Calo di ricavi ed esternalizzazione, ma il licenziamento è illegittimo

La Redazione
28 Maggio 2015

La Cassazione, con sentenza n. 5173/2015, affronta un tema noto - il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per riduzione delle spese o esternalizzazione - in modo tale da offrire una indicazione concreta ed operativa su come applicare l'art. 3, L. n. 604/1966.

La Cassazione, con sentenza n. 5173/2015, affronta un tema noto - il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per riduzione delle spese o esternalizzazione - in modo tale da offrire una indicazione concreta ed operativa su come applicare l'art. 3, L. n. 604/1966.

Nei primi due gradi di giudizio veniva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, in ragione del calo di ricavi e dell'esternalizzazione delle attività del reparto, conseguentemente soppresso, cui era addetto il lavoratore.

Per i giudici di merito, infatti, era:

  • insussistente la prima ragione, essendo il calo di commesse risalente nel tempo ed essendovi, anzi, un utile sociale;
  • irrilevante la seconda, a causa del tempo trascorso dall'appalto al recesso e della mancata prova datoriale dell'impossibilità di repechage.

Motivazione, questa, condivisa dalla Corte di Cassazione poiché “nel caso, l'assenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso emerge dalle seguenti considerazioni: da un lato, il giudice di merito ha disconosciuto l'esistenza di una situazione di crisi aziendale, ritenendo insussistente la ragione posta a fondamento del recesso, e tale valutazione è passata in giudicato non essendo stata oggetto di impugnazione; dall'altro lato, il ricorrente fa valere in ricorso l'esigenza di contenimento dei costi e di riduzione dimensionale, ma il licenziamento non è stato intimato per tali ragioni, ma in relazione all'esternalizzazione dell'attività cui era addetto il dipendente; per tale ultimo profilo, tuttavia, particolare rilevanza assume la circostanza che il lavoratore ha continuato a lavorare oltre la chiusura del reparto per un periodo comunque (anche a considerare i tre mesi indicati dal ricorrente) non breve, indice da un lato della non necessità del recesso (e dell'assenza di nesso causale -come rilevato dalla Corte d'Appello- tra l'esternaIizzazione di alcuni processi produttivi ed il licenziamento di un solo -a quanto consta- dipendente) e dall'altro lato dell'esistenza di mansioni utili in azienda”.

Per quanto riguarda l'onere di provare l'impossibilità di repechage, inoltre, viene condivisa l'impostazione della sentenza impugnata: “non basta la produzione del libro matricola, ma occorre la prova specifica dell'incollocabilità mansionale del lavoratore (e dunque non basta la prova della qualifica di impiegati degli altri dipendenti, ma occorre la diversa prova dell'inesistenza di mansioni equivalenti o comunque disponibili in azienda)”.

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