Preavviso per dimissioni: valido il patto di estensione in deroga al CCNL

25 Giugno 2015

Nel rapporto di lavoro subordinato, il preavviso non può essere preventivamente escluso dalla volontà delle parti né essere limitato nella sua durata rispetto a quello fissato dalla contrattazione collettiva; è lecito invece, mediante accordo individuale, pattuirne una maggior durata giacché tale pattuizione può giovare al datore di lavoro ed è sicuramente favorevole al lavoratore.
Massime

Nel rapporto di lavoro subordinato, il preavviso non può essere preventivamente escluso dalla volontà delle parti né essere limitato nella sua durata rispetto a quello fissato dalla contrattazione collettiva; è lecito invece, mediante accordo individuale, pattuirne una maggior durata giacché tale pattuizione può giovare al datore di lavoro ed è sicuramente favorevole al lavoratore.

Nel rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore può liberamente disporre della propria facoltà di recesso, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso, stabilendosi a carico del lavoratore, al di fuori dell'ipotesi di giusta causa ai sensi dell'art. 2119 Cod. civ., un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate.

Una tale clausola non rientra neppure in alcuna delle ipotesi per le quali è richiesta l'approvazione specifica per iscritto, ai sensi dell'art. 1341, comma 2, Cod. civ.

In materia di recesso dal rapporto di lavoro, è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro.

Il caso

Un lavoratore, dipendente di una banca, aveva sottoscritto un accordo che modificava la durata del periodo di preavviso dovuto in caso di dimissioni, estendendola da 1 a 18 mesi.

A fronte del prolungamento del periodo di preavviso, al lavoratore erano stati riconosciuti alcuni vantaggi, tra cui la promozione a funzionario di terza categoria, con l'attribuzione del relativo trattamento economico, e la corresponsione di un ulteriore corrispettivo ad personam dell'importo lordo di Euro 259,42 per 13 mensilità.

All'atto delle dimissioni, rassegnate dal dipendente senza il rispetto del preavviso pattuito, la società aveva trattenuto dalle somme dovute per la cessazione del rapporto un importo corrispondente a 18 mensilità di retribuzione.

Il lavoratore chiedeva la restituzione dell'importo trattenuto invocando, tra l'altro, la nullità del patto di prolungamento del preavviso ai sensi degli artt. 1344, 1418, 2118 Cod. civ., art. 98 Disp. att. Cod. civ., art. 14, R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825.

Il ricorso è stato tuttavia respinto sia in primo grado, sia in grado di appello e, infine, anche in Cassazione.

Le questioni

La questione posta all'esame della Suprema Corte è dunque la seguente: se, nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, le parti possano validamente stipulare patti che, in deroga alla contrattazione collettiva, prevedano l'estensione della durata del periodo di preavviso per dimissioni.

A ben guardare, tuttavia, devono essere aggiunte altre questioni, rimaste tra le pieghe della sentenza: i) se tale patto possa essere valido anche in assenza di uno specifico vantaggio, economico o di altra natura, per il lavoratore; ii) e/o in assenza di una previsione del contratto collettivo che consenta la deroga; iii) se possa reputarsi valido un patto volto a ridurre il preavviso di licenziamento.

Le soluzioni giuridiche

Nella motivazione, la Suprema Corte ha esposto alcune affermazioni di principio che, data la loro concisione, è utile riportare.

Anzitutto, la Corte afferma che, a prescindere dal rinvio contenuto nella disciplina collettiva, da tempo va considerato risolto in senso positivo in ogni caso il problema della legittimità delle pattuizioni individuali volte a regolamentare il preavviso nel rapporto di lavoro subordinato. Il preavviso, prosegue la Corte, si pone come condizione di liceità del recesso, la cui inosservanza è sanzionata dall'obbligo di corrispondere da parte del recedente un'indennità sostitutiva; pertanto esso non può essere preventivamente escluso dalla volontà delle parti essere limitato nella sua durata rispetto a quello fissato dalla contrattazione collettiva.

È viceversa lecito, prosegue la Corte, l'accordo individuale mediante il quale le parti pattuiscano una maggior durata del preavviso giacché tale pattuizione può giovare al datore di lavoro, come avviene nel caso in cui non è agevole la sostituzione del lavoratore recedente, ed è sicuramente favorevole a quest'ultimo che resta avvantaggiato dal computo dell'intero periodo agli effetti della indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera e dal regime di tutela della salute.

Si tratta, pertanto, di finalità meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico.

La Corte afferma altresì che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima del rapporto, con previsione di un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate e che ciò non contrasta con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico (e richiama sul punto un proprio precedente relativo all'assunzione di un pilota presso una compagnia aerea che si assumeva i costi dell'addestramento).

Alla luce di tale ricostruzione, conclude la Corte, può dirsi che l'ordinamento rimette alle parti sociali ovvero alle stesse parti del rapporto la facoltà di disciplinare la durata del preavviso in relazione alle proprie valutazioni di convenienza, rendendo essenzialmente le parti arbitre del giudizio di maggior favore della disciplina concordata.

Svolte le esaminate affermazioni di principio, la Corte scende nell'esame del caso concreto che giudica applicandovi, in parte, i principi esposti e, in parte, introducendo talune precisazioni.

Afferma conclusivamente la Corte che la pattuizione individuale (peraltro con patto ad efficacia temporanea ben determinata, esaurita la quale i contraenti hanno la possibilità di disdetta con preavviso del patto stesso) di una più ampia durata del preavviso a fronte di cospicui vantaggi per il lavoratore è dunque legittima; ed è già stato affermato nella giurisprudenza di legittimità il principio, che qui viene ribadito, secondo il quale, in materia di recesso dal rapporto di lavoro, è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro.

Osservazioni

A prima vista, la sentenza in esame conferma un orientamento già espresso altre volte. Si tratta di casi in cui il più lungo preavviso di dimissioni è bilanciato da un interesse qualificato delle parti, vuoi per l'importanza dell'investimento che il datore si accolla, vuoi per lo specifico vantaggio che il lavoratore riceve: tipico il citato caso dei piloti, nel quale il datore sostiene gli onerosi costi dell'addestramento e, in cambio, chiede al lavoratore un periodo di stabilità del rapporto.

Entro questi confini, dunque, nulla di nuovo.

Tuttavia il percorso argomentativo della Corte non si sottrae ad alcuni rilievi critici.

Proviamo ad esaminarli con ordine.

Trascuriamo la ricostruzione del preavviso come condizione di liceità del recesso che non è, per quanto di interesse in questa sede, foriera di particolari conseguenze. Tuttavia, appare più utile alla lettura di alcuni passaggi considerare l'istituto sotto un'altra luce. Nel rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il preavviso è un istituto che ha la funzione di offrire alla parte che riceve il recesso una tutela contro la cessazione di un rapporto che dava un ragionevole affidamento di continuità. La parte che riceve il recesso viene quindi protetta mediante l'imposizione all'altra parte di un periodo di temporanea prosecuzione del rapporto, durante il quale la prima possa organizzarsi. Il preavviso costituisce dunque l'oggetto di un'obbligazione legale posta a carico della parte recedente e a tutela della parte receduta. La relativa indennità sostitutiva consiste in un risarcimento del danno predeterminato dall'ordinamento per l'inadempimento di tale obbligazione.

Tornando alla motivazione, il primo elemento che si pone all'attenzione è dato dalla non sovrapponibilità – o, forse, dall'incongruenza – tra le affermazioni di principio iniziali, assai ampie, e il principio espresso per la regolazione del caso concreto. Infatti, se all'inizio la Corte ribadisce più volte la validità di ogni patto individuale che estenda il preavviso, nelle conclusioni si afferma che il patto è valido, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo e ove il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro (o un altro specifico vantaggio, potremmo aggiungere). Evidentemente le due affermazioni confliggono: o la facoltà di deroga è liberamente rimessa alla disponibilità delle parti, enfaticamente definite arbitre del giudizio sui loro interessi; oppure, la previsione di uno specifico vantaggio per il lavoratore costituisce un requisito di validità del patto, mancando il quale lo stesso è nullo.

Non solo. La Corte non è del tutto chiara neppure sulla necessità della previsione del contratto collettivo a legittimare la deroga. Inizialmente ciò viene escluso («… a prescindere dal rinvio contenuto nella disciplina collettiva…»); nelle conclusioni, ciò viene viceversa affermato («… è valida, ove tale facoltà sia prevista …»).

E, infine, ci si chiede altresì se tutti questi principi siano applicabili anche al preavviso di licenziamento, posto che nelle affermazioni iniziali la Corte, fa riferimento sempre e solo al generico recesso; o se vadano comunque riferiti al solo preavviso di dimissioni, vertendo in ciò il caso esaminato. La confusione tra le due situazioni sembra emergere infatti anche laddove la sentenza esaminata afferma che la maggior durata del preavviso può giovare al datore ed è sempre certamente favorevole al lavoratore. Quasi si trattasse sempre e comunque di una situazione «win-win». Sicché il preavviso potrebbe sempre essere esteso nell'interesse di tutti e mai ridotto o escluso.

In conclusione, la sentenza lascia insoddisfatti.

Gli interessi delle parti in caso di recesso sono strutturalmente (salvo situazioni peculiari) confliggenti: chi comunica il recesso ha interesse a liberarsi dal rapporto e a farlo, normalmente, al più presto, talché il preavviso per lui è soltanto un vincolo; chi lo riceve ha interesse ad avere il tempo necessario per riorganizzarsi che spesso può essere ben più lungo di quello garantito dal preavviso, potendo altresì rinunziare al residuo ove non sia di suo interesse.

Non è quindi affatto vero che, la maggior durata del preavviso faccia si che gli interessi convergano e che il lavoratore abbia sempre convenienza al preavviso più lungo. Ciò è vero nel caso di licenziamento. Ma è tipicamente vero il contrario nel caso di dimissioni, come è testimoniato dallo stesso caso esaminato dalla Corte sorto proprio dalle dimissioni immediate di un lavoratore.

Pertanto, a dispetto dell'impreciso riferimento al recesso tout court, il principio secondo cui l'estensione del preavviso è sempre valida mentre è sempre esclusa la sua riducibilità non può che esser riferito al solo caso del licenziamento.

Infatti, non sembra potersi ravvisare un vizio nel patto che, ad esempio, estenda il preavviso di licenziamento e riduca quello di dimissioni. Tale patto sarebbe unilateralmente vantaggioso per il lavoratore, mentre non vi sono norme che impediscano al datore di lavoro di disporre dei diritti posti a suo vantaggio.

Appare viceversa arduo, alla stregua dei principi generali, ipotizzare la validità di un patto di estensione del preavviso di dimissioni, in assenza di una facoltà di deroga prevista dal contratto collettivo. Sarebbe infatti agevole eccepire che si tratti di un patto individuale deteriore per il lavoratore e dunque sostituito ex lege dalla più favorevole (per lui) norma collettiva, ex artt. 1339, 1419, 2077, comma 2, Cod. civ.

In realtà la «permissività» espressa dall'orientamento giurisprudenziale esposto ha sempre ad oggetto casi nei quali la deroga sia (prevista dal CCNL, come nel caso dei bancari, ovvero sia) bilanciata da uno specifico vantaggio per il lavoratore, come il citato caso dei piloti o di chi riceve un corrispettivo ad hoc, laddove – come rileva un'attenta dottrina, il vincolo del lavoratore si pone non tanto come un'obbligazione ma come un onere per conseguire o conservare lo speciale compenso.

In questi casi soltanto, dunque, sembra venire concessa alle parti la loro libertà di «arbitri del giudizio di maggior favore»: arbitri si, ma solo qualche volta.

Guida all'approfondimento

Cass. 27 luglio 2014, n. 17010

Cass. 3 novembre 2009, n. 23235

Cass. 20 agosto 2009, n. 18547

Cass. 7 settembre 2005, n. 17817

Cass. 11 febbraio 1998, n. 1435

Cass. 15 novembre 1996, n. 10043

Cass. 9 giugno 1995, n. 6520

A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, vol. II, Il rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 2008, pag. 566

P. Ichino, Il contratto di lavoro, vol. III, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di P. Schlesinger, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 391

M. Mensi, I limiti convenzionali alla facoltà di recesso del dipendente, in Riv. crit. dir. lav., 2010, n. 1, pag. 206

A. Russo, Le clausole di stabilità e di durata minima garantita, in Contratti & Contrattazione collettiva, 2001, 8-9, 65 e segg.

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