I contratti di solidarietà espansiva nel Jobs Act

Marianna Russo
28 Gennaio 2016

Il D.lgs. n.148/2015, attuativo del c.d. Jobs Act in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto, ha disciplinato i contratti di solidarietà espansiva, consistenti in accordi collettivi sottoscritti a livello aziendale e finalizzati all'assunzione di nuovo personale mediante la riduzione dell'orario di lavoro dei dipendenti in forza. In cosa differisce tale norma dalla disciplina introdotta nel 1984 e quasi del tutto inapplicata? Il presente contributo intende delineare l'attuale disciplina dei contratti di solidarietà espansiva anche attraverso il confronto con la precedente disposizione normativa in materia.
Finalità dell'art. 41 d.lgs. n. 148/2015

* Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell'Autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'Amministrazione di appartenenza.

Il d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, entrato in vigore il 24 settembre 2015, attuativo del c. d. Jobs Act in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto, ha disciplinato i contratti di solidarietà espansivi, introdotti nel nostro ordinamento dall'art. 2 d. l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, frutto dell'accordo di concertazione del 22 gennaio 1983, noto come protocollo Scotti.

La norma del 1984 stabiliva che i contratti collettivi aziendali, stipulati con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, potessero prevedere una riduzione stabile dell'orario di lavoro, con conseguente riduzione della retribuzione, a fronte della contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale.

La finalità consisteva nell'incremento degli organici: per questa ragione tali contratti venivano definiti “espansivi” (o contratti di solidarietà “esterna”), a differenza di quelli disciplinati dall'art. 1 d. l. n. 726/1984, finalizzati a fronteggiare le riduzioni di personale e, perciò, denominati “difensivi”.

L'art. 41 d. lgs. n. 148/2015, rubricato “contratti di solidarietà espansiva” non era presente nell'originaria bozza di decreto ed è stata inserita – unica disposizione del titolo III – a seguito delle pressioni operate dalle parti sociali in tal senso. Il contratto di solidarietà espansiva potrebbe, infatti, rappresentare un utile rimedio per incrementare l'occupazione secondo il principio “lavorare meno, lavorare tutti”. Inoltre, potrebbe essere un efficace strumento di contemperamento tra le esigenze dei lavoratori anziani e le aspirazioni dei giovani alla ricerca di occupazione, realizzando così l'agognato ricambio generazionale.

Dall'art. 41 emergono con chiarezza entrambi gli obiettivi: il primo comma indica immediatamente la generale finalità occupazionale e il sinallagma contrattuale, consistente nella riduzione stabile dell'orario di lavoro dei dipendenti occupati a fronte della contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale; il quinto comma dedica particolare attenzione alla solidarietà generazionale, delineando specifiche modalità per la riduzione dell'orario dei lavoratori “anziani”, cioè in possesso del requisito anagrafico (“età inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia di non più di ventiquattro mesi”) e del requisito contributivo minimo per l'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia.

Confronto con l'art. 2 d.l. n. 726/1984

Anche se risponde ad esigenze di grandissima attualità, la disposizione normativa sostanzialmente ricalca la disciplina introdotta nel 1984. E questo non è sicuramente un dato incoraggiante, considerato che i contratti di solidarietà espansiva sono stati quasi del tutto trascurati per circa trent'anni!

L'unica differenza nella formulazione della disposizione del 2015 rispetto a quella del 1984 può riscontrarsi nel criterio di selezione dei soggetti stipulanti l'accordo: il “vecchio” art. 2 faceva riferimento ai “contratti collettivi aziendali con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, mentre l'art. 41 rinvia all'art. 51 d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81, attuativo del Jobs Act in materia di riordino delle tipologie contrattuali.

Tale art. 51, inserito nel capo VII relativo alle disposizioni finali e rubricato “norme di rinvio ai contratti collettivi”, afferma che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.

Cosa vuol dire il legislatore delegato con il rinvio all'art. 51 d. lgs. n. 81/2015?

Considerato che il naturale livello dei contratti di solidarietà è quello aziendale, in quanto l'impegno ad incrementare l'organico aziendale può essere assunto soltanto dall'imprenditore – nel rispetto dell'art. 41 Cost – e non dalle organizzazioni datoriali a livello territoriale o nazionale di categoria, il legislatore delegato intende indicare la controparte di riferimento, che è costituita dalle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) o dalla rappresentanza sindacale unitaria (r.s.u.).

Nel caso in cui in azienda non siano state costituite rappresentanze sindacali, il datore di lavoro potrà sottoscrivere direttamente l'accordo con i lavoratori occupati alle sue dipendenze? In base al tenore della norma, la risposta sembra negativa.

Nel caso in cui non ci siano r.s.a. o r.s.u., il datore di lavoro può sottoscrivere il contratto di solidarietà con le organizzazioni sindacali territoriali? Alla luce dell'art. 51 d. lgs. n. 81/2015 – a cui l'art. 41 in esame fa espressamente rinvio – sembra che si possa rispondere affermativamente, purchè si tratti di associazioni sindacali “comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

La formulazione dell'art. 41 d.lgs. n. 148/2015 è pressoché identica all'art. 2 d. l. n. 726/1984 anche per quanto concerne la misura degli incentivi: “ai datori di lavoro è concesso, per ogni lavoratore assunto sulla base dei predetti contratti collettivi e per ogni mensilità di retribuzione, un contributo a carico della Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali istituita presso l'INPS, di cui all'articolo 37 della legge n. 88 del 1989, pari, per i primi dodici mesi, al 15 per cento della retribuzione lorda prevista dal contratto collettivo applicabile. Per ciascuno dei due anni successivi il predetto contributo è ridotto, rispettivamente, al 10 e al 5 per cento”.

Anche il quinto comma del citato art. 41 ripropone esattamente il quinto comma dell'art. 2 d. l. n. 726/1984: “ai lavoratori delle imprese nelle quali siano stati stipulati i contratti collettivi di cui al comma 1, che abbiano una età inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia di non più di ventiquattro mesi e abbiano maturato i requisiti minimi di contribuzione per la pensione di vecchiaia, spetta, a domanda e con decorrenza dal mese successivo a quello della presentazione, il suddetto trattamento di pensione nel caso in cui essi abbiano accettato di svolgere una prestazione di lavoro di durata non superiore alla metà dell'orario di lavoro praticato prima della riduzione convenuta nel contratto collettivo. Il trattamento spetta a condizione che la trasformazione del rapporto avvenga entro un anno dalla data di stipulazione del predetto contratto collettivo e in forza di clausole che prevedano, in corrispondenza alla maggiore riduzione di orario, un ulteriore incremento dell'occupazione”.

La disciplina

L'utilizzo della medesima formulazione del 1984 rende compatibili con la nuova disposizione anche i chiarimenti offerti nel corso del tempo in via amministrativa. Ad esempio, è indispensabile individuare le voci che costituiscono la retribuzione lorda prevista dal contratto collettivo di categoria sulle quali calcolare il contributo dovuto a favore dei datori di lavoro che attivano il contratto di solidarietà espansiva. Al riguardo, la risposta all'interpello n. 42/2008 (vd. risposta della Direzione Generale per le Attività Ispettive – MLPS del 3 ottobre 2008, prot. n. 25/I/0013425, all'interpello del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro n. 42/2008) chiarisce che la percentuale del predetto contributo è commisurata alla retribuzione lorda prevista dal contratto collettivo per il livello di inquadramento del lavoratore neo-assunto. In pratica, sono computabili non solo la paga-base (consistente nei minimi contrattuali) e l'indennità di contingenza (importo finalizzato all'adeguamento della retribuzione agli aumenti del costo della vita, che in alcuni Ccnl viene ricompreso nella paga-base), ma anche la c.d. E.D.R. (elemento distinto dalla retribuzione, introdotto dal Protocollo di Intesa del 31 luglio 1992 allo scopo di compensare il mancato adeguamento dei salari in seguito all'abolizione del meccanismo della “scala mobile”), gli scatti di anzianità, la tredicesima ed eventuale quattordicesima mensilità, in quanto rappresentano emolumenti corrisposti al lavoratore con cadenza periodica e, pertanto, caratterizzati dalla stabilità.

Sempre con riferimento alla misura del contributo in favore del datore di lavoro, con la risposta all'interpello n. 28/2013 (Risposta DGAI – MLPS del 23 ottobre 2013, prot. n. 37/0018462, all'interpello n. 28/2013 del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del lavoro), la Direzione Generale per l'attività ispettiva afferma che “il Legislatore ha inteso concedere un'agevolazione alle aziende esclusivamente laddove queste ultime, programmando una riduzione dell'orario di lavoro per i dipendenti già in forza, provvedano contestualmente all'assunzione di nuovo personale in modo tale da "bilanciare" la predetta riduzione”. Pertanto, il contributo spetta al datore di lavoro limitatamente “alle assunzioni corrispondenti alla complessiva riduzione dell'orario di lavoro”, non rilevando ai fini della fruizione del beneficio “l'eventuale assunzione in eccedenza volta a produrre un incremento complessivo degli occupati superiore al numero dei posti di lavoro risultanti dalla contrazione oraria”.

Le novità introdotte dalla legge di Stabilità

A distanza di appena tre mesi dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 148/2015, l'art. 1, comma 285, L. 28 dicembre 2015, n. 208, la c.d. Legge di Stabilità 2016, ha aggiunto all'art. 41 d.lgs. n. 148/2015 il comma 2 bis, cercando di rispondere così ad una delle maggiori carenze riscontrabili nel precedente testo normativo, cioè l'assenza di ogni riferimento alla copertura previdenziale ai fini pensionistici per i lavoratori che subiscono la riduzione dell'orario di lavoro a seguito della stipula del contratto di solidarietà. La soluzione adottata, però, non implica alcun impegno dello Stato a far fronte a tale copertura previdenziale: “Nei confronti dei lavoratori interessati da riduzione stabile dell'orario di lavoro con riduzione della retribuzione ai sensi dei commi 1 e 2, con esclusione dei soggetti di cui al comma 5, i datori di lavoro, gli enti bilaterali o i Fondi di solidarietà […] possono versare la contribuzione ai fini pensionistici correlata alla quota di retribuzione persa, nei casi in cui tale contribuzione non venga già riconosciuta dall'INPS”. In ogni caso, “in relazione ai predetti versamenti non sono riconosciute le agevolazioni contributive di cui ai commi 1 e 2”.

In conclusione

Come già rilevato, il confronto tra i due articoli – quello del 1984 e quello del 2015 – lascia perplessi: la (quasi) integrale trasposizione di un testo normativo che era ancora vigente (l'art. 2 d.l. n. 726/1984 è stato abrogato dall'art. 46 d.lgs. n. 148/2015) appare incomprensibile.

Forse è stata solo la fretta di inserire tale norma in sede di approvazione definitiva, ma sembra proprio che si tratti di un'occasione mancata, in quanto si sarebbe potuto intervenire sui punti di debolezza della disciplina dei contratti di solidarietà espansiva per realizzare l'effettiva promozione di uno strumento che in altri Paesi ha portato buoni frutti di incremento occupazionale e di solidarietà intergenerazionale.

Nessun intervento è stato, infatti, operato nel senso dell'introduzione di incentivi in favore dei lavoratori interessati dalla riduzione dell'orario di lavoro, salva la previsione per i dipendenti prossimi al pensionamento, già presente nell'art. 2 d. l. n. 726/1984.

Su questo punto valgono ancora le autorevoli riflessioni degli anni ‘80, secondo cui “i benefici concessi ai datori di lavoro per il personale assunto sono certamente esigui rispetto al fine che si intende perseguire” (vd. L. Menghini), “quanto ai lavoratori la normativa in realtà è disincentivante […] e pone come condizione che i lavoratori partecipino al costo dell'operazione” (R. Pessi).

Inoltre, non è stata risolta l'annosa questione dell'efficacia soggettiva dei contratti di solidarietà, che, secondo le prevalenti elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, assolvono a una particolare ipotesi di funzione gestionale dell'autonomia collettiva e operano nei confronti di tutti i lavoratori, inserendosi in una fattispecie complessa, che comprende anche il provvedimento di verifica dei presupposti e concessione dei benefici (cfr. Cass. 28 novembre 2007, n. 2470; Cass. Sezioni Unite 15 giugno 1994, n. 5790). In una pronuncia precedente (Cass. 24 febbraio 1990, n. 1403), la Suprema Corte si era, però, espressa in senso completamente contrario, affermando che il contratto collettivo aziendale che abbia stabilito una riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione, anche se stipulato da un sindacato maggiormente rappresentativo, “non è efficace nei confronti dei lavoratori dissenzienti e che non vi abbiano aderito né individualmente né tramite la rappresentanza sindacale di cui fanno parte”.

La quaestio della vincolatività dell'accordo nei confronti dei lavoratori che non intendano accettare la riduzione dell'orario di lavoro diventa ancora più spinosa nel caso in cui, a seguito dell'intervento dell'Ispettorato del lavoro, venga accertata la mancanza dei requisiti e, quindi venga negato il beneficio (sul punto, cfr. V. Ferrante): continuerà a permanere la riduzione dell'orario di lavoro o verrà ripristinato l'orario precedentemente svolto? E quid iuris dei lavoratori di cui al quinto comma dell'art. 41, cioè i dipendenti prossimi al pensionamento, che nutrivano la legittima aspettativa di ricevere comunque l'anticipazione del trattamento pensionistico in modo da mantenere il precedente livello retributivo?

Sono interrogativi ai quali la “nuova” norma non dà risposta. E sono proprio queste zone d'ombra a rendere più difficoltoso il ricorso a tale strumento.

Neanche le circolari ministeriali emanate nell'imminenza dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 148/2015 offrono chiarimenti in merito. La circolare MLPS 5 ottobre 2015, n. 24/2015 dedica ben 19 pagine al d. lgs. in questione, approfondendo le causali di intervento, la durata del trattamento di integrazione salariale e il procedimento amministrativo, ma non cita neppure una volta l'art. 41, né i contratti di solidarietà espansiva.

Anche l'art. 41 d. lgs. n. 148/2015 finirà nel dimenticatoio quasi del tutto inutilizzato, com'è avvenuto per l'art. 2 d.l. n. 726/1984? O “la sua riproposizione è positiva e può avere un significato nuovo, dato che il contesto attuale è così diverso dal quello del 1984” (T. Treu)?

Ai posteri l'ardua sentenza.

Guida all'approfondimento
  • V. Ferrante, Recenti evoluzioni nella disciplina degli ammortizzatori sociali: fra sostegno alla riduzione dell'orario e generalizzazione delle tutele, in Dir. rel. ind., 2009, IV, p. 918;
  • L. Menghini, Contratti di solidarietà, relazioni industriali e politica dell'occupazione, in Lav. prev. oggi, 1985, I, p. 14;
  • R. Pessi, Funzione disciplina dei contratti di solidarietà, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1985, n. 26, p. 389;
  • G. Santoro-Passarelli, Diritto dei lavori e dell'occupazione, Giappichelli, Torino;
  • T. Treu, Prove di staffetta generazionale, in Il Sole 24 Ore, 2 ottobre 2015.

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