Ammissibilità (e limiti) del regolamento di competenza nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento

Luigi Di Paola
03 Febbraio 2015

“È ammissibile il regolamento di competenza con riguardo ad una pronuncia sulla litispendenza emessa nella fase sommaria del rito cosiddetto Fornero ex art. 1, commi 47 e ss, della legge 28 giugno 2012, n. 92, atteso il carattere solo eventuale della fase a cognizione piena e l'idoneità al passaggio in giudicato dell'ordinanza conclusiva della fase sommaria in caso di omessa opposizione, sicché è necessario che il giudice ammetta ed esamini la questione di rito”.
Massime

“È ammissibile il regolamento di competenza con riguardo ad una pronuncia sulla litispendenza emessa nella fase sommaria del rito cosiddetto Fornero ex art. 1, commi 47 e ss, della legge 28 giugno 2012, n. 92, atteso il carattere solo eventuale della fase a cognizione piena e l'idoneità al passaggio in giudicato dell'ordinanza conclusiva della fase sommaria in caso di omessa opposizione, sicché è necessario che il giudice ammetta ed esamini la questione di rito”.

“Ai fini della dichiarazione di litispendenza, occorre avere riguardo esclusivamente al criterio della prevenzione, mentre è irrilevante ogni indagine sull'effettiva competenza del giudice preventivamente adito a conoscere della controversia pur se il giudice successivamente adito sia titolare della competenza a conoscere della causa, rispondendo tale istituto all'esigenza di evitare la contemporanea pendenza di due giudizi con gli stessi elementi processuali, e, dunque, un'inammissibile duplicità di azioni giudiziarie in relazione al medesimo diritto soggettivo, con conseguente pericolo di contraddittorietà di giudicati”.


Il caso

Una società agiva in giudizio, secondo il procedimento speciale introdotto dalla cd. “legge Fornero”, per far accertare la legittimità del licenziamento irrogato ad un proprio dipendente. Quest'ultimo si costituiva in giudizio eccependo, tra l'altro, la “non usufruibilità” del rito speciale da parte del datore di lavoro e spiegando riconvenzionale condizionata e subordinata; contestualmente promuoveva azione di impugnativa del licenziamento - sovrapponibile al contenuto della riconvenzionale in questione - dinanzi ad organo giudicante appartenente ad altra circoscrizione territoriale, sempre avvalendosi del predetto procedimento speciale. Il giudice successivamente adito dichiarava la litispendenza. Il lavoratore promuoveva avverso tale decisione regolamento di competenza, chiedendo che venisse accertata la competenza del predetto giudice.

La questione

Le questioni in esame (trattate in ordine inverso rispetto a quello seguito nella sentenza, al fine di valorizzare il nesso di consequenzialità logica tra le due) sono le seguenti:

a) è ammissibile il regolamento di competenza proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui all'art. 1, commi 47 e segg., della legge 28 giugno 2012, n. 92 (cd. “rito Fornero”)?
b) il regolamento di competenza può riguardare profili processuali concernenti la domanda proposta dinanzi al giudice preventivamente adito?

Le soluzioni giuridiche

Per giurisprudenza oramai consolidata il regolamento di competenza è inammissibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi nell'ambito di un procedimento cautelare.
Per come ricordato dalla sentenza in commento, «le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione (Cass. S.U. 9 luglio 2009 n. 16091; Cass. S.U. 29 luglio 2013 n. 18189), nell'affermare l'inammissibilità della proposizione del regolamento di competenza in materia di procedimenti cautelari (…), hanno motivato tale decisione facendo leva sulla natura giuridica di un provvedimento declinatorio della competenza in sede cautelare, che, in quanto caratterizzato dalla provvisorietà e dalla riproponibilità illimitata, non può essere oggetto di una procedura di regolamento atteso che l'eventuale decisione, pronunciata in esito al procedimento disciplinato dall'art. 47 c.p.c., sarebbe priva del requisito della definitività».
La fase sommaria del “rito Fornero”, secondo la S.C., non ha tuttavia natura cautelare in senso tecnico; infatti una pronuncia sulla litispendenza emessa in tale fase è dotata di stabilità e, pertanto, «non sussistendo le ragioni individuate dalle Sezioni Unite per negare l'ammissibilità del regolamento di competenza nel caso dei procedimenti cautelari, il regolamento di competenza deve ritenersi ammissibile». Poiché l'ordinanza conclusiva della fase sommaria, in mancanza di opposizione, è idonea a passare in giudicato, è necessario che il giudice di detta fase ammetta ed esamini la questione di rito (nel caso di specie la litispendenza) e decida sulla stessa. «Solo così, infatti, è possibile evitare un possibile conflitto di giudicati sulla stessa questione (…)».
Per giurisprudenza del pari consolidata, con il regolamento di competenza non possono farsi valere aspetti inerenti alla domanda proposta dinanzi al giudice preventivamente adito (cfr., negli stessi termini, da ultimo, pur in tema di continenza, Cass. civ., sez. lav., sent. 20 novembre 2014, n. 24790, ove è statuito, tra l'altro, che tra la causa avente ad oggetto l'accertamento della legittimità del licenziamento proposta con il rito Fornero, pendente in fase di opposizione, e quella concernente l'impugnativa del medesimo licenziamento, introdotta con lo stesso rito dinanzi a giudice appartenente ad altra circoscrizione territoriale, pendente in fase sommaria, sussiste un rapporto di continenza).
Tale conclusione, secondo la S.C., «appare obbligata in relazione alla formulazione dell'art. 39, primo comma, c.p.c., che impone la declaratoria della litispendenza e la conseguente cancellazione della causa dal ruolo in presenza dell'unico presupposto costituito dalla circostanza che la "stessa causa" è stata precedentemente proposta dinanzi a un giudice diverso; essa si pone su una linea di coerenza rispetto al principio, costantemente affermato da questa Corte di legittimità, anche a Sezioni unite (Cass. S.U. 11 novembre 1994 n. 9409) con riferimento al distinto ma parallelo profilo della sindacabilità, nel caso di dichiarazione di litispendenza, della competenza del giudice preventivamente adito. È stato infatti precisato nella sentenza da ultimo citata che, al fine della dichiarazione di litispendenza occorre fare esclusivo riferimento al criterio della prevenzione, senza che possa assumere rilevanza qualsiasi indagine sull'effettiva competenza del giudice preventivamente adito a conoscere della controversia e senza che alla suddetta declaratoria sia di ostacolo la circostanza che titolare di tale competenza sia il giudice successivamente adito (…)».

In buona sostanza, non potrebbe essere utilmente eccepita, al fine di escludere l'operatività della litispendenza, non solo l'incompetenza del giudice preventivamente adito, ma neppure la carenza di interesse ad agire della parte che ha preventivamente proposto l'azione; né, ancora, potrebbe essere rilevata proficuamente l'inammissibilità della domanda per difetto di apposita previsione normativa al riguardo.

Osservazioni

Nella sentenza in commento non è stata risolta la controversa questione, per la cui decisione erano state investite le Sezioni Unite, dell'ammissibilità, o meno, con il “rito Fornero”, dell'azione, proposta dal datore, volta all'accertamento della legittimità del licenziamento intimato al dipendente. Ciò in quanto, per come sopra visto, la predetta questione integra un profilo processuale attinente alla domanda proposta dinanzi al giudice preventivamente adito, come tale inammissibile. Alcuni commentatori hanno tuttavia osservato che, vista la rilevanza del problema, la S.C. avrebbe potuto, in via di opportunità, comunque esprimere il proprio parere al riguardo, sia pur mediante un obiter dictum, così soddisfacendo l'esigenza di certezza avvertita dagli operatori.
Sta di fatto che la questione rimane attualmente aperta, persistendo la coesistenza di due posizioni contrapposte: l'una, fondata sulla lettera della legge, che, consentendo l'utilizzo del “rito Fornero” solo per le domande di “impugnativa del licenziamento”, sembrerebbe ammettere il solo lavoratore ad avvalersi del meccanismo processuale in questione; l'altra, fondata su profili sistematici (nonché fedele alla tradizione, che ha sempre riconosciuto, al riguardo, analogo potere di azione ai soggetti del rapporto di lavoro) imperniata sulla valorizzazione dell'interesse - comune ad entrambe le parti - alla definizione, in tempi brevi, della vicenda connessa al licenziamento.
Peraltro, l'obiettivo di conseguire una rapida decisione sulla vicenda del licenziamento, mediante l'utilizzo del “rito Fornero”, potrebbe essere frustrato ogni qualvolta il datore di lavoro agisca, secondo tale rito, in prevenzione.
Infatti, qualora il giudice preventivamente adito declini, ad esempio, la propria competenza, oppure ritenga che il datore di lavoro, per effetto della decadenza oggi prevista per il deposito del ricorso giudiziale, non abbia interesse ad agire in mero accertamento, o, ancora, escluda che l'azione datoriale possa farsi valere con il menzionato rito speciale, il predetto datore potrebbe determinare un allungamento dei tempi proponendo reclamo, e, di poi, ricorrere in Cassazione. Nelle more, al dipendente sarebbe precluso far esaminare da un giudice la questione del licenziamento, poiché opererebbe, per come sopra visto, la litispendenza. In buona sostanza, solo a seguito della definitività del giudizio intentato dal datore il predetto dipendente potrebbe utilmente coltivare la domanda di impugnativa del licenziamento.
Situazione ancor più delicata potrebbe verificarsi qualora il datore agisca in prevenzione in via ordinaria ex art. 414 c.p.c. e si ritenga che operi la litispendenza tra la controversia da quest'ultimo promossa e quella successivamente intentata dal lavoratore con il “rito Fornero”; qui, come può agevolmente intuirsi, l'azione del lavoratore medesimo sarebbe paralizzata addirittura per anni.
Ad una tale dilatazione di tempi potrebbe ovviarsi solo ove si ammetta - ma in contrasto con l'opinione che oggi sembra prevalere - la riconvenzionale nella fase sommaria del “rito Fornero”, poiché, in tal caso, il giudice, purché competente, sarebbe legittimato a decidere fin da subito sulla domanda del lavoratore, il cui unico disagio sarebbe quello di doversi difendere dinanzi ad un ufficio maggiormente gradito, quanto a comodità, alla parte datoriale.
Potrebbe peraltro pensarsi, ma l'ipotesi meriterebbe maggior approfondimento, al promovimento, da parte del lavoratore, di domanda ex art. 700 c.p.c. ante causam (sempre che se ne reputi l'ammissibilità in astratto) volta al conseguimento della reintegra nel posto di lavoro.
Un'altra via, de iure condendo, a tal fine percorribile, potrebbe essere quella di prevedere, in via normativa, che la Cassazione possa, pur in sede di regolamento di competenza avverso provvedimenti che abbiano dichiarato la litispendenza o la continenza, sindacare i profili processuali inerenti alla domanda proposta dinanzi al giudice preventivamente adito - sì da affermare, sin da subito, la competenza a decidere del giudice successivamente investito della causa - ove i predetti profili siano, per così dire, all'evidenza ostativi ad una decisione sul merito.
Problema diverso è quello derivante dalla perdita per il lavoratore di una fase del rito, allorquando la controversia sia attratta nella competenza del giudice della causa incardinata dal datore di lavoro e pendente in fase di opposizione; ma qui Cass. civ., sez. lav., n. 24790, cit., ha precisato, pur con esclusivo riferimento al fenomeno della continenza, che la perdita in questione non costituisce una lesione del diritto di difesa, poiché nella fase di opposizione il lavoratore medesimo potrà agire con tutti gli strumenti previsti dall'ordinamento.

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