di lavoro dei giornalisti della regione Sicilia, si fonda, oltre che sul requisito indefettibile dell'idoneità professionale, su un particolare elemento di fiduciarietà intercorrente tra il soggetto incaricato e gli organi di vertice della regione, in considerazione della particolare delicatezza dei compiti istituzionali devoluti a tale struttura, con la conseguenza che il relativo rapporto non ha natura di lavoro alle dipendenze della p.a., bensì di collaborazione professionale esterna, come tale non assoggettata all'applicazione della previsione del contratto collettivo nazionale” (Trib. Palermo, 9 gennaio 2013).

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