Mobilità nel pubblico impiego: le Sezioni Unite tornano sulla vexata quaestio del riparto di giurisdizione
25 Ottobre 2016
Massime
In tutti i casi nei quali vengono in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si agisca a tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico, il diritto positivo consente esclusivamente l'instaurazione del giudizio ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dalla disapplicazione dell'atto e dagli ampi poteri riconosciuti al giudice ordinario dal menzionato art. 63, comma 2.
In tema di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, disciplinata attualmente dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30, integrando siffatta procedura una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto, la giurisdizione sulla controversia ad essa relativa spetta al giudice ordinario, non venendo in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale e, dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 4. Il caso
La fattispecie in esame trae origine da una procedura di regolamento preventivo di giurisdizione, promossa dal Comune di Montelepre in relazione ad un giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Sicilia da parte di un proprio dipendente comunale, il quale aveva invocato l'annullamento della deliberazione della Commissione straordinaria dell'Ente locale (avente ad oggetto "programma triennale di fabbisogno di personale, del piano occupazionale 2014, adeguamento della dotazione organica e riorganizzazione annuale delle eccedenze di personale") e l'annullamento della successiva determinazione di esecuzione di detta delibera a firma del segretario della Commissione (con avvio della procedura di passaggio diretto verso altre amministrazioni ai sensi del CCNL 14 settembre 2000, art. 25, dei profili professionali individuati in eccedenza D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 33, e ss.mm.ii.) nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.
In particolare l'Ente ricorrente, pur riconoscendo che il primo dei provvedimenti formalmente impugnati innanzi al T.A.R. dal proprio dipendente (ovvero la deliberazione della Commissione straordinaria comunale) costituisse un atto di macro - organizzazione, peraltro suscettibile di essere disapplicato dal giudice ordinario, ha invocato la radicabilità della giurisdizione ordinaria in ragione della natura di atto di micro – organizzazione propria della determinazione di avvio della procedura di passaggio diretto verso altre amministrazioni, quale atto che il dipendente comunale assume immediatamente e direttamente lesivo della propria posizione. La questione
La principale questione giuridica involge la vexata quaestio del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, nell'ipotesi di passaggio diretto di dipendenti tra diverse amministrazioni (come disciplinata attualmente dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30). La soluzione giuridica
Nell'accogliere il ricorso promosso dal Comune di Montelepre, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno riaffermato la giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria in tema di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, ribadendo come “... costituisce principio ormai acquisito che la norma (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63) - nel confermare la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario anche se vengano in questione atti amministrativi presupposti, rilevanti per la decisione, dovendo il giudice disapplicarli ove illegittimi - trova applicazione allorché il lavoratore, in riferimento a quegli atti, che provvedono a stabilire le linee fondamentali della organizzazione degli uffici ovvero individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, nonché le dotazioni organiche complessive - come tali suscettibili di essere impugnati dinanzi al giudice amministrativo da coloro che possono vantare un interesse legittimo - li contesti unicamente in ragione della loro incidenza diretta o indiretta su posizioni di diritto soggettivo derivanti dal rapporto lavorativo, così da rendere possibile la loro mera disapplicazione ...”.
La Cassazione ha, infatti, rilevato come la controversia de qua avesse ad oggetto un atto di gestione del rapporto di lavoro “privatizzato”, in quanto le doglianze avanzate dal dipendente comunale riguardavano il provvedimento che disponeva il passaggio diretto del personale ad altra amministrazione (provvedimento rispetto al quale il precedente atto di macro - organizzazione di variazione della pianta organica del Comune costituiva solamente l'atto presupposto), da cui la conseguenza che il petitum sostanziale non atteneva alla legittimità in via immediata e diretta del provvedimento di macro - organizzazione, ma alla concreta gestione del rapporto di lavoro, anelando il dipendente non già l'annullamento, ma la disapplicazione di questo atto presupposto, al limitato fine di sottrarre fondamento ai successivi atti di disposizione della propria vicenda lavorativa.
La Suprema Corte ha, dunque, riaffermato il principio per cui la mobilità per passaggio diretto nell'ambito del pubblico impiego privatizzato corrisponde ad una fattispecie di modificazione del rapporto di lavoro sul fronte soggettivo (riconducibile alla cessione del contratto già in essere) asserendo, che “... in tema di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, disciplinata attualmente dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30, integrando siffatta procedura una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto, la giurisdizione sulla controversia ad essa relativa spetta al giudice ordinario, non venendo in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale e, dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 4,...”. Osservazioni
L'autorevole pronuncia in esame rappresenta, almeno dal punto di vista temporale, l'ultimo tassello degli innumerevoli arresti giurisprudenziali sul tema del riparto di giurisdizione, questione che appare, chiaramente, ancora non sopita, nonostante la decorrenza ultradecennale dalla disposta devoluzione legislativa, al giudice ordinario, delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Il fervido dibattito in materia, infatti, è alimentato dalla indubbia difficoltà di individuare soluzioni sufficientemente in grado di raccordare, con stabilità, il necessario bilanciamento tra il primo ed il quarto comma dell'art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001, posto che, come appare evidente, è lo stesso dettato della norma che, di fatto, affida all'interprete l'esegesi delle soluzioni devolutive adombrate dal legislatore.
Stando, invero, alla disposizione testé menzionata, risultano rimesse alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A., ivi comprese quelle “concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti” (art. 63, co. 1, D.Lgs. n. 165/2001); mentre sono conservate alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, le procedure concorsuali finalizzate all'assunzione dei dipendenti pubblici (art. 63, co. 4, D.Lgs. n. 165/2001), trattandosi di atti che evidentemente conservano natura pubblicistica in quanto antecedenti alla costituzione del rapporto e, quindi, non influenzati dalla sua privatizzazione (oltre alla giurisdizione inerente ai rapporti facenti capo alla descritta una serie di categorie non privatizzate espressamente individuate: commi 4 e 5).
Senonché, sotto il profilo dogmatico, benché alcuni autori abbiano caldeggiato la tesi della sostanziale giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, in nome del principio di maggior concentrazione delle tutele, l'orientamento prevalente ha invece riaffermato la tesi della regola generale di riparto fondata sulla natura della posizione soggettiva fatta valere, di fatto traslando, in termini processuali, la scelta operata sul terreno del diritto sostanziale di assegnare all'area del diritto privato tutti gli atti di gestione dei rapporti di lavoro, nonché le determinazioni organizzative adottate con i poteri e la capacità del privato datore di lavoro, e di riservare alla sfera pubblicistica i soli atti a carattere organizzativo individuati dall'art. 2, co. 1 del D.Lgs. n. 165/2001.
È dunque emersa, nel tempo, una ricchissima casistica giurisprudenziale, che ha consentito al Massimo Consesso regolatore della materia di tipizzare le fattispecie attribuite ora all'una ora all'altra delle due giurisdizioni, mentre in dottrina l'apparente aporia della norma è stata per lo più risolta mediante delineazione di una sorta di “Linea Maginot”, riservando al giudice amministrativo le controversie relative alle procedure concorsuali, ma non quelle successive all'approvazione della graduatoria, le quali sarebbero, invece, da ricondursi alla competenza del giudice del lavoro.
Ciò nonostante, non sono mancate, soprattutto presso il giudice amministrativo, prese di posizione disallineate, accomunate dalla sostanziale obiezione secondo cui non basta affermare che gli atti e le condotte assunte dalla P.A. si collocano in una fase successiva all'approvazione della graduatoria per inferirne sic et simpliciter la giurisdizione del giudice ordinario. Occorre, infatti, pur sempre verificare la natura del potere esercitato dalla P.A., per dedurne poi, ai fini dell'individuazione del giudice munito della cognizione, la natura di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo della situazione giuridica fatta valere dall'idoneo, in quanto il potere autoritativo è, invero, il medesimo, quale che sia la direzione o il contenuto finale del provvedimento che ne è l'espressione.
È, dunque in questo composito scenario, che si colloca la recente pronuncia a Sezioni Unite del Supremo Consesso regolatore della giurisdizione, intervenuta a consolidare, in tema di mobilità di dipendenti tra diverse amministrazioni, l'orientamento giurisprudenziale, più volte espresso anche dal Giudice Amministrativo di primo e secondo grado (cfr.: TAR Puglia – Bari, sent. n. 3834 del 31.1.2012, che a sua volta richiama TAR Sardegna, Sez. II, sent. n. 1695 del 28.6.2010 e Cons. St. Sez. V, sent. n. 6541 del 26.10.2009).
Partendo, infatti, dal principio generale per cui la tutela giurisdizionale inerente al rapporto di lavoro di un pubblico dipendente può esplicarsi davanti al giudice amministrativo quando venga impugnato direttamente un atto di macro - organizzazione (che si assume autonomamente lesivo) e davanti al giudice ordinario quando il dipendente contesta l'atto di gestione, applicativo o consequenziale rispetto a quello organizzativo, l'arbitro della giurisdizione riafferma il proprio arresto del 2009 (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 25254/09) per cui spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo la diretta cognizione degli atti recanti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, adottati dalle amministrazioni quali atti presupposti, nei confronti dei quali sono configurabili situazioni di interesse legittimo derivando gli effetti pregiudizievoli direttamente dall'atto presupposto, mentre la cognizione spetta al giudice ordinario quando il giudizio investe direttamente atti di gestione del rapporto in relazione ai quali i suddetti provvedimenti di autoregolamentazione costituiscono solamente atti presupposti.
In particolare, la Suprema Corte, in linea con le proprie considerazioni (già espresse nella nota sentenza Cassazione, sez. un. 9.9.2010, n. 19251) e con parte dei successivi arresti del massimo consesso amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenze “gemelle” nn. 177 e 178 del 17 gennaio 2014), qualifica e riconduce la fattispecie posta al suo vaglio nell'alveo delle ipotesi di mobilità di dipendenti tra diverse amministrazioni (contemplate dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001) e, nello specifico, alla figura civilistica della cessione del contratto (espressione peraltro impiegata dall'art. 30, comma 1, D.Lgs. n. 165), la quale non determina la costituzione di un nuovo rapporto bensì, con il consenso trilaterale di tutte e tre le parti coinvolte, il trasferimento della titolarità del rapporto contrattuale preesistente, comprensivo di tutte le posizioni attive e passive che lo compongono, in capo ad una Amministrazione pubblica diversa da quella in cui era precedentemente inquadrato il dipendente destinatario del “passaggio diretto” ex art. 30 D.Lgs. n. 165 del 2001.
Con la pronuncia in commento, dunque, le Sezioni Unite riaffermano il dictat per cui la mobilità per passaggio diretto nell'ambito del pubblico impiego privatizzato corrisponde ad una fattispecie di modificazione del rapporto di lavoro sul fronte soggettivo (riconducibile alla cessione del contratto già in essere) e, come tale, regolata dalle comuni disposizioni giuslavoristiche (per quanto non espressamente previsto dal D.Lgs. n. 165 o dalle leggi speciali in materia) oltre che dalla contrattazione collettiva che intervenga nella regolamentazione delle procedure in questione. Pertanto, qualora il petitum sostanziale avanzato con l'azione giurisdizionale riguardi un qualsiasi aspetto della procedura di passaggio diretto, la questione non potrà che essere sottoposta al vaglio del Giudice ordinario, quale giudice titolare della giurisdizione in tema di controversie scaturenti dal rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. |