Apposizione del termine per previsione contrattuale collettiva svincolata dalla legge
25 Maggio 2016
Massima
L' art. 23 della l. n. 56/1987 consente che vengano individuate, nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale, specifiche fattispecie in relazione alle quali sia consentita l'apposizione al contratto di lavoro di un termine, senza alcun riferimento a particolari esigenze o condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori, essendo sufficiente che la contrattazione collettiva indichi la percentuale dei lavoratori da assumere rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato, considerato che l'esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro costituisce idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia dei loro diritti. Pertanto, posto che l'art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 per i dipendenti dell'Ente Poste Italiane consente l'assunzione a tempo determinato per sostituire i lavoratori in ferie, non è consentito ulteriore sindacato ad opera del giudice. Il caso
La società Poste Italiane S.p.A., già soccombente nei precedenti gradi di giudizio, ricorreva in Cassazione per far accertare la legittimità dell'apposizione del termine al contratto stipulato con una lavoratrice assunta per l'espletamento del servizio nell'ambito di un periodo in cui gli altri lavoratori erano assenti per fruizione del periodo di ferie, ai sensi dell'art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e successive integrazioni. La norma contrattuale, in particolare, aveva stabilito che era possibile ricorrere ai contratti a termine, oltre che nelle ipotesi prevista dalla legge, anche a fronte della necessità di espletamento del servizio in concomitanza delle ferie. I giudici di merito ritenendo nulla la clausola appositiva del termine, avevano dichiarato la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e condannato la società al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora. Le questioni
La questione che viene in esame è la seguente: è legittima la stipulazione di un contratto a termine che, exart. 23 della l. n. 56/1987 , indicava le causali giustificative in base alla previsione dei contratti collettivi in maniera del tutto svincolata rispetto al disposto della legge n. 230/62 e con l'unico limite rappresentato dall'indicazione percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli assunti a tempo indeterminato? Le soluzioni giuridiche
Conformemente ad altre pronunce sul tema, la Cassazione ha ribadito che l' art. 23 della legge n. 56 del 1987 assegnava ai CCNL nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, una “delega in bianco” che consentiva di individuare le ipotesi legittimanti l'apposizione del termine ai contratti, totalmente svincolate dalle previsioni dall'art. 1 della legge n. 230 del 1962 .
In tal caso la Suprema Corte ha ritenuto che i diritti dei lavoratori fossero adeguatamente tutelati dalla circostanza che l'individuazione di tali fattispecie era avvenuta congiuntamente tra le parti sociali, per cui non necessitava la prova da parte del datore di lavoro delle esigenze di servizio connesse all'assenza per ferie di altri dipendenti ovvero del nesso di causalità tra le esigenze di servizio e l'assunzione del lavoratore con riferimento all'unità organizzativa cui lo stesso era destinato. L'esame congiunto operato dalle parti sociali, quindi, escludeva qualunque potere valutativo del giudice. Osservazioni
L'applicazione del contratto a termine evidenzia, spesso, tutte le criticità legate ad una regolamentazione non organica e frutto di una stratificazione normativa che, nel corso del tempo, ha disciplinato l'istituto solo per singoli aspetti.
L' art. 23 della legge n. 56 del 1987 (oggi abrogata) rientrava nell'ambito di corpo di norme che cercarono di attenuare la rigida previsione dalla legge n. 230/62 in materia di causali e conseguentemente di rendere più flessibile tale strumento. La l egge n. 230/62 , infatti, dettò la prima regolamentazione del contratto a termine, attraverso una previsione rigida (che si caratterizzò per l'obbligatorietà della forma scritta ad substantiam, un rigido sistema sanzionatorio in caso di utilizzo fraudolento, un'elencazione di tassative causali quale imprescindibile requisito di validità) anche frutto di una (a quel tempo) diffusa diffidenza nei confronti di tale istituto, oggettivamente inidoneo a consentire la continuità dell'occupazione. A partire dagli anni '70, però, si formò una legislazione volta a introdurre un utilizzo più flessibile del contratto a termine: ricordiamo in particolare la l egge n. 79 del 1983 che consentì il ricorso al contratto di lavoro a termine per far fronte alle cd. “punte stagionali”; l' art. 23 della l. n. 56 del 1987 che attribuiva alla contrattazione collettiva la possibilità di prevedere ipotesi diverse rispetto a quelle previste dalla legge n. 230/62 ; la legge n. 196 del 1997 con la quale sono state riviste anche le sanzioni.
L'art. 23 cit., in particolare, consentiva ai contratti nazionali o territoriali (con esclusione di quelli aziendali) stipulati dai sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, di individuare liberamente ipotesi “ulteriori” rispetto a quelle individuate dalla legge n. 230/62 che legittimassero l'apposizione del termine e svincolate dalle previsioni di legge. In tal senso, la giurisprudenza ha stabilito che: “La l egge 28 febbraio 19 87, n. 56, articolo 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla l egge 18 aprile 1962, n. 230 , articolo 1 nonché dal d ecreto l egge 29 gennaio 1983, n. 17, articolo 8 - bisconv. nella l egge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all'individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge” ( Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 23 giugno 2015, n. 13000) .
Successivamente, con il d.lgs. n. 368/2001 (attuativa delle Direttiva CEE 99/70 concernente gli accordi quadro sul lavoro a tempo determinato che ha invitato i paesi membri ad adottare misure di incremento occupazionale anche con il ricorso a strumenti di lavoro flessibile) il contratto a termine è stato oggetto di una nuova disciplina che, allo scopo di incrementarne l'utilizzazione, cercò di rendere lo strumento più duttile e flessibile. La legge n. 368/2001 si impose come norma esclusiva di regolamentazione, dichiarando espressamente abrogate, salvo deroghe, tutte le disposizioni con essa incompatibili (tra le quali legge 18 aprile 1962, n. 230 , e successive modificazioni, l'articolo 8- bisdella legge 25 marzo 1983, n. 79 , l' articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 ). Il passaggio alla nuova disciplina, tuttavia, non fu “traumatico”: nello stesso decreto legislativo è stata prevista una fase transitoria per la quale le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell' articolo 23 della citata legge n. 56 del 1987 e in vigore alla data di entrata in vigore della legge, avrebbero continuato ad avere validità fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro ( art . 11 comma 2 d .lgs . n. 368/2001 ). Quella fu anche la posizione espressa in giurisprudenza: “In materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, l' art. 23 l. 28 febbraio 1987 n. 56 , che attribuisce alla contrattazione collettiva la possibilità di identificare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine, continua a trovare applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001 , che pure ne reca la formale abrogazione, in relazione alle clausole dei contratti collettivi di lavoro precedentemente stipulati sotto la vigenza della legge del 1987 ed ancora in corso di efficacia al momento dell'entrata in vigore del citato d.lgs. fino alla scadenza dei contratti collettivi, atteso che la disciplina transitoria, desumibile dall'art. 11 del d.lgs. n. 368, ha proprio la finalità di garantire una transizione morbida tra il vecchio ed il nuovo sistema” ( Cass. 3 gennaio 2014, n. 27 , in MGC, 2014. In senso conforme Cass. 4 luglio 2008, n. 21092 , in MGC, 2008, 7-8). Ed ancora: “Con l'entrata in vigore della legge di ordine pubblico economico n. 98 (di conversione del d.l. n. 16) del 1982, che sanciva il divieto assoluto e generalizzato di concessione di permessi od aspettative per qualsiasi tipo di cure termali - le pregresse clausole pattizie di contrario contenuto (nella specie, art. 77 CCNL 18 aprile 1980 per i dipendenti di aziende di credito) risultano invalidate per sopravvenuta nullità ai sensi dell' art. 1418 c.c. , senza che sia giuridicamente possibile ipotizzarne una automatica reviviscenza, in coincidenza e per effetto della susseguente abrogazione della norma invalidante, ad opera della legge n. 526 del 1982 , che ha ripristinato, entro dati limiti e condizioni (accertata necessità ed indifferibilità della terapia idrotermale) la concessione dei permessi in parola” ( Cass. 14 settembre 2012, n. 15455 , in MGC, 2012; Cass. 15 maggio 1987 n. 4513 , in MGC, 1987, 5).
In epoca recente si è assistito ad una completa deregolamentazione del contratto a tempo determinato attraverso l'eliminazione delle causali giustificative (le ragioni di carattere produttivo, organizzativo e sostitutivo di cui all' art 1, comma 1, del d .lgs. n. 368/2001 ) che rappresentavano l'aspetto più problematico dell'istituto e che aveva creato il bacino maggiore del contezioso in materia. Le deroghe rimesse alla contrattazione collettiva rispetto alle previsioni di legge, oggi non hanno più lo scopo di limitare il ricorso allo strumento, bensì di modulare il numero dei contratti in base alle esigenze specifiche di un settore produttivo o di una determinata zona territoriale, al fine di creare maggiore occupazione in quelle realtà che si caratterizzano per discontinuità e temporaneità dell'occupazione.
In base all'attuale disciplina ( d .lgs. 81/2015 - art. 19 - 29) il contratto di lavoro a tempo determinato può essere stipulato per qualunque esigenza e lo svolgimento di ogni tipologia di mansioni. Le uniche limitazioni sono legate alla durata massima (36 mesi per contratti a termine stipulati tra gli stessi soggetti e per lo svolgimento di mansioni ricomprese nello stesso livello contrattuale) ed alla percentuale numerica di lavoratori a termine rispetto a quelli assunti a tempo indeterminato (20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio, percentuale derogabile da parte dei contratti collettivi che potrebbero, ad esempio, modulare diversamente tale percentuale, prevedendo limitazioni diverse ovvero riferirla alla media un determinato periodo). L'eliminazione delle ragioni giustificative rende il contratto a termine quasi come una clausola di patto di prova lungo del contratto a tempo indeterminato che oggi più che mai, anche per impulso della riforma del marcato lavoro nota come Jobs Act, dovrebbe acquistare centralità ed assumere realmente la funzione di “forma comune” del contratto di lavoro subordinato. |