Somministrazione irregolare: il licenziamento intimato dal somministratore va impugnato nei confronti dell’utilizzatore?
30 Novembre 2016
Massima
Nei casi di costituzione d'un rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore, ai sensi dell'art. 27 co. 1 del D.Lgs. n. 276/2003, gli atti di gestione del rapporto posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell'utilizzatore tutti gli effetti negoziali anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest'ultimo ai sensi dell'art. 6 L. n. 604/1966. Il caso
Un lavoratore viene allontanato dal servizio dal (ritenuto) sostanziale datore di lavoro, a seguito di atto di recesso comunicato dal (ritenuto) formale committente. La domanda proposta nei confronti del predetto datore, volta alla reintegra nel posto di lavoro, viene rigettata sul rilievo che, nella vicenda dedotta in giudizio, opera il regime della somministrazione irregolare, onde il licenziamento intimato dal somministratore, quale atto di gestione del rapporto, quindi riferibile all'utilizzatore, avrebbe dovuto essere impugnato nei confronti di quest'ultimo a pena di decadenza. La questione
La questione in esame è la seguente: il licenziamento intimato (o il recesso comunicato) dal somministratore (pseudo-datore di lavoro o pseudo-committente) deve essere impugnato, o meno, dal lavoratore che, deducendo la sussistenza di un rapporto di lavoro con l'utilizzatore della prestazione, agisca per ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato direttamente con quest'ultimo?
Le soluzioni giuridiche
La S.C. perviene alla conclusione che il licenziamento intimato (o il recesso comunicato) dal “formale” datore di lavoro - necessariamente somministratore “irregolare” - costituisca un atto di gestione del rapporto riferibile all'utilizzatore; ciò per effetto della disposizione di cui all'art. 27, co. 2, D.Lgs. n. 276 del 2003 (oggi abrogata - unitamente al corpo di norme dettate in tema di somministrazione di lavoro - dall'art. 55, co. 1, lett. d), D.Lgs. n. 81 del 2015, ma per lo più riprodotta, con qualche lieve modifica, nell'art. 38, co. 3, del citato D.Lgs.), ove è previsto che, in ipotesi di somministrazione irregolare, “Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione”.
La prima conseguenza è che l'atto espulsivo deve essere impugnato, a pena di decadenza, nei confronti dell'utilizzatore. La seconda è che dovrebbe applicarsi, inevitabilmente (benché questo la S.C. esplicitamente non dica), tutta la disciplina del licenziamento (quanto ad apparato sanzionatorio in caso di mancanza di giustificazione).
Ciò peraltro finisce per valere - per effetto dei richiami rispettivamente operati dagli artt. 29, co. 3-bis, e 30, co. 4-bis, al citato art. 27, co.2, D.Lgs. n. 276 del 2003 - anche per l'ipotesi di licenziamento intimato dallo pseudo appaltatore (in caso di appalto non genuino) o dallo pseudo distaccante (in caso di distacco illegittimo).
Potrebbe di contro ritenersi che il licenziamento in questione non possa ricondursi agli atti di gestione, sicché esso, in quanto non ascrivibile all'utilizzatore, non debba essere impugnato nei confronti di nessuno, essendo da considerarsi, giacché emanato da fittizio datore di lavoro, tamquam non esset (cfr., con riferimento alla L. n. 1369 del 1960, Cass. 16 giugno 1998, n. 5995, ove è statuito che “In ipotesi di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro il potere di recesso deve essere esercitato dal contraente reale e non già da quello fittizio. Pertanto il licenziamento intimato dal soggetto interposto, privo del potere di recesso, è inefficace, sicché, non potendo incidere sul rapporto reale, non richiede al lavoratore, che agisce per l'adempimento, alcuna impugnazione, né decorre il termine di decadenza di cui all'art. 6 della L. n. 604 del 1966”).
In accoglimento di tale secondo orientamento il lavoratore dovrebbe impugnare, nei confronti dell'utilizzatore, l'atto di “cessazione di svolgimento dell'attività” (che verrà a coincidere con l'estromissione di fatto del lavoratore da parte dell'utilizzatore) entro il termine di decadenza previsto, appositamente, per la somministrazione irregolare; e si applicherà il regime sanzionatorio di cui all'art. 32, co. 5, della L. n. 183 del 2010 (in origine riferito ai rapporti a termine in generale, ed oggi attualmente riprodotto, quanto alla somministrazione irregolare, dall'art. 39, co. 2, D.Lgs. n. 81 del 2015, ove è previsto che “Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di cui al co. 1, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto …”). Osservazioni
Benché il lavoratore, per quanto è dato apprendere dalla sentenza in commento, abbia impostato la causa come di impugnativa del licenziamento, la S.C., in adesione alla linea seguita dal giudice di appello, ha ricostruito la fattispecie, in ragione della presenza di un soggetto interposto, come somministrazione irregolare. Ma, nel far ciò, ha accordato rilievo all'atto di recesso comunicato dall'interposto medesimo - al fine di rendere l'atto in questione come proveniente dall'utilizzatore - facendo conseguentemente scattare la disciplina sul licenziamento.
Tuttavia, nel sistema della somministrazione irregolare - solo all'interno del quale, si noti, il legislatore ha concepito la diretta imputabilità di determinati atti in capo all'utilizzatore - non sembra esservi spazio per l'operatività (anche, per mera ipotesi, parziale) della disciplina sul licenziamento (che va prontamente esclusa, in caso di somministrazione a tempo determinato, ove il somministratore estrometta il lavoratore a seguito della scadenza del termine apposto al contratto; quell'atto, ricognitivo di una avvenuta cessazione del rapporto, non è qualificabile, neppure in astratto, come licenziamento).
Infatti, in presenza di tal vicenda giuridica, il rimedio predisposto a vantaggio del lavoratore è, in via esclusiva, l'azione volta alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore (e di ciò prende atto la stessa S.C., per come emerge dall'incipit del principio di diritto, ove si fa riferimento ai “casi di costituzione d'un rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore, ai sensi dell'art. 27 co. 1 del D.Lgs. n. 276/2003”), non coincidente con quella di impugnativa del licenziamento.
Opinando diversamente non si giustificherebbero adeguatamente le discipline riguardanti l'apposito termine di decadenza nonché il trattamento sanzionatorio previsto per la somministrazione irregolare.
Quanto alla prima, le disposizioni di riferimento (cfr. l'art. 32, co. 4, lett. d), della L. n. 183 del 2010, che estende la decadenza prevista per il licenziamento ad “ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'art. 27 del D.Lgs. n. 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”. V., ancora, l'art. 39, co. 1, D.Lgs. n. 81 del 2015, ove è precisato che: “1. Nel caso in cui il lavoratore chieda la costituzione di un rapporto di lavoro con l'utilizzatore, ai sensi dell'art. 38, co. 2, trovano applicazione le disposizioni dell'art. 6 della L. n. 604 del 1966, e il termine di cui al primo comma del predetto articolo decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore”), come è agevole notare, non fanno differenza sulle modalità di cessazione del rapporto (ad esempio, licenziamento o scadenza del termine) con il somministratore.
Esse si limitano a disporre che, nel caso in cui si chieda la costituzione di un rapporto di lavoro con l'utilizzatore, occorre rispettare il regime speciale di decadenza di cui al citato art. 39, co. 1, D.Lgs. n. 81 del 2015.
Quanto alla seconda, il regime di cui all'art. 39, co. 2, del predetto D.Lgs. (norma non applicabile ratione temporis alla controversia esaminata, ma costituente parametro per interpretare, sul punto, l'art. 32, co. 5, L. n. 183 del 2010, già applicabile alla somministrazione irregolare per insegnamento giurisprudenziale) opera “Nel caso in cui il giudice accolga la domanda” volta alla costituzione del rapporto di lavoro con l'utilizzatore.
Il che significa che il legislatore, anche qui, si disinteressa delle modalità di cessazione del rapporto di lavoro con il somministratore (e, di conseguenza, con l'utilizzatore); se il lavoratore, in presenza di somministrazione irregolare, agisce per veder costituito il rapporto con l'utilizzatore, la tutela è quella prevista per la somministrazione irregolare, non potendo mai applicarsi la disciplina del licenziamento.
In tal quadro - tenuto conto dell'impianto normativo, che deve orientare il lavoro dell'interprete - sembra doversi dare risposta negativa al quesito se con il termine “gestione” il legislatore abbia effettivamente voluto far riferimento anche ad un atto che ponga fine al rapporto.
Peraltro, avuto riguardo al dato lessicale, si può gestire ciò che è in vita, mentre il licenziamento, appunto, più che modificare il rapporto (come invece ritiene la S.C.), lo estingue.
Nel regime introdotto dal menzionato D.Lgs. n. 81 del 2015 è previsto che non solo gli “atti compiuti”, ma anche quelli “ricevuti” dal somministratore debbano essere riferiti all'utilizzatore; sicché l'impostazione oggi seguita dalla S.C. porterebbe a concludere che non solo il licenziamento intimato dal somministratore, ma anche l'impugnativa inoltrata a quest'ultimo debba intendersi riferita all'utilizzatore medesimo, il quale, però, non verrebbe a conoscenza dell'intenzione del lavoratore di agire nei suoi confronti. Una nota conclusiva. Qualora si ritenga che il licenziamento (in senso tecnico) intimato dal somministratore determini una causa di impugnativa di licenziamento nei confronti dell'utilizzatore, si avranno due conseguenze di rilievo: a) il rito applicabile, nell'area della tutela reale con riguardo ai vecchi assunti, sarà quello “Fornero”; b) i margini di manovra dell'utilizzatore nell'affrontare la causa saranno inspiegabilmente condizionati dalle ragioni poste dal somministratore a base del licenziamento. |