Contratto di lavoro a tutele crescenti: il quadro della nuova disciplina

27 Febbraio 2015

Viene analizzato il testo definitivo del Decreto Legislativo recante le disposizioni sul nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della delega contenuta nella Legge 10 dicembre 2014, n. 183 (cd. Jobs act).Il testo sostanzialmente rispecchia lo schema di decreto presentato dal Governo alla fine del 2014 e poi sottoposto, in queste ultime settimane, al vaglio delle Commissioni Lavoro delle Camere, le cui indicazioni sono state in parte recepite dal Governo medesimo.
Introduzione

È stata presentata dal governo la versione definitiva delle disposizioni sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, che comporta il superamento dell'art. 18 L. 300/70 e introduce una rinnovata disciplina in uscita per i licenziamenti di natura economica e di natura disciplinare, confermando l'applicazione del nuovo regime di tutela ai licenziamenti collettivi.
L'impianto dello schema di decreto legislativo, che il governo aveva presentato a fine dicembre 2014, viene sostanzialmente salvaguardato, fatte salve alcune marginali integrazioni che sono frutto dei pareri consultivi resi dalle commissioni lavoro di camera e senato, che il governo ha deciso parzialmente di recepire.

Le modifiche riguardano la sostituzione della mensilità riferita all'ultima retribuzione globale di fatto con il nuovo inciso dell' “ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”. L'intervento correttivo è stato sollecitato dalla volontà di definire in termini più precisi quali siano le voci dirette, indirette e differite della retribuzione che rientrano nel calcolo della singola mensilità, con la precisazione che si tratta di quelle che rientrano nel “paniere” (ovvero nella base di computo) del trattamento di fine rapporto.

Altro intervento è consistito nella precisazione che la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti si applica anche a seguito della conversione dei contratti a termine e di apprendistato in ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, purchè la trasformazione sia successiva all'entrata in vigore della nuova disciplina.
Non è stata recepita, invece, la richiesta pervenuta dalla commissione lavoro della camera di inserire un passaggio normativo nel quale si escludessero espressamente i rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni dal campo di applicazione della riforma. A tale proposito, nella relazione illustrativa il governo ha precisato che la materia del pubblico impiego è sottoposta ad un riordino complessivo e che, per tale ragione, si è deciso di non intervenire direttamente, ma di attendere gli esiti della preannunciata riforma.

Il regime di tutela contro i licenziamenti ingiustificati per inidoneità psichica e fisica del lavoratore, che nella versione precedente del decreto attuativo era inserito nell'art. 3 e riferito al comma 2, dove si prevede l'applicazione della misura reintegratoria e della tutela risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità, è stato spostato nell'art. 2 sui licenziamenti discriminatori e nulli, con conseguente applicazione del relativo e più rigoroso meccanismo di tutela sanzionatorio.

È stata integrata, quindi, la previsione sui licenziamenti discriminatori mediante riferimento espresso all'art. 15 L. 300/70, che tipizza le ipotesi nelle quali il licenziamento assume i tratti della discriminazione. Scopo di questa integrazione, secondo le intenzioni illustrate dal governo, risiede nella volontà di evitare il proliferare di interpretazioni sul concetto di discriminazione che tolgano certezza alle relativa previsione.

Un'ulteriore integrazione è stata inserita all'art. 3, comma 2, del decreto, essendo stato precisato che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali - dovuti nel caso in cui, a seguito della accertata insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento disciplinare, il giudice ordini la reintegrazione del lavoratore – non si accompagna l'applicazione di sanzioni per omissione contributiva.

Quanto all'offerta di conciliazione, nel nuovo testo del decreto si precisa, come sollecitato dalla commissione lavoro del senato, che nell'ambito della conciliazione relativa alla impugnazione del licenziamento possono essere definite transattivamente anche altre questioni controverse relative al rapporto di lavoro, nel qual caso le somme pattuite a tale titolo sono sottoposte al regime fiscale ordinario.
Viene ulteriormente previsto che il datore sia tenuto ad inviare al centro per l'impiego, oltre alla comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di lavoro, una seconda comunicazione, da trasmettere entro 65 dalla intervenuta risoluzione del rapporto, in cui si indica se è intervenuta, o meno, la conciliazione tra le parti in merito al disposto licenziamento. L'omesso invio di questa seconda comunicazione è soggetto allo stesso regime sanzionatorio della mancata comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro.

Merita, infine, rimarcare che il governo non ha recepito la sollecitazione della commissione lavoro del senato di mantenere il reintegro per i licenziamenti collettivi in ipotesi di violazione dei criteri di scelta ex art. 5 L. 223/91. Anche l'apparato sanzionatorio dei licenziamenti collettivi, dunque, viene uniformato a quello dei licenziamenti economici individuali, essendo unicamente previsto anche per essi il meccanismo dell'indennità collegata all'anzianità di servizio maturata dai lavoratori.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Viene ampiamente modificata la disciplina sanzionatoria dei cosiddetti licenziamenti economici. Il dato centrale è costituito dalla definitiva eliminazione della reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziato, perché si prevede unicamente una tutela indennitaria che viene modulata sulla base dell'anzianità di servizio del lavoratore: il giudice, dopo aver accertato la illegittimità del licenziamento “economico”, dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore al versamento di un'indennità, che è esente da contribuzione previdenziale, in misura pari a 2 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. La misura dell'indennità non può essere, comunque, inferiore a 4 e superiore a 24 mensilità.

Alla luce del nuovo apparato sanzionatorio, si riducono significativamente i profili di incertezza che accompagnano le controversie sui licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, in quanto la misura del risarcimento viene direttamente collegata all'anzianità di servizio, permettendo di conoscere ab origine l'importo cui potrà ambire il lavoratore in caso di accertata illegittimità del recesso datoriale.

Per le frazioni d'anno di anzianità di servizio l'indennità economica viene “riproporzionata”. Per determinare l'importo da riconoscere al lavoratore a titolo risarcitorio con riferimento alla frazione di anno, si dovrà effettuare una media tra i mesi di servizio svolti e i 12 mesi che compongono l'anno intero. Se, ad esempio, il lavoratore ha maturato 2 anni e mezzo di anzianità, l'indennizzo risulta pari a 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, atteso che i 6 mesi finali equivarranno alla metà dell'indennizzo pieno (pari a 2 mensilità) previsto per ciascun intero anno di servizio espletato.

Le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni si computano come mese intero.

In presenza di cambio appalto, l'anzianità di servizio maturata dal lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa subentrante si calcola sommando anche quella precedentemente acquisita nell'ambito della medesima attività appaltata.

Viene eliminato l'obbligo di far precedere il licenziamento per giustificato motivo oggettivo da un preventivo esame congiunto (con contestuale tentativo di conciliazione) presso la Direzione Territoriale del Lavoro.

Licenziamento disciplinare

In presenza di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa la misura sanzionatoria della reintegrazione in servizio non viene del tutto eliminata, ma si assiste ad una ulteriore riduzione del suo ambito di applicazione. La reintegrazione interviene, in questo senso, solo se viene direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, con l'ulteriore precisazione per cui resta estranea dalle valutazioni del giudice ogni considerazione in merito alla proporzionalità della misura espulsiva rispetto alla gravità dei fatti rilevanti sul piano disciplinare.

Anche in questo caso, si assiste ad un cambiamento significativo della previgente disciplina, poiché si restringe ulteriormente, rispetto agli interventi già operati dalla L. 92/2012 sull'art. 18 L. 300/70, l'ambito di applicazione della tutela reintegratoria.

L'art. 18, comma 4, L. 300/70 stabilisce che il giudice sia tenuto a disporre la reintegrazione in servizio del lavoratore se, nel corso del giudizio, viene accertata l'insussistenza del fatto contestato, oppure se si accerta che il fatto è punibile con una sanzione conservativa alla luce del contratto collettivo o del codice disciplinare applicabili. Una parte significativa della giurisprudenza di merito ha interpretato tale disposizione nel senso che la valutazione del “fatto contestato” non è limitata alla sua dimensione materiale, ma si estende ad una disamina del fatto nella sua duplice componente oggettiva e soggettiva, incluse le condizioni personali del lavoratore ed il giudizio di proporzionalità del provvedimento espulsivo.

È pur vero che una recente giurisprudenza di legittimità ha contestato questa ricostruzione e interpretato la disposizione dell'art. 18 citata nel senso che la verifica cui è chiamato il giudice, al fine di applicare la eventuale sanzione reintegratoria, si arresta ad un accertamento sulla ricorrenza dei fatti oggetto di addebito disciplinare nella loro componente storica e materiale. La nuova previsione del Decreto Legislativo sul contratto di lavoro a tutele crescenti sembra recepire e fare proprie le considerazioni espresse da questo indirizzo.

In questo rinnovato contesto, è indubbio che il nuovo regime di tutela riduca lo spazio per la reintegrazione in servizio, in quanto la nuova formulazione esclude espressamente ogni riferimento alle componenti soggettive e valutative del fatto contestato, tanto più che ci si è preoccupati di precisare che alla verifica è estranea ogni valutazione in merito alla sproporzione del licenziamento. Il restringimento nell'ambito di applicazione della tutela reintegratoria è ulteriormente confermato dalla eliminazione del riferimento alla disciplina dei contratti collettivi e dei codici disciplinari. La formulazione non sempre puntuale ed esaustiva della disciplina collettiva circa le misure sanzionatorie ricollegate alle condotte disciplinarmente inadempienti aveva favorito il sopravvivere di ampi margini di incertezza applicativa, che la nuova disciplina mira viceversa ad eliminare.

Alla reintegrazione si affianca la condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettivo reintegro, dedotti l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum. La misura dell'indennità non potrà, peraltro, eccedere le 12 mensilità. Il datore è condannato, inoltre, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo di estromissione dal posto di lavoro, ma senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva.

In ogni altra ipotesi, esclusa la verificata insussistenza del fatto materiale contestato, in cui sia accertata l'illegittimità del licenziamento disciplinare, il datore di lavoro è condannato al versamento di un indennizzo nella misura - già sopra esaminata - di 2 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 mensilità ed un massimo di 24 mensilità. Valgono anche in tal caso gli stessi criteri di computo dell'indennità già esaminati con riferimento alla frazione di anno e alla frazione di mese di anzianità di servizio.

Offerta di conciliazione

Viene introdotta la facoltà per il datore di lavoro di offrire al lavoratore, nel termine di 60 giorni previsto per l'impugnazione del licenziamento, un importo pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio compiuto, con la precisazione che detto importo non potrà essere, comunque, inferiore a 2 mensilità e superiore a 18 mensilità. L'offerta economica deve essere presentata presso una delle sedi protette abilitate a raccogliere la sottoscrizione dei verbali di conciliazione ai sensi dell'art 2113, comma 4, codice civile. L'importo offerto dal datore di lavoro, che deve essere consegnato al lavoratore mediante assegno circolare, non costituisce reddito imponibile ai fini Irpef e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Se il lavoratore accetta l'assegno, il rapporto di lavoro si estingue alla data del licenziamento e l'impugnazione si intende rinunciata.

È consentito che nell'ambito di questa conciliazione le parti definiscano transattivamente anche ogni altra eventuale pendenza, ma con la precisazione che le somme allocate a tale titolo rimangono sottoposte agli oneri fiscali.

Va rimarcato che, a seguito di questa nuova previsione, il datore di lavoro è tenuto ad una seconda comunicazione obbligatoria al centro per l'impiego entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale dovrà essere indicato se le parti hanno, o meno, raggiunto una soluzione conciliativa in merito al disposto licenziamento.

Vizi formali e procedurali

Se il licenziamento è stato intimato senza che sia stato osservato l'obbligo di indicare la motivazione o senza che sia stata osservata la procedura disciplinare di cui all'articolo 7 della Legge n. 300/1970, il giudice condanna il datore di lavoro a versare un'indennità, anch'essa non assoggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. L'indennità non potrà essere, comunque, inferiore a 2 mensilità e superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale

Si prevede che, in presenza di un licenziamento discriminatorio (definito come tale alla luce dell'espresso richiamo dell'art. 15 L. 300/70) o di un licenziamento riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge (tra cui il licenziamento durante il periodo maternità o in concomitanza di matrimonio), si applica la sanzione della reintegrazione del lavoratore in servizio. Ciò, a prescindere dal motivo formalmente addotto per giustificare il licenziamento.

Ricorrendo questa ipotesi, il giudice condanna il datore di lavoro a versare al lavoratore a titolo risarcitorio un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento, dedotto unicamente l'aliunde perceptum. La misura del risarcimento non può essere, comunque, inferiore a 5 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore è tenuto, inoltre, a versare i contributi assistenziali e previdenziali.

Il lavoratore, a seguito della pronuncia giudiziale, ha diritto di optare per un'indennità sostitutiva della reintegrazione in misura pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr. L'esercizio dell'opzione deve essere effettuato entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o, se precedente, dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio.

La medesima disciplina si applica al licenziamento intimato oralmente.

Revoca del licenziamento

È confermata la disciplina vigente secondo cui, nelle ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione dell'impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro è ricostituito senza soluzione di continuità. In tal caso, il lavoratore ha unicamente diritto alla retribuzione relativa al periodo intercorso tra l'irrogazione del licenziamento e la revoca.

Licenziamento collettivo

È degna di nota e ha indubbia portata innovativa la previsione per cui il nuovo regime di tutela per i licenziamenti economici si applica anche ai licenziamenti collettivi ex artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991 nel caso in cui, come espressamente previsto dal Decreto Legislativo, sia stata accertata la violazione della procedura di informazione e consultazione sindacale o dei criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, della medesima Legge n. 223/1991.

Piccole e medie imprese e organizzazioni di tendenza

La nuova disciplina sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti è estesa, con i temperamenti previsti dal decreto, ai datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali utili per l'applicazione del regime di tutela di cui all'art. 18 Legge 300/1970.

A tale riguardo, si prevede che l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti in caso di licenziamento economico o disciplinare illegittimo, nonché di licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, sia dimezzato e non possa in ogni caso superare le 6 mensilità. Alle imprese di dimensioni minori, inoltre, non si applica la tutela reintegratoria prevista in via residuale per il licenziamento disciplinare. Si applica, invece, la nuova disposizione sull'offerta di conciliazione datoriale, ma anche in questo caso con previsione di un importo dimezzato (non superiore a 6 mensilità).

Nel caso in cui il datore di lavoro, per effetto di assunzioni a tempo indeterminato intervenute successivamente all'entrata in vigore del decreto, raggiunga il requisito dimensionale per l'applicazione del regime di tutela forte (più di 15 o più di 60 dipendenti), a tutti i lavoratori, compresi quelli assunti in data precedente, si applica la nuova disciplina sulle tutele crescenti.
Tale disposizione si presta a spunti critici non indifferenti sul piano della auspicata crescita dei livelli occupazionali, in quanto non si vede come possa essere indotta un'impresa di ridotte dimensioni ad aumentare il numero dei dipendenti, passando dalla soglia della tutela obbligatoria a quella della (almeno ipotetica) tutela reale, se anche ai dipendenti assunti prima del decreto legislativo si applicherà il nuovo regime di tutela, che sotto ogni punto di vista è meno favorevole sul piano sanzionatorio e indennitario rispetto al regime di tutela approntato dalla L. 604/1966 (in forza del quale, se il licenziamento è dichiarato illegittimo, il lavoratore potrà beneficiare di un indennizzo ricompreso tra 2,5 e 6 mensilità).

La nuova disciplina si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto. Si tratta, anche in questo caso, di una modifica non priva di significato, in quanto sino ad oggi a tali enti ed organizzazioni era esclusa l'applicazione dell'art. 18 Legge 300/1970 sulla reintegrazione e sul versamento dell'indennizzo risarcitorio pieno.

In conclusione

La nuova disciplina sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Si tratta di una svolta epocale per il diritto del lavoro in quanto, per i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato, viene sostanzialmente eliminato il regime sanzionatorio in uscita di cui all'art. 18, L. n. 300/1970.

Il meccanismo indennitario a tutele crescenti che era stato proposto nello schema di decreto legislativo a fine del dicembre 2014 non è stato intaccato, ma è stato sottoposto a lievi interventi di restyling a seguito dei pareri resi dalle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.

Il risultato più importante ottenuto dal Governo a seguito dei passaggi parlamentari è quello di avere mantenuto l'applicazione del nuovo regime indennitario a tutele crescenti anche per i licenziamenti collettivi che risultano pertanto allineati alla disciplina per i licenziamenti economici individuali.

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