Il “doppio licenziamento” per superamento del comporto

Barbara Fumai
27 Marzo 2015

A seguito dell'accertata nullità del primo licenziamento per superamento del periodo di comporto, è legittimo il secondo licenziamento intimato nuovamente per superamento del periodo di comporto, laddove si fondi su una situazione diversa e nuova rispetto alla precedente, ovvero sulla comunicazione di un ulteriore periodo di malattia del lavoratore che abbia determinato il definitivo superamento del periodo di comporto.
Massima

A seguito dell'accertata nullità del primo licenziamento per superamento del periodo di comporto, è legittimo il secondo licenziamento intimato nuovamente per superamento del periodo di comporto, laddove si fondi su una situazione diversa e nuova rispetto alla precedente, ovvero sulla comunicazione di un ulteriore periodo di malattia del lavoratore che abbia determinato il definitivo superamento del periodo di comporto.

Il caso

Il signor G.L.C. dipendente presso S.C. s.r.l. in aspettativa per malattia fino al 1° maggio 2009, veniva licenziato per superamento del periodo di comporto con lettera di data 30 aprile 2009. Successivamente il lavoratore, in data 25 maggio 2009, riceveva un'ulteriore comunicazione con cui la Società datrice di lavoro precisava che il licenziamento intimato in data 30 aprile 2009 doveva intendersi efficace solo dal 6 maggio 2009 (data di ricezione della lettera). Al contempo, la Società revocava il licenziamento e ne intimava un secondo, sempre per superamento del comporto, avendo ricevuto da parte del lavoratore la comunicazione del prolungamento della malattia sino al 4 giugno 2009.

Il lavoratore ricorreva, prima, avanti al Tribunale di Chiavari e, poi, avanti alla Corte di Appello di Genova per ottenere l'accertamento sia dell'inefficacia della revoca del primo licenziamento di cui alla lettera di data 25 maggio 2009, che dell'illegittimità del medesimo, intimatogli con lettera di data 30 aprile 2009, per l'effetto chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Chiavari respingeva la domanda del lavoratore e così pure la Corte di Appello di Genova che, con sentenza del 26 maggio 2011, rigettava l'appello proposto dal lavoratore.

A fondamento della propria decisione, la Corte territoriale giudicava nel senso che la Società, in sede di secondo licenziamento (25 maggio 2009) avesse legittimamente esercitato il proprio potere di recesso, posto che il primo licenziamento (30 aprile 2009) era da considerarsi nullo, in quanto intimato durante il periodo di malattia ovvero prima della scadenza del periodo di comporto, e che la successiva revoca di data 25 maggio 2009 fosse improduttiva di effetti in quanto non accettata dal lavoratore.

Avverso detta sentenza, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione con un unico motivo di ricorso, consistente nella violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 cod. civ., 2119 cod. civ. e 1423 cod. civ.

La questione

Le questione giuridica presa in considerazione dalla Suprema Corte è la seguente: a fronte di un licenziamento dichiarato nullo per mancato superamento del comporto, è ammissibile disporne un secondo e a quali condizioni può essere esercitato nuovamente il potere datoriale di recesso?

Le soluzioni giuridiche

Nel rispondere al quesito, la Suprema Corte ricostruisce la fattispecie sulla scorta dei suoi precedenti giurisprudenziali ed esamina le conseguenze del licenziamento intimato durante la malattia (ovvero prima che sia stato superato il comporto), la possibilità per il datore di lavoro di rinnovare il licenziamento e l'efficacia della revoca.

Quanto al licenziamento intimato per superamento del comporto ma anteriormente alla scadenza dello stesso, prima della c.d. Riforma Fornero (L. 92/2012) esistevano due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Una parte della giurisprudenza, in applicazione del principio della conservazione degli atti giuridici ex art. 1367 c.c. (Cass. civ. sez. lav. 10 febbraio 1993, n. 1657), attribuiva una inefficacia temporanea al recesso fino alla scadenza della situazione ostativa (ovvero il superamento del comporto).

D'altra parte, si riteneva che un licenziamento intimato prima del superamento del periodo di comporto dovesse essere dichiarato nullo per contrasto con una norma imperativa, l'art. 2110 c.c. e, comunque, perché determinato da motivo illecito (Cass. civ. sez. lav. 21 settembre 1991, n. 9869). Da tale nullità, in assenza di una disposizione normativa, parte degli interpreti discendere l'applicazione dell'art. 18 St. Lav., cioè la reintegrazione ed il risarcimento del danno in misura corrispondente a tutte le mensilità maturate dal licenziamento alla reintegra.

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte fa proprio il secondo degli orientamenti sopra esposti, qualificando l'illegittimità del recesso in termini di nullità per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110 c.c., senza soffermarsi, stante la presenza del secondo licenziamento oggetto di analisi, sulle conseguenze giuridiche, conseguenze che sarebbero state disciplinate normativamente se il licenziamento fosse stato intimato dopo il 18 luglio 2012.

In tal caso, infatti, avrebbe trovato applicazione la c.d. Riforma Fornero, la quale -all'art. 1 comma 42 - ha espressamente stabilito che, in caso di licenziamento illegittimo per violazione dell'art. 2110 c.c., il Giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito e, in ogni caso, in misura non superiore alle 12 mensilità (art. 18 St. Lav. commi 7 e 4).

Tale disciplina è stata ulteriormente modificata dal recente d.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act) che ha introdotto il contratto c.d. a tutele crescenti, a seguito del quale si pone qualche dubbio in ordine al regime sanzionatorio da applicarsi laddove il licenziamento per superamento del periodo di comporto fosse giudicato illegittimo.

I primi commentatori si dividono tra chi, ritenendo che tale illegittimità comporti la nullità del licenziamento, insiste per l'applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 2 d.lgs. 23/2015, anche assimilando tale licenziamento a quelli per “disabilità fisica” di cui all'art. 2 comma 4 d.lgs. 23/2015, e chi, invece, ritenendo tale licenziamento analogo a quelli per giustificato motivo e giusta causa, propone di applicare in caso di illegittimità il regime sanzionatorio di cui all'art. 3 d.lgs. 23/2015, ovvero una tutela solamente risarcitoria. Sul punto, si attendono le prime ricostruzioni giurisprudenziali.

Tornando alle questioni affrontate nella sentenza in commento, in ordine alla possibilità di rinnovare il recesso, la Corte di Cassazione, intendendo dare continuità ai propri precedenti giurisprudenziali, ritiene che, laddove il (secondo) licenziamento si configuri come un negozio diverso dal precedente, non si incorra nel divieto di cui all'art. 1423 c.c., secondo cui “il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente”.

Tale norma, infatti, ad avviso della Suprema Corte, mira “ad impedire la sanatoria di un atto nullo con effetto ex tunc e non a comprimere la volontà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale” (cfr. sentenza, punto 8). A sostegno di quanto affermato, ricorda alcuni precedenti (Cass. 6 novembre 2006, n. 23641 e Cass. 19 marzo 2013, n. 6773), secondo i quali è ammissibile un secondo licenziamento disciplinare per i medesimi motivi che avevano determinato il primo, anche laddove quest'ultimo fosse sub iudice a causa di un vizio di forma idoneo a determinarne la nullità.

In relazione alla fattispecie, la Suprema Corte – oltre a riprendere la citata giurisprudenza – rileva che il secondo licenziamento debba ritenersi intimato in base ad una situazione diversa e nuova rispetto a quella precedente, in quanto basata su una circostanza ulteriore, vale a dire un certificato che, avendo prolungato il periodo di malattia, ha determinato il definitivo superamento del periodo di comporto.

Di fatto, dunque, la Corte di Cassazione sembra ammettere la possibilità di procedere ad un “doppio licenziamento” di medesima natura (in questo caso, per superamento del periodo di comporto), nel caso in cui vi siano circostanze nuove e diverse rispetto a quelle che hanno determinato il primo licenziamento, purché possa ritenersi che il rapporto di lavoro sia ancora in essere.

In proposito, la sentenza in esame ricorda un altro precedente, in base al quale “la continuità e la permanenza del rapporto giustifica l'irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà l'effetto estintivo del rapporto” (Cass. civ. sez. lav. 6 marzo 2008, n. 6055).

La questione, infine, dell'efficacia della revoca del (primo) licenziamento, peraltro non accettata dal lavoratore, viene superata dal Supremo Collegio atteso che, nel caso di specie, la nullità dell'atto di recesso rende priva di effetto la successiva revoca, anche a prescindere dalla non accettazione da parte del lavoratore.

Sul punto va, tuttavia, ricordato che, prima della c.d. Riforma Fornero, l'istituto della revoca del licenziamento non era espressamente disciplinato nell'ordinamento; la giurisprudenza, pertanto, aveva colmato la lacuna legislativa ritenendo che la revoca costituisse una proposta indirizzata al lavoratore diretta alla ricostituzione del rapporto, la cui efficacia fosse subordinata all'accettazione di quest'ultimo (Cass. civ. sez. lav. 15 giugno 2011, n. 13090).

La necessità di accettazione da parte del lavoratore è stata superata con la L. 92/2012, che modificando l'art. 18 St. Lav. al comma 10, ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di revocare il licenziamento entro 15 giorni dal ricevimento della sua impugnazione da parte del lavoratore, con conseguente ripristino del rapporto senza soluzione di continuità e diritto del lavoratore alla retribuzione medio tempore maturata.

Tale disposizione vale anche per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, posto che il d.lgs. 23/2015 sul c.d. contratto a tutele crescenti, riporta interamente il contenuto del comma 10 dell'art. 18 St. Lav. nell'art. 5 rubricato proprio “revoca del licenziamento”.

Osservazioni

La sentenza in commento, con riferimento all'ambito della tutela c.d. reale, riprende principi fondamentali a proposito del rapporto tra licenziamento illegittimo e prosecuzione del rapporto di lavoro.

Solo se il primo licenziamento intimato non fosse idoneo a risolvere il rapporto, quindi, sarebbe possibile per il datore di lavoro esercitare nuovamente il suo potere di recedere unilateralmente.

Al contrario, tale possibilità deve ritenersi esclusa laddove il licenziamento intimato, benché illegittimo, abbia posto fine al rapporto di lavoro, non essendo logicamente ammissibile un nuovo recesso in una situazione in cui non esista più un rapporto di lavoro sottostante.

Sulla questione, nel corso degli anni, si sono registrati orientamenti giurisprudenziali e dottrinali diversi, a seconda che il licenziamento fosse da considerarsi inefficace, nullo o annullabile.

Nei primi due casi, infatti, l'accertamento giudiziale dell'illegittimità ha natura dichiarativa (licenziamento inefficace o nullo) e, quindi, presuppone che, nel frattempo, il rapporto sottostante sia proseguito; al contrario, l'azione di annullamento ha natura costitutiva e, conseguentemente, la sentenza modifica la situazione preesistente, togliendo validità ad un atto (il licenziamento) che fino a quel momento deve ritenersi produttivo di effetti, cioè valido (Cass. 5 aprile 2001, n. 5092).

Tale distinzione appariva, tuttavia, superata (almeno sino alla c.d. Riforma Fornero) dalla giurisprudenza e dalla dottrina più recenti che, seguendo una interpretazione sistematica dell'art. 18 St. Lav., avevano valorizzato l'identità delle conseguenze giuridiche in caso di illegittimità del licenziamento, a prescindere dalla loro qualificazione in termini di nullità o annullamento.

Il sistema delineato dall'art. 18 St. Lav. ante Riforma Fornero, infatti, postulava che il rapporto di lavoro continuasse medio tempore, seppure soltanto di diritto e, infatti, una volta accertata l'illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro avrebbe dovuto versare la retribuzione ed i contributi nel frattempo maturati dalla data del licenziamento alla reintegrazione.

Il licenziamento, dunque, non estingueva il rapporto di lavoro, ma ne determinava soltanto una sospensione dovuta al rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione.

In tale ottica, quindi, se il primo licenziamento è illegittimo, è ammissibile un secondo, atteso che il rapporto di lavoro continua fino a quando il rapporto di lavoro non venga dichiarato estinto, perché il licenziamento non viene impugnato nei termini di decadenza o perché ne sia giudizialmente accertata l'idoneità a produrre l'effetto estintivo. Di qui, anche l'ammissibilità di un secondo licenziamento nelle more dell'accertamento dell'illegittimità del primo.

Tale ricostruzione, tuttavia, fa sorgere più di una perplessità a fronte delle modifiche introdotte, dapprima, dalla c.d. Riforma Fornero e, da ultimo, dal d.lgs. 23/2015, dal momento che non a tutte le ipotesi di illegittimità del licenziamento si ricollega una tutela reintegratoria.

In tema di primo licenziamento per superamento del comporto, l'approdo dottrinale e giurisprudenziale di cui sopra potrà trovare ancora seguito nel testo post Riforma Fornero, posto che, come detto, la sanzione prevista dall'art. 18 commi 7 e 4 è ancora la reintegrazione.

Diversamente, nel d.lgs. 23/2015, le conclusioni cui sono giunte dottrina e giurisprudenza potrebbero rimanere immutate solo laddove all'illegittimità di tale licenziamento venisse ricondotta la tutela reintegratoria o, quantomeno, se tale illegittimità venisse qualificata in termini di nullità.

Solo in tali casi, infatti, si potrà riprendere la giurisprudenza in commento che consente la rinnovazione del licenziamento per superamento del comporto per una circostanza diversa ed ulteriore rispetto al precedente.

Guida all'approfondimento

R. Galardi, Art. 18 e continuità giuridica del rapporto: conferme sul potere del datore di rilicenziare, in Riv. it. dir. lav., fasc. 1, 2012, pag. 50

O. Mazzotta, La “parola” del legislatore e il sistema della legge: a proposito del potere del datore di rilicenziare un lavoratore già licenziato, Riv. it. dir. lav., fasc. 2, 2009, pag. 313

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