Il lavoro accessorio all’epoca del «Jobs act»

25 Febbraio 2016

Il «lavoro accessorio» è conosciuto soprattutto per la particolare modalità di pagamento delle prestazioni che avviene attraverso «voucher» o buoni lavoro. Nel tempo questo istituto è notevolmente mutato ed è diventato uno strumento utile a regolare alcuni rapporti di lavoro, caratterizzati dalle contenute prestazioni.
Introduzione

L'istituto del «Lavoro occasionale accessorio», secondo la denominazione ricevuta alle origini, è stato introdotto nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, la cd. «Riforma Biagi». La nuova fattispecie si proponeva di offrire un'agile veste contrattuale e una regolamentazione, anche previdenziale, a forme di lavoro che per la loro natura saltuaria difficilmente venivano assoggettate alle onerose ordinarie forme contrattuali.
L'istituto ha conosciuto negli anni innumerevoli modifiche, ora volte a restringerne la portata e irrigidirne la gestione, ora ad ampliarle e semplificarle. L'ultima modifica è stata apportata da uno dei decreti attuativi del cd. «Jobs act», il D.Lgs. n. 81/2015, recante la disciplina del riordino dei contratti in materia di lavoro. Tale decreto ha abrogato le norme preesistenti in materia, ha riassunto la disciplina dell'istituto in tre soli articoli (artt. 48, art. 49, e 50) e ne ha contratto la denominazione in «Lavoro accessorio». La nuova denominazione va forse messa in relazione alla coeva soppressione dell'art. 61, D.Lgs. n. 276/2003, e alla conseguente scomparsa della nozione civilistica di «collaborazione occasionale», quale area sottratta alla collaborazione a progetto. La nuova disciplina ricalca, per il resto, quella previgente. Ove non diversamente specificato, quindi, i riferimenti normativi riportati nel testo saranno relativi al D.Lgs. n. 81/2015.

In breve, il contratto di lavoro accessorio può avere ad oggetto qualunque attività lavorativa, in qualunque settore, alla condizione che non dia luogo a compensi complessivamente superiori ad Euro 7.000,00 per anno.

Il «contratto» di lavoro accessorio

Preliminarmente, è opportuno un chiarimento di base, spesso oggetto di dubbi da parte degli operatori. Il lavoro accessorio è un «contratto». Le prestazioni, infatti, sono rese nell'ambito di un accordo tra committente e prestatore che, secondo la nozione codicistica, costituisce e regola il loro rapporto obbligatorio (art. 1321 c.c.).

La stipulazione di un contratto di lavoro accessorio non richiede, tuttavia, alcuna forma (fatta eccezione per quanto concerne i voucher, che vedremo più avanti) e può dunque essere privo della forma scritta, senza che ciò ne muti la natura (artt. 1350 e segg. cod. civ.). È tuttavia frequente, nella prassi, precisare l'impegno per iscritto e prevedere, in particolare, che il lavoratore assuma l'obbligo di informare il committente circa il rispetto dei limiti economici annuali.

Ambito di applicazione

Nelle sue più recenti formulazioni, il lavoro accessorio è stato liberato da molte restrizioni: possono oggi rendere lavoro accessorio, quale che sia il contenuto della prestazione, tutti i lavoratori, per tutti i committenti, in qualunque settore.

È stato espressamente ritenuto applicabile, ad esempio, a prestazioni rese in occasione di noleggio di imbarcazioni da diporto; alle prestazioni del maestro di sci (Ministero del Lavoro, interpello 22 dicembre 2015, n. 32); a servizi di baby sitting e altri servizi per l'infanzia (art. 4, comma 24, L. n. 92/2012; INPS, Circolare 16 dicembre 2014, n. 169); e cosi via.

Il limite generale è dato dagli importi che il lavoratore può percepire annualmente (art. 48, comma 1).

Vi sono tuttavia alcune eccezioni e peculiarità di cui occorre tener conto.

Eccezioni e casi particolari

Il caso, forse di maggior rilievo, è quello del lavoro in appalto: il lavoro accessorio non può essere utilizzato per l'esecuzione di appalti di opere o di servizi. Faranno eccezione soltanto alcune ipotesi che saranno individuate da un decreto del Ministero del Lavoro (art. 48, comma 6).

In passato, l'unica eccezione era stata individuata nelle attività di stewarding in occasione di manifestazioni sportive (Ministero del Lavoro, circolare 18 gennaio 2013, n. 4; Ministero dell'Interno, D.M. 24 febbraio 2010; D.M. 8 agosto 2007; INPS, messaggio 13 aprile 2010, n. 9999).

È tuttavia opportuno, oggi, attendere le nuove disposizioni ministeriali da emanarsi in forza del D.Lgs. n. 81/2015.

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Il secondo caso è quello del lavoro in agricoltura. In questo settore, infatti, restando i generali limiti economici, il ricorso al lavoro accessorio è consentito soltanto in alcuni casi.

Per i produttori di maggiori dimensioni:

• per attività di natura occasionale nelle attività stagionali;

• per lavoratori pensionati o con meno di 25 anni di età, a condizione che siano iscritti ad un corso di studi, di qualunque grado (art. 48, comma 3, lett. ‘a');

• fermi restando i limiti economici generali.

Mentre i piccoli produttori agricoli,ossia coloro che nell'anno solare precedente hanno realizzato un volume d'affari non superiore ad Euro 7.000,00, costituito per almeno due terzi da cessioni di determinati prodotti agricoli o ittici, incontrano i soli limiti economici generali e, inoltre, non possono avvalersi di lavoratori che, l'anno precedente, siano stati iscritti nell'anagrafe dei lavoratori agricoli (art. 48, comma 3, lett. ‘b'; INPS, circolare 18 gennaio 2013, n. 4).

In passato, furono altresì emanate previsioni particolari con riferimento alle vendemmie (D.M. 12 marzo 2008; INPS, circolare 31 luglio 2008, n. 81). Furono altresì ritenuti compatibili con il lavoro accessorio le attività svolte nella vendita diretta nei cd. farmer's markets (o «mercati di campagna amica») (Ministero del Lavoro, interpello 10 settembre 2010, n. 32).

In tutti i casi in cui il committente sia un'impresa agricola o un soggetto che eserciti l'attività agricola in modo professionale si deve ritenere che il limite economico generale sia quello previsto per i committenti professionali (cfr. infra).

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Infine, occorre menzionare il caso del committente pubblico, soggetto, oltre che alle regole generali, anche ai vincoli in materia di contenimento dei costi del personale e dal patto di stabilità interno (art. 48, comma 4). Il ricorso a tali forme di lavoro da parte delle amministrazioni pubbliche deve comunque mantenere carattere di eccezionalità (art. 48, comma 7; art. 36, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165).

Il limite del corrispettivo annuale

Come si è accennato, il lavoro accessorio si caratterizza essenzialmente per i limiti economici del corrispettivo annuo. La disciplina prevede due diversi limiti, uno legato al prestatore ed un altro legato alla natura del committente:

• il lavoratore può percepire, nell'esecuzione di uno o più contratti di lavoro accessorio, in favore di uno o più committenti, compensi complessivi fino ad un massimo di Euro 7.000,00 per ciascun anno civile;

• fermo restando il limite annuale imposto al prestatore, il committente che rivesta la qualità di impresa o di professionista (che, nel prosieguo, chiameremo «committenti professionali») potrà corrispondere un compenso annuo non superiore ad Euro 2.000,00 (art. 48, comma 1).

Quindi, ad esempio, il medesimo lavoratore potrà svolgere prestazioni accessorie per quattro committenti professionali: tre di loro potranno corrispondergli fino ad Euro 2.000,00 l'anno, ciascuno; il quarto, dovrà fermarsi ad Euro 1.000,00; oppure per due committenti non professionali: in tal caso il primo potrà corrispondere, ad esempio, Euro 4.000,00 e il secondo Euro 3.000,00; e così via.

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Dopo aver ingenerato in passato una querelle, a causa delle imprecisioni terminologiche, il legislatore ha finalmente avuto cura di stabilire che il periodo temporale al quale fare riferimento per la verifica dei limiti economici è rappresentato dall'anno civile, intendendosi per tale il periodo che corre dal 1° gennaio al 31 dicembre (art. 48, comma 1; INPS, circolare 18 dicembre 2013, n. 176; INPS, circolare 12 agosto 2015, n. 149), abbandonando finalmente il riferimento all'anno solare che è correntemente individuato in un periodo di 365 giorni che, invece, può decorrere a partire da qualsiasi momento dell'anno (Ministero del Lavoro, circolare 27 dicembre 2012, n. 32; Ministero del Lavoro, circolare 12 luglio 2001, n. 69; Cass., Sez. Lav., 27 maggio 1995, n. 5969; Cass., Sez. Lav., 1° giugno 1992, n. 6599).

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Gli importi stabiliti dalla legge saranno oggetto di rivalutazione annuale, secondo l'indice FOI dell'Istat (art. 48, comma 1). Si deve ritenere, a parere di chi scrive, che le rivalutazioni operate negli anni precedenti non possano trovare applicazione dopo l'entrata in vigore della nuova legge (ad esempio, INPS, Circolare 26 febbraio 2014, n. 28; INPS, Circolare 16 aprile 2015, n. 77). Ciò perché, il D.Lgs. n. 81/2015 ha ridefinito ex novo i limiti con effetto dalla propria entrata in vigore dal 25 giugno 2015) e rinviato (a futuri aggiornamenti) la nuova rivalutazione.

Lavoratori in CIG, NASPI, Mobilità, Disoccupazione agricola

Un caso peculiare è quello dei lavoratori da percettori di prestazioni di integrazioni o sostegno del reddito. Devono intendersi per tali i lavoratori in mobilità, in cassa integrazione, i percettori di CIG, mobilità, NASPI, disoccupazione agricola. Questi lavoratori possono rendere prestazioni di lavoro accessorio in qualunque settore, anche a favore di enti locali, fino ad Euro 3.000,00 per anno (art. 48, comma 2).

La norma non è chiara nel definire il rapporto tra questa ipotesi e le altre. Sembra potersi ritenere, tuttavia, che si tratti di un caso autonomo (anche Ministero del Lavoro, interpello 14 aprile 2010, n. 16). Pertanto, a differenza degli altri, il diverso limite economico sembra consentire ai lavoratori in questione prestazioni più estese in favore di imprese o professionisti (fino ad Euro 3.000,00 anziché 2.000,00). Tale conclusione sembra suffragata dall'inciso secondo cui le prestazioni di questi lavoratori possono essere rese «in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali». Questa specificazione, infatti, pare rivestire un significato solo ove la si intenda come deroga al limite posto in via generale ai committenti professionali.

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Un aspetto significativo della disciplina in questo gruppo di prestazioni è dato dal tema del possibile cumulo tra compensi di lavoro accessorio e trattamenti di integrazione salariale.

Nel limite di Euro 3.000,00 per anno, è stabilita la piena cumulabilità tra redditi da lavoro accessorio e prestazioni di sostegno al reddito. Ciò anche con riferimento a redditi e prestazioni percepiti dal 1° gennaio 2015 (anche, dunque, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015; INPS, circolare 13 ottobre 2015, n. 170).

In tutti i casi nei quali è consentito il cumulo, l'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio (INPS, circolare n. 170/2015 cit.).

Per quanto concerne la NASPI, è stato chiarito che l'indennità è interamente cumulabile con i compensi derivanti dallo svolgimento di lavoro accessorio nel limite complessivo di Euro 3.000,00 per anno civile. Per i compensi che superano detto limite e fino ad Euro 7.000,00 l'indennità sarà ridotta di un importo pari all'80% del compenso (art. 10, comma 1, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22, sulla «NASpI»; INPS, circolare 29 luglio 2015, n. 142; INPS, messaggio 4 febbraio 2016, n. 494).

Anche per il trattamento di mobilità il cumulo è consentito integralmente fino al limite speciale di Euro 3.000,00 netti annui. Oltre tale limite e fino al limite generale di Euro 7.000,00 annui, il cumulo è consentito nel limite di quanto necessario a garantire al lavoratore il conseguimento di una retribuzione pari a quella dovutagli al momento della sua collocazione in mobilità (ai sensi dell'art. 9, comma 9, L. 23 luglio 1991, n. 223; INPS, circolare n. 170/2015 cit.).

Parimenti, per il trattamento di cassa integrazione il cumulo è consentito integralmente fino al limite speciale di Euro 3.000,00 netti annui. Mentre per i compensi eccedenti tale limite e fino al limite generale di Euro 7.000,00 annui, il trattamento di integrazione salariale sarà escluso o ridotto in misura proporzionale ai proventi della nuova attività (ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. Lgt. 9 novembre 1945, n. 788; Cass. 23 novembre 1992, n. 12487; INPS, Circolare 4 ottobre 2010, n. 130 ; INPS, circolare n. 170/2015 cit.).

Infine, i trattamenti di disoccupazione agricola sono anch'essi cumulabili interamente con i compensi di lavoro accessorio nel limite annuo di Euro 3.000,00. Il reddito di riferimento sarà tuttavia quello dell'anno precedente (INPS, circolare n. 170/2015 cit.).

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In tutti i casi, il lavoratore sarà tenuto a dichiarare l'attività di lavoro accessorio all'INPS, prima del superamento del limite di Euro 3.000,00, pena la decadenza dal trattamento CIG (art. 8, comma 3, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante il «Riordino degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto»; INPS, circolare n. 170/2015 cit.; INPS, circolare 12 aprile 2007, n. 75).

Detto obbligo di comunicazione si considera assolto anche nel caso in cui la comunicazione sia effettuata dal datore di lavoro (art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 148/2015; INPS, circolare 6 maggio 2014, n. 57). Nel caso del lavoro accessorio, tuttavia, l'obbligo di comunicazione in capo al datore di lavoro è previsto solo nel caso in cui il committente sia un professionista o un impresa (art. 49, comma 3). Negli altri casi, pertanto, sarà il lavoratore a doversi far carico della dichiarazione. Ove il committente sia un soggetto professionale, si potrebbe ritenere che la comunicazione datoriale esoneri il lavoratore da una autonoma dichiarazione (cfr. art. 9, comma 5, D.L. 28 giugno 2013, n. 76; INPS, circolare n. 57/2014 cit.). Prudenzialmente, tuttavia, almeno fino a che non vi sia un chiarimento istituzionale, è consigliabile che il lavoratore proceda autonomamente a fornire all'INPS la dichiarazione sulla propria attività, sia nel caso in cui il proprio datore di lavoro sia un impresa o un professionista, sia negli altri casi.

È importante ricordare, infine, che il beneficiario della NASpI è tenuto a comunicare all'INPS entro un mese rispettivamente dall'inizio dell'attività di lavoro accessorio o, se questa era preesistente, dalla data di presentazione della domanda di NASpI, il compenso derivante dalla predetta attività. La dichiarazione deve tuttavia essere effettuata solo se il reddito da lavoro accessorio (anche se derivante da più rapporti) sia previsto in misura superiore alla soglia di Euro 3.000,00. In caso contrario, la comunicazione all'INPS dovrà essere effettuata prima del superamento di tale soglia (INPS, circolare n. 142/2015; INPS, messaggio n. 494/2016 cit.).

Il metodo di pagamento: il voucher

Il cardine dell'istituto è senz'altro rappresentato dal metodo di pagamento del corrispettivo: il voucher. Si tratta di un assegno dal valore prestabilito che il committente acquista presso un rivenditore autorizzato, pagando a questi il relativo costo; il lavoratore riceverà il voucher e potrà incassarne il valore, dedotto quanto destinato all'assicurazione previdenziale e antinfortunistica, recandosi presso i medesimi rivenditori.

La mediazione del voucher consente allo Stato un sicuro ingresso nel rapporto tra lavoratore e datore, poiché, tramite uno strumento semplice per le parti che lo utilizzano, si garantiscono le dovute coperture previdenziali e assicurative, senza gravare le parti, quelli datoriale soprattutto, dei copiosi oneri gestionali dei rapporti tradizionali.

* * *

Il valore nominale di ciascun voucher è fissato dalla legge, per il periodo iniziale, in Euro 10,00. Il Ministero avrà poi il compito di stabilire tempo per tempo il valore degli assegni, tenuto conto, nel settore agricolo, della retribuzione oraria prevista dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative (art. 49, comma 1).

Attualmente il valore del buono è così ripartito:

• Euro 7,50 netti vanno al lavoratore (ossia, il 75% del valore nominale del buono);

• Euro 1,30 all'INPS (ossia, il 13%);

• Euro 0,70 all'INAIL (ossia, il 7%);

• Euro 0,50 al rivenditore quale commissione per il servizio (ossia, il 5%) (Ministero del Lavoro, D.M. 30 settembre 2005).

La ripartizione, nelle medesime percentuali, avverrà in caso di incremento del valore nominale del buono ad opera del Ministero del Lavoro (art. 49, comma 1). Il Ministero potrà tuttavia modificare l'aliquota destinata ai contributi e quella destinata alle commissioni per il rivenditore (art. 49, comma 5).

Specifiche modalità di fruizione e specifici importi dei buoni potranno altresì essere stabiliti dal Ministero per le prestazioni rese da particolari categorie di soggetti (disabili, tossicodipendenti, detenuti, ecc.) (art. 49, comma 6).

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Ogni assegno, per unità di valore, corrisponde ad un'ora di prestazione (art.

49

comma 1 e 2). Sembra peraltro potersi ancora ritenere che sia consentito remunerare la prestazione lavorativa in misura superiore al previsto, riconoscendo per un'ora di lavoro anche più voucher (INPS, circolare 29 marzo 2013, n. 49).

* * *

Un aspetto assai apprezzabile della disciplina risiede nel fatto che le prestazioni di lavoro accessorio concorrono a determinare il reddito necessario ai lavoratori stranieri per poter mantenere il permesso di soggiorno (art. 48, comma 5).

Altri aspetti importanti sono dati dal fatto che i corrispettivi percepiti:

• sono esenti da imposizione fiscale;

non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato del lavoratore (art. 49, comma 4) (INPS, circolare n. 4/2013 cit.).

Da ciò discende anche la possibilità di cumulo dei compensi di lavoro accessorio con i redditi da pensione (INPS, messaggio 17 settembre 2008, n. 20439).

Grazie alla copertura assicurativa, i prestatori di lavoro accessorio beneficiano delle prestazioni a carico dell'INAIL previste. Tali lavoratori non hanno invece diritto alle prestazioni di malattia, maternità, disoccupazione e all'assegno per il nucleo familiare (INPS, circolare 26 maggio 2009, n. 76).

Una precisazione: gli importi che segnano il limite del lavoro accessorio sono intesi al netto

È importante evidenziare che i limiti che segnano i confini di applicabilità dell'istituto (che, come abbiamo visto, si attestano, a seconda dei casi, in Euro 7.000,00, Euro 2.000,00 o Euro 3.000,00 per anno civile), devono essere riferiti al corrispettivo netto percepito dal lavoratore.

Questa, infatti, era stata la lettura data alle norme vigenti prima del «Jobs act» (cfr. Ministero del Lavoro, lettera circolare 22 aprile 2013, n. 37/7258; INPS, circolare 16 aprile 2015, n. 77). Stante la sostanziale sovrapponibilità della disciplina attuale alla previgente non si ravvisano ragioni per assumere oggi una diversa lettura (INPS, circolare 12 agosto 2015, n. 149).

Fatte le debite proporzioni, ciò significa, dunque, che i limiti fissati dalla legge possono essere cosi trascritti con riferimento alle ore e al valore nominale (lordo) degli assegni:

Il limite di Euro (netti)

Corrisponde ad assegni per il valore (lordo) complessivo di Euro

Pari ad assegni/ore di lavoro

Committente imprenditore/professionista

2.000,00

2.660,00

266

Lavoratori percettori di trattamenti di sostegno del reddito

3.000,00

4.000,00

400

Altri

7.000,00

9.330,00

933

Il controvalore lordo è stato arrotondato, prudenzialmente, per difetto.

Acquistare e riscuotere i voucher

Professionisti e imprese possono acquistare i voucher esclusivamente con modalità telematiche e i loro buoni devono essere numerati progressivamente e muniti di data. Gli altri committenti, dunque gli enti pubblici e i privati, possono avvalersi anche di voucher cartacei acquistati tramite i rivenditori autorizzati (art. 49, comma 1). Costoro saranno individuati con un decreto del Ministero del Lavoro. Fino ad allora i concessionari sono individuati nell'INPS e nelle agenzie per il lavoro interinale (art. 49, comma 7).

L'INPS ha precisato che i committenti professionisti o imprenditori possono quindi acquistare i voucher:

• attraverso la procedura telematica sul sito istituzionale dell'INPS;

• tramite i tabaccai che aderiscono alla convenzione INPS – FIT;

• tramite il servizio di internet banking offerto da Banca Intesa Sanpaolo;

• tramite le banche popolari abilitate (cfr. INPS, circolare 12 agosto 2015, n. 149).

Un elenco delle banche autorizzate è disponibile sul sito dell'INPS.
Un elenco dei tabaccai abilitati (che espongono il marchio dell'INPS) è disponibile.

Nel caso dei voucher telematici, i soli utilizzabili dai committenti professionali, la procedura prevede la previa registrazione del committente e del prestatore presso il sito dell'INPS o tramite il call center (al n. 803.164); il prestatore riceverà in seguito una carta di credito ricaricabile sulla quale verranno accreditati i buoni (l'attivazione della carta richiede circa 30 giorni); infine, allorché intenda avvalersi delle prestazioni, il committente dovrà versare il valore complessivo dei buoni (virtuali) tramite modello F24 (metodo che richiede circa 10 giorni per la disponibilità delle somme presso l'INPS); tramite bollettino di versamento sul conto corrente postale n. 89778229, intestato a «INPS DG lavoro accessorio»; tramite pagamento on line da effettuarsi nelle pagine dedicate del sito istituzionale dell'INPS. In tutti questi casi, la (necessaria) dichiarazione di inizio attività potrà essere effettuata solo quando vi sia disponibilità sul conto dedicato al lavoro accessorio (cfr. INPS, circolare n. 149/2015, cit.).

* * *

Il lavoratore potrà godere dei corrispettivi ricevuti, tramite la carta di credito su cui vengono accreditati i versamenti dei committenti professionali. Mentre per incassare il corrispettivo dei voucher cartacei, egli si recherà presso le rivendite autorizzate.Il rivenditore provvederà a versare al lavoratore i valore dei buoni consegnati e contestualmente ad accreditare in suo favore, per via telematica, i contributi presso la gestione separata dell'INPS (quella prevista dall'art. 2, comma 26, L. 8 agosto 1995, n. 335 – cd. «Legge Dini» –, cui sono iscritti i collaboratori continuativi) e presso l'INAIL.

Conduzione del rapporto

Quando e quanto lavorare è stabilito, anche di volta in volta, mediante intese tra le parti.

* * *

Professionisti e imprese hanno l'obbligo di comunicare alla competente Direzione Territoriale del Lavoro che intendono fruire di prestazioni accessorie, prima dell'inizio delle stesse. La comunicazione deve avere ad oggetto dati anagrafici e codice fiscale del lavoratore e luogo della prestazione (art. 49, comma 3).

Questo vincolo, presumibilmente, si deve alla necessità di scongiurare gli abusi che sono stati talora registrati, specie a valle di infortuni sul lavoro. Il dissidio tra le meritorie esigenze di semplicità dell'istituto e le fondate esigenze di prevenire abusi conduce talora a regole non sempre soddisfacenti o efficaci, rischiando di sacrificare ora l'una, ora l'altra esigenza. Forse nella ricerca di un tale – obiettivamente difficile – equilibrio il legislatore ha consentito che la comunicazione (rigida quanto ad identificazione del lavoratore e del luogo della prestazione) sia elastica quanto al tempo della prestazione che può, pertanto, trovare esecuzione in un (qualunque momento di un) arco temporale non superiore a 30 giorni.

In altri termini, nella comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro, il committente professionale dovrà indicare subito l'identità del lavoratore e il luogo di lavoro, limitandosi a riferire che la prestazione sarà eseguita in un qualsiasi momento dei 30 giorni successivi (art. 49, comma 3) (INPS, circolare n. 4/2013 cit.).

Questo aspetto della disciplina, in particolare, è infatti oggetto di dibattito poiché consente a chi intende farne un uso lecito di godere di una preziosa elasticità nella gestione del rapporto; ma consente anche, a chi intenda farne abuso, di schermare con facilità delle prestazioni di lavoro «nero» in casi di controlli o infortuni, potendo agevolmente dichiarare che proprio in quel momento era in esecuzione l'annunciata prestazione accessoria. È presumibile, dunque, che l'istituto sarà oggetto di nuovi interventi legislativi.

La comunicazione del committente può avvenire, almeno in teoria, in modo assai agile, tramite modalità telematiche, compresi sms e PEC. Sul punto, il Ministero del lavoro ha tuttavia precisato che, fino a quando non sarà reso disponibile un apposito sistema telematico per la comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro, rimarrà valida l'unica comunicazione all'INPS (Ministero del lavoro, nota del 26 giugno 2015, n. 3337; anche Ministero del Lavoro, D.M. 12 marzo 2008; INPS, circolare 19 dicembre 2013, n. 177). Nel settore dello spettacolo, è stata altresì esclusa la necessità di fare richiesta del certificato di agibilità previsto dall'art. 10, D.Lgs. C.P.S. 16 luglio 1947, n. 708 (INPS, messaggio 26 gennaio 2016, n. 311).

Sanzioni

La legge non istituisce esplicite sanzioni per l'eventuale violazione delle norme che regolano il lavoro accessorio.

È lecito supporre che, ove vengano superati i limiti quantitativi/retributivi il rapporto rischi la riqualificazione. Infatti, nel caso in cui, ad esempio, un imprenditore ricevesse prestazioni di lavoro accessorio, dallo stesso lavoratore, per oltre Euro 2.000,00 in un anno civile (quindi oltre 266 ore di lavoro, stando all'attuale equivalenza) non potrebbe qualificare il rapporto come accessorio. Si aprirebbe pertanto la verifica circa le diverse qualificazioni applicabili, in primo luogo quella del lavoro subordinato o della collaborazione etero-organizzata, con le conseguenze del caso sul piano fiscale e contributivo (Ministero del Lavoro, lettera circolare 22 aprile 2013, n. 37/7258).

Al contrario, va ricordato che il Ministero del Lavoro ha dato disposizioni al personale ispettivo affinché, se la prestazione sia contenuta nei limiti quantitativi prescritti, si astengano dallo svolgere ulteriori accertamenti circa le modalità di svolgimento della prestazione, poiché, in caso contrario, si finirebbe per vanificare le finalità stesse dell'istituto (Ministero del Lavoro, lettera circolare n. 37/7258/2013 cit.).

Su un altro fronte, la mancata comunicazione preventiva posta a carico dei datori di lavoro comporta l'applicazione della «maxi-sanzione», prevista dall'art. 4, comma 1, lett. ‘a', L. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. «Collegato Lavoro») (INPS, circolare n. 149/2015 cit.; INPS, circolare 7 dicembre 2010, n. 157).

In conclusione

Il lavoro accessorio si presenta oggi come un valido strumento per riassorbire nella legalità innumerevoli prestazioni che spesso le sfuggivano per via dei costi, economici e gestionali, connessi agli ordinari rapporti di lavoro. Il sistema di approvvigionamento dei voucher rimane ancora farraginoso, complici siti internet non sempre adeguati.

Restano infine aperte delle possibilità di abuso che, forse, allo stato sono troppo agevolmente percorribili, per arginare le quali, dunque, si renderà presumibilmente necessario un intervento del legislatore.

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