Solidarietà negli appalti: la Cassazione chiarisce i rapporti tra la “Legge Biagi” e il “Codice dei contratti pubblici”

Andrea Melchiorri
26 Gennaio 2015

“La disciplina prevista dall'art. 29 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 non trova applicazione per i contratti pubblici di appalto relativi a lavori, servizi e forniture in caso di ritardato od omesso pagamento delle retribuzioni o dei contributi previdenziali dovuti dall'appaltatore, o dagli eventuali subappaltatori, ai propri lavoratori dipendenti. In tale ipotesi trova, invece, applicazione il particolare regime di tutela previsto dagli artt. 4 e 5 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 ovvero il regime di tutela residuale previsto dall'art. 1676 c.c.”.
Il caso

Tizio, dipendente della società Alfa s.r.l., citava in giudizio davanti al Tribunale la suddetta società, nonché, a titolo di responsabilità solidale ai sensi dell'art. 29 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, l'Amministrazione Beta in qualità di committente di un appalto pubblico di servizi al fine di vedersi riconoscere il pagamento di alcune differenze retributive nonché dell'indennità di mancato preavviso in relazione alle dimissioni rassegnate per giusta causa.
Avverso la sentenza di accoglimento del Tribunale, presentava appello l'Amministrazione Beta contestando l'applicabilità ad una pubblica amministrazione e ad un contratto pubblico di appalto di servizio della disciplina prevista dall'art. 29 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. La Corte di Appello rigettava l'appello sostenendo che l'art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003 secondo cui "Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale", dovesse essere interpretato alla luce della legge delega, per salvaguardarne la conformità con l'art. 76 Cost., in modo tale che l'espressione ivi contenuta "pubbliche amministrazioni .... e il loro personale" fosse da considerare "come una endiadi" equivalente all'espressione "il personale delle pubbliche amministrazioni", in conformità dell'art. 6 della Legge di delega n. 30 del 2003.
Conseguentemente, secondo l'interpretazione della Corte di Appello, l'esclusione opererebbe solo nei confronti della pubblica amministrazione nella sua qualità di datore di lavoro e non anche qualora essa operi in forza del suo ruolo istituzionale. A sostegno di questa interpretazione vengono citate le previsioni degli artt. 6, 76 e 86, comma 9 del D. Lgs. n. 276/2003 contenenti discipline specifiche per la pubblica amministrazione.
Secondo il giudice dell'appello, tale interpretazione estensiva era peraltro preferibile anche in base all'art. 3 Cost. per evitare una situazione di obiettivo svantaggio al lavoratore occupato nell'ambito di un appalto intercorso con un committente pubblico.
Avverso quest'ultima sentenza proponeva ricorso per Cassazione l'Amministrazione Beta denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003. In particolare, il ricorrente contestava la lettura dell'art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003 fornita dal giudice d'appello ed evidenziava come la mancata applicazione dell'art. 29 non avrebbe ridotto le tutele dei lavorati in caso di inadempimento riscontratosi nei loro confronti da parte degli appaltatori negli appalti pubblici dal momento che tali lavoratori avrebbero beneficiato della disciplina generale prevista dall'art. 1676 c.c. e di quella specifica di cui al D.P.R. n. 207 del 2010.

La questione

La questione in esame è la seguente: qual è la disciplina giuridica applicabile ai contratti pubblici di appalto relativi a lavori, servizi e forniture, in caso di ritardo od omesso pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al personale dipendente dell'appaltatore o del subappaltatore?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione affronta per la prima volta la complessa questione in esame ed i giudici di legittimità riconoscono che la dottrina e la giurisprudenza di merito prevalenti – tanto ordinaria quanto amministrativa – hanno espresso considerazioni giuridiche analoghe a quelle della Corte d'Appello in favore dell'applicabilità agli appalti pubblici della disciplina dell'art. 29 D. Lgs. n. 276/2003.
La Corte di Cassazione, tuttavia, sposa la soluzione opposta e nega l'applicabilità dell'art. 29 alla fattispecie attraverso una puntuale argomentazione giuridica.
La sentenza di legittimità, infatti, ritiene infondata l'interpretazionepiuttosto creativa” operata dai giudici di merito con riferimento all'esclusione prevista dall'art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003, poiché essa risulta “in contrasto con il chiaro dato letterale” che esclude le pubbliche amministrazioni dall'ambito di applicazione del decreto legislativo.
Né, chiarisce la Corte di Cassazione, sussiste alcuna necessità di procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata, in base all'art. 76 Cost., del decreto legislativo alla luce della legge delega. Ciò non solo perché il disposto dell'art. 6 della legge delega n. 30/2003 non risulta decisivo in tal senso, ma anche perché il testo del comma 2, dell'art. 29, del D.Lgs. n. 276/2003 è stato sostituito dall'art. 1, comma 911, della legge n. 296/2006. Tale sostituzione, come chiarito dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 5/2013, “ha trasformato la natura della norma de qua da legge in senso materiale a legge in senso formale, così affrancandola dal vizio di eccesso di delega”. Non sussistono, pertanto, secondo la Corte di Cassazione, ragioni per allontanarsi da un'interpretazione letterale della norma e procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 1, comma 2, D. Lgs. n. 276/2003.
Molto interessanti sono poi le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione in merito al regime giuridico di tutela applicabile ai lavoratori occupati in un appalto pubblico. La sentenza evidenzia e ricostruisce, infatti, il quadro delle tutele applicabili a tali lavoratori in base al D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»).
Tali tutele operano tanto sul piano preventivo – laddove si prevede tra i requisiti soggettivi rilevanti per la scelta dell'appaltatore la regolarità contributiva certificata attraverso il DURC (cfr. art. 6 D.P.R. n. 207/2010) – quanto sul piano successivo all'eventuale inadempimento contributivo e/o retributivo, attraverso uno specifico intervento sostitutivo del committente/stazione appaltante (cfr. artt. 4 e 5 D.P.R. n. 207/2010).
Rileva, infine, la Corte di Cassazione che a tale specifico regime di tutela si aggiunge, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, il regime generale previsto dall'art. 1676 c.c. che consente, anche negli appalti pubblici, ai lavoratori di agire direttamente nei confronti del committente per ottenere “quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.
Pertanto, rilevano i giudici di legittimità, dall'insieme di tali disposizioni si desume che a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori impegnati negli appalti - o nei subappalti - pubblici sono previsti specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono agli interessati di avere direttamente dall'amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d'opera”.

Osservazioni

La sentenza in commento risulta interessante per il suo valore nomofilattico sulla questione complessa dei rapporti tra i diversi regimi di tutela previsti in materia di appalto dalla cd. Legge Biagi (D. Lgs. n. 276/2003) e dal cd. Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 163/2006 e D.P.R. n. 207/2010).
Come ricorda anche la Corte di Cassazione, la questione è stata oggetto di un recente intervento legislativo e l'art. 9, comma 1, del D.L. n. 76/2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 99/2013, chiarisce ora che le disposizioni di cui all'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 “non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
Ciononostante le argomentazioni svolte dalla Corte di Cassazione risultano interessanti non solo nei casi, come quello affrontato nella fattispecie, in cui il D.L. n. 76/2013 non è applicabile ratione temporis, ma a ben vedere perché tracciano un confine tra diversi regimi di tutela applicabili alla materia degli appalti pubblici e privati che potrebbe avere conseguenze applicative più ampie.
Se si esamina con attenzione la disposizione contenuta nel D.L. n. 76/2013 ci si accorge che essa fa riferimento solamente “alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” facendo così riferimento ad una platea di soggetti, per lo più di diritto pubblico, più stretta rispetto a quella dei soggetti tenuti ad applicare il cd. Codice dei contratti pubblici.
Emblematica appare a tal proposito l'ipotesi delle cd. imprese pubbliche, come definite dall'art. 3, comma 28, del D.Lgs. n. 163/2006, che, pur essendo tenute in alcuni casi ad applicare la disciplina degli appalti pubblici, non rientrano nel novero dei soggetti elencati dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Peraltro, la definizione dei confini di applicabilità del Codice dei contratti pubblici a questi soggetti di diritto privato è questione complessa sulla quale è intervenuto il Consiglio di Stato con l'importante pronuncia in Adunanza Plenaria 1 agosto 2011, n. 16 limitando l'applicazione del D.Lgs. n. 163 ai soli cd. settori speciali (cfr. art. 207, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 163/2006 e gli approfondimenti consigliati).
Ai fini giuslavoristici che qui più ci interessano risultano allora importanti le argomentazioni svolte nella sentenza in commento dalla Corte di Cassazione.
Esse, infatti, non potendo applicare il D. L. n. 76/2013 ratione temporis, sembrano andare oltre e definire un rapporto di alternatività – o se si preferisce di specialità – tra il regime di tutela previsto dalla cd. Legge Biagi e dal cd. Codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che, ogniqualvolta trovi applicazione quest'ultimo, non è invece applicabile l'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003.
In questo senso depone anche l'enunciazione del principio di diritto effettuata dai giudici di legittimità ai sensi dell'art. 384, comma 1 c.p.c., laddove nell'escludere l'applicazione dell'art. 29, comma 2, D. Lgs. n. 276/2003 fa riferimento alla più ampia materia dei contratti pubblici e non solo alle amministrazioni pubbliche strictu sensu.
D'altra parte, una diversa opzione interpretativa sarebbe irragionevole e non conforme all'art. 3 Cost. nella misura in cui finirebbe per cumulare l'applicazione dell'art. 29, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003 e degli artt. 4 e 5 D.P.R. n. 207/2010 solo per le cd. imprese pubbliche e non per le amministrazioni pubbliche strictu sensu.
La questione non è priva di rilievo pratico laddove si consideri che i regimi di tutela previsti dall'art. 29, comma 2 del D. Lgs. n. 276/2003 e dall'art. 5 del D.P.R. n. 207/2010 si distinguono sotto diversi profili. Meritano qui di essere ricordati, in paticolare, quelli relativi alla legittimazione (in capo al lavoratore per l'art. 29; spettante alla stazione appaltante in base all'art. 5 del D.P.R. n. 207/2010), ai termini decadenziali (due anni dalla cessazione dell'appalto nel caso dell'art. 29; non previsti dall'art. 5 del D.P.R. n. 207/2010) nonché ai limiti economici della responsabilità solidale stessa (non presenti nell'art. 29 e fissati nelle somme dovute all'esecutore del contratto ovvero al subappaltatore inadempiente nel caso dell'art. 5 del D.P.R. n. 207/2010).

Guida all'approfondimento

- E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2010, pp. 96 e ss.
- R. Garofoli – G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto, 2013, pp. 171 e ss.
- G. Amoroso - V. Di Cerbo - A. Maresca, Diritto del lavoro – La Costituzione, il Codice Civile e le leggi speciali – Vol. I, Giuffrè, 2009, pp. 1529 e ss.

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