Somministrazione di lavoro a tempo determinato: presupposti sostanziali e conseguenze sanzionatorie a confronto con la disciplina del contratto a termine

Marcello Bonomo
26 Gennaio 2015

In tema di somministrazione di lavoro, la causale giustificativa indicata in «punte di intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo» è assistita da un grado di specificità sufficiente a soddisfare il requisito di forma sancito dall'art. 21, 1º comma, lett. c), d.leg. 9 ottobre 2003 n. 276, fermo restando l'onere per l'utilizzatore di fornire la prova dell'effettiva esistenza delle ragioni giustificative in caso di contestazione”.
Massime

"In tema di somministrazione di lavoro, la causale giustificativa indicata in «punte di intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo» è assistita da un grado di specificità sufficiente a soddisfare il requisito di forma sancito dall'art. 21, 1º comma, lett. c), d.leg. 9 ottobre 2003 n. 276, fermo restando l'onere per l'utilizzatore di fornire la prova dell'effettiva esistenza delle ragioni giustificative in caso di contestazione”.

"L'indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, trova applicazione ogni qual volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l'accertamento della nullità di un contratto di somministrazione lavoro, convertito - ai sensi del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 21, u.c., - in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione".

Il caso

Un lavoratore contestava la legittimità di un contratto di somministrazione chiedendo che venisse ripristinato con la società utilizzatrice un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, oltre al risarcimento del danno.
La Corte di Appello riteneva fondata la domanda del lavoratore rilevando che, sia nel contratto di somministrazione, sia nel contratto di prestazioni di lavoro somministrato, non era stato indicato alcuno specifico elemento, nè era stata offerta alcuna convincente prova, in merito alla effettiva sussistenza della causale genericamente indicata di "punte di più intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimenti in reparto produttivo".
In particolare la Corte territoriale rimarcava la carenza nella causale concretamente adottata, di qualsiasi riferimento specifico al settore o reparto cui il dedotto aumento di produzione si riferiva, alla tipologia di lavorazione ed alla specifica produzione, carenza che veniva riguardata quale fattore impeditivo alla verifica di un collegamento causale del contratto di lavoro con il ricorso alla somministrazione, cui faceva riscontro, sotto il diverso versante probatorio, l'inidoneità della documentazione prodotta dalla società a provare l'effettiva esistenza del picco di attività indicato quale causale dei contratti stipulati fra le parti.
Ritenendosi verificata un'ipotesi di somministrazione irregolare, la Corte di Appello costituiva in capo alla società utilizzatrice, ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. 276/2003, un rapporto di lavoro con effetto dall'inizio della somministrazione e, sul presupposto dell'inapplicabilità alla fattispecie del disposto di cui all'art. 32 L. 183/2010, condannava la società utilizzatrice al risarcimento del danno nella misura corrispondente alle retribuzioni maturate sino alla data dell'effettivo ripristino, con detrazione dell'aliunde perceptum.
La pronuncia della Suprema Corte in esame conferma l'illegittimità del contratto di somministrazione e la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo alla società utilizzatrice ma applica come sanzione unicamente l'indennità prevista dall'art. 32, comma 5, L. 183/2010.

Le questioni

Le questioni giuridiche da esaminare concernono i seguenti aspetti della somministrazione di lavoro, posti a confronto con la disciplina del lavoro a termine:
a) l'onere di specificità della causale, ovvero se può ritenersi generico il richiamo operato a punte di più intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo;
b) le conseguenze sanzionatorie derivanti dall'illegittimità della somministrazione, ovvero se, oltre alla costituzione di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sia applicabile solo l'indennità di cui all'art. 32, comma 5, L. 183/2010, senza diritto del lavoratore al risarcimento parametrato alle retribuzioni maturate dall'offerta della prestazione lavorativa sino all'effettivo rispristino del rapporto.

Le soluzioni giuridiche

In ordine alla prima questione la sentenza in commento, pur dando atto della ben definita distinzione degli istituti del contratto a tempo determinato e del contratto di somministrazione sul piano tecnico-giuridico, muove, sul piano interpretativo, da alcuni recenti provvedimenti normativi (D.Lgs. 24/2012 di recepimento della Direttiva n. 2008/104/CE relativa al lavoro tramite agenzia interinale e L. 92/2012) che segnano una discontinuità nel percorso di progressiva equiparazione funzionale dei due istituti.
Questo nuovo corso legislativo è ispirato dalle fonti Europee di riferimento e, segnatamente, dalla Direttiva 2008/104/CE che, a differenza della Direttiva 1999/70 CE, non pone l'obiettivo della prevenzione dell'abuso del ricorso alla somministrazione che non è considerato pericoloso essendo apprezzato come forma di impiego flessibile, in quanto può concorrere "efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili" (art. 4). La Direttiva, infatti, impegna gli Stati membri ad un "riesame delle restrizioni e divieti" che limitano il ricorso alla somministrazione (art. 4) presenti negli ordinamenti nazionali e che possono essere giustificati "soltanto da ragioni d'interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi".
In linea con precedenti pronunce della Suprema Corte viene, quindi, attribuito alle ragioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il significato loro proprio, di presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, distinguendo significato e ratio delle norme relative al contratto a termine ed a quello della somministrazione, non richiedendo che l'enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto.
Fermo restando la natura per così dire causale della somministrazione a termine, cioè la rilevanza giuridica della ragione giustificativa del termine, nonché il controllo giudiziale che riguarda la sua oggettività e la sua effettiva esistenza, si ritiene sufficiente che l'indicazione contrattuale dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo sufficientemente intellegibile, ferma restando la possibilità per l'utilizzatore di fornire a posteriori la prova dell'effettiva esistenza delle ragioni giustificative indicate in caso di contestazione.
La Suprema Corte perviene a tali conclusioni elaborando un'interpretazione sistematica del combinato disposto di cui agli artt. 20, comma 4, 21 e 27, comma 3, D.Lgs. 276/2003 volta a valorizzare una indicazione delle ragioni sottese al ricorso alla somministrazione, che sia assistita da un grado di specificazione tale da consentire di verificare se esse rientrino nella tipologia cui è legata la legittimità del contratto e da rendere pertanto possibile il riscontro della loro effettività.
La decisione in esame ritiene, dunque, che le ragioni del ricorso al lavoro in somministrazione, indicate in "punte di intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo", siano assistite da un grado di specificità sufficiente a soddisfare il requisito di forma del contratto di somministrazione sancito dall'art. 21, comma 1, perchè danno adeguatamente conto delle ragioni giustificative del ricorso a tale tipologia contrattuale, non essendo all'uopo necessario scendere in ulteriore dettaglio.
Qualora la clausola contrattuale dia conto della ragione in concreto da fronteggiare in modo sufficientemente intellegibile, l'utilizzatore è comunque onerato dal fornire la prova dell'effettiva esistenza delle ragioni giustificative, in caso di contestazione.
Con riferimento alla seconda questione la Suprema Corte muove da precedenti pronunce (Cass. 29 maggio 2013 n. 13404, Cass. 17 gennaio 2013 n. 1148) che avevano fornito un'interpretazione dell'art. 32, comma 5, L. 183/2010 di tipo sostanzialista, che contempla l'inclusione nel suo raggio di applicazione, sia del lavoro somministrato che di quello temporaneo.
Tale interpretazione muove da una esegesi letterale dell'art. 32, comma 5, L. 183/2010 che richiama in senso ampio l'istituto del contratto di lavoro a tempo determinato, con formulazione unitaria, indistinta e generale adoperandosi la locuzione "casi" di "conversione del contratto a tempo determinato" non associata all'indicazione di normativa specifica di riferimento, nè al riferimento ad ulteriori elementi selettivi.
Ciò che, quindi, rileva al fine della verifica della applicazione della norma considerata, è la ricorrenza de duplice presupposto della natura a tempo determinato, del contratto di lavoro e della sussistenza di un momento di "conversione" del contratto medesimo.
L'ampiezza della formula utilizzata dalla norma e la mancanza di ulteriori precisazioni da parte del legislatore, rende irrilevante che in alcuni di questi casi, la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato sia preceduta da una conversione soggettiva del rapporto. La disposizione richiede, infatti, solo che si sia in presenza di uno dei "casi di conversione del contratto a tempo determinato", espressione che non esclude che la conversione possa avvenire nei confronti dell'utilizzatore effettivo della prestazione, nè che possa essere l'effetto sanzionatorio di un vizio concernente il contratto di fornitura.
A ulteriore decisiva conferma di tale orientamento viene richiamata la norma interpretativa dettata dall'art. 1, comma 13, L. 92/2012 la quale (nel sancire l'onnicomprensività dell'indennità) fa espresso riferimento alla "ricostituzione" del rapporto indicando che il concetto di conversione comprende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche di natura costitutiva, quale quello previsto dall'art. 27 D.Lgs. 276/2003 con riferimento alla somministrazione irregolare.

Osservazioni

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione si pone, per entrambe le questioni giuridiche esaminate, in continuità con le precedenti pronunce di legittimità emesse in materia.
Condivisibile risulta, per la prima questione, la valorizzazione delle diversità tra la disciplina prevista per la somministrazione ed il lavoro a termine, trattandosi di istituti non del tutto omogenei ed assimilabili.
Coglie nel segno, soprattutto, il richiamo alla differenze della disciplina comunitaria di riferimento (di cui la normativa nazionale costituisce attuazione in entrambi i casi). Per la somministrazione, tale differenziazione trova giustificazione nelle ragioni illustrate dai considerando della Direttiva comunitaria 2008/104/CE, ovvero nella funzione occupazionale che giustifica una disciplina promotiva del lavoro interinale, valorizzato in ottica comunitaria in quanto contribuisce alla creazione di posti di lavoro ed alla partecipazione al mercato del lavoro ed all'inserimento in tale mercato, consentendo un'effettiva possibilità di incontro tra domanda ed offerta, nonché permettendo ai lavoratori di conciliare le proprie esigenze personali e professionali attraverso il reperimento della migliore collocazione possibile per le proprie competenze.
D'altra parte non si ritiene contraddica tale impostazione l'assimilazione del regime sanzionatorio operato nella seconda questione, in quanto correttamente fondata, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, su un'interpretazione letterale della disciplina introdotta dall' art. 32, comma 5, L. 183/2010 applicabile anche alla somministrazione a tempo determinato nei casi di conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato con l'utilizzatore.