Mobbing: fattispecie, fenomenologia, responsabilità e risarcimento

Greta Cartoceti
27 Aprile 2016

Le sanzioni inflitte e le contestazioni disciplinari non potevano essere considerate come discriminatorie né motivate da una sorta di guerra psicologica nei confronti del dipendente posto che era quest'ultimo ad essere poco collaborativo, negligente e restio a seguire direttive ed ordini dei superiori, avvelenando il clima dell'ufficio.
Massime

Le sanzioni inflitte e le contestazioni disciplinari non potevano essere considerate come discriminatorie né motivate da una sorta di guerra psicologica nei confronti del dipendente posto che era quest'ultimo ad essere poco collaborativo, negligente e restio a seguire direttive ed ordini dei superiori, avvelenando il clima dell'ufficio.

Le frasi pronunciate dal direttore andavano interpretate in questo contesto ed in questo clima, giustificate anche per il comportamento del dipendente e non rivelavano alcuna volontà obiettivamente e soggettivamente persecutoria posto che erano stati dati a costui cinque anni di tempo per ravvedersi irrogando solo sanzioni conservative nonostante una recidiva sempre più consistente.

Il caso

Nel caso di specie, un dipendente delle Poste Italiane s.p.a., responsabile del sindacato con mansioni di portalettere, asserendo di essere stato vittima di reiterati atteggiamenti persecutori posti in essere dal Direttore dell'Ufficio postale presso cui lavorava, chiedeva al Tribunale di Bergamo il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale conseguente al subito mobbing (lamentando in particolare di essere stato sottoposto a continue richieste ingiustificate ed insulti da parte del suo superiore gerarchico). Il giudice di primo grado, pur accertando un concorso di colpa del ricorrente nella misura del 50%, accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo sussistente il danno biologico e morale. A diversa conclusione perveniva, invece, la Corte d'Appello di Bergamo, che non rivenendo alcun intento discriminatorio nelle contestazioni e nelle sanzioni disciplinari irrogate al ricorrente, ma piuttosto l'atteggiamento poco collaborativo e negligente di quest'ultimo, escludeva il carattere mobbizzante delle condotte poste in essere dalla società datrice. A tale pronuncia si conformava, infine, la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso.

Le questioni

Le questioni affrontate dalla Suprema Corte riguardano:

  • l'accertamento della natura mobbizzante delle condotte subite dal ricorrente sul luogo di lavoro da parte del suo superiore gerarchico;

  • il risarcimento del danno morale, biologico ed esistenziale.

Le soluzioni giuridiche

Nonostante la perdurante assenza nel nostro ordinamento di una definizione normativa del mobbing, la giurisprudenza – anche mediante il contributo della dottrina – è giunta ad un definizione condivisa della fattispecie: per mobbing si intende la

condotta persecutoria posta in essere dal

datore di lavoro o dal superiore gerarchico o dal collega

sul luogo di lavoro, protratta nel tempo e finalizzata all'emarginazione del lavoratore (ex pluribus,

Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 febbraio 2015;

T

rib

.

Milano,

7 aprile 2015, n. 717

;

Cons. di Stato, 4 novembre 2015, n. 5419

;

T.A.R. Bolzano 15 ottobre 2015,

n. 314

)

. Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. n. 10037/2015, v. il commento di Danise), peraltro, la fattispecie del mobbing è integrata in presenza di sette parametri tassativi: ambiente, durata, frequenza, tipo di azioni ostili, dislivello tra gli antagonisti, andamento secondo fasi successive e intento persecutorio.

Pare dunque necessario analizzare di seguito i singoli elementi richiamati dalla sentenza appena citata.

Ambiente

: innanzitutto, è pacifico che per potersi parlare di mobbing lavorativo deve esistere un rapporto di lavoro.

Durata

: è necessario che la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio (

Cass. 31 maggio 2011, n. 12048

). Non mancano, tuttavia, pronunce che, ispirandosi agli studi di psicologia del lavoro, richiedono il protrarsi di tali comportamenti per un periodo di almeno sei mesi (

Trib. Milano 29 ottobre 2004; Corte d'Appello di Torino 14 novembre 2004

).

Si segnala inoltre una risalente giurisprudenza minoritaria che ha ritenuto di qualificare come mobbing un singolo comportamento con efficacia vessatoria di natura istantanea o permanente (come, ad esempio, la molestia sessuale o il demansionamento) in grado di determinare un danno psichico o esistenziale (T. Torino 30 dicembre 1999).

Studi sociologici (cfr. H. Ege, Oltre il mobbing, straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Franco Angeli, Milano, 2005, 15 ss.) hanno inoltre classificato come straining (dal verbo inglese to strain, cioè mettere sotto pressione, sforzare, stringere) la situazione di stress forzato nel posto di lavoro in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell'ambiente lavorativo. Diversamente dal mobbing, quindi, lo straining può concretizzarsi in una singola azione vessatoria indirizzata contro una o più persone e caratterizzata da un intento discriminatorio.

Frequenza

: con particolare riferimento a questo aspetto, alcuni giudici hanno ritenuto di individuare nell' “andamento progressivo” (T

rib

. Milano 29 giugno 2004; T

rib

. Forlì 10 marzo 2005;

T

rib

. Agrigento 1 febbraio 2005

), continuativo e costante il requisito della frequenza richiesto per integrare l'azione mobbizzante (su punto v. anche H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Milano, Giuffrè, 2002, 54-57, secondo cui l'azione mobbizzante deve verificarsi almeno una volta a settimana, intesa quale cadenza media minima).

Azioni ostili

: alla luce dell'ampia casistica registrata in materia, sono ritenute condotte mobbizzanti: «il demansionamento fino alla completa inattività; il sovra-utilizzo o il sovra-mansionamento; il collocamento in postazioni di lavoro inidonee; il trasferimento illegittimo; il distacco illegittimo; la minaccia dell'esercizio del potere disciplinare o l'esercizio illegittimo dello stesso; il licenziamento ingiustificato; il rifiuto arbitrario di svolgere lavoro straordinario;…il diniego illogico di concessione delle ferie o la collocazione in ferie coatte; il rifiuto immotivato della concessione di permessi;…l'abuso di controlli;…le molestie sessuali; le frasi ingiuriose e le aggressioni verbali…» (Bonora, Imberti, Marinelli, Ludovico, Il mobbing nella giurisprudenza, in Mobbing, organizzazione e malattia professionale, Torino, 2006, 120), ecc.

Inoltre, sebbene in dottrina non siano mancate iniziative di catalogazione dei comportamenti presumibilmente mobbizzanti basate sul criterio della regolarità statistica (cfr. Aa.Vv., Accertare il mobbing. Profili giuridici, psichiatrici e medico legali, (a cura di) M.Bona-S.Bonziglia-A.Marigliano-P.G.Monateri-U.Oliva Giuffrè, Milano, 2007), dapprima l'annullamento da parte del

TAR Lazio

n. 5454/2005

della

Circolare

INAIL

n. 71/2003

volta ad estendere la tutela delle malattie professionali alle conseguenze derivanti dal mobbing mediante la formula della “costrittività organizzativa” e, successivamente, la pronuncia del Consiglio di Stato (

C

ons. Stato

n. 1576/2009

) che ha confermato l'illegittimità di tale estensione per l'oggettiva incompatibilità con la causalità richiesta dall'art. 3, T.U. n. 1124/1965, hanno disincentivato ulteriori iniziative in tal senso (per approfondire v. G. Ludovico, Mobbing, stress e malattia professionale: l'Assicurazione INAIL dinanzi ai “nuovi” rischi da lavoro, RDSS, 2006, 381 ss.; ID.

Cons. Stato

,

17 marzo 2009, n. 1576

, RIDL, 2009, II, 1025, nt.).

Dislivello tra gli antagonisti

: con riferimento ai soggetti agenti, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria sono dell'avviso che possa trattarsi indifferentemente del datore di lavoro, del dirigente o del superiore gerarchico (si parla in tal caso di mobbing verticale discendente o bossing), ma anche dei colleghi “parigrado” (mobbing orizzontale) o sottoposti (mobbing verticale ascendente) del lavoratore vessato (T

rib

. Pinerolo, 3 marzo 2004).

Andamento secondo fasi successive

: il mobbing non è una situazione statica, ma un processo che si evolve in fasi successive. Secondo il modello di Ege, in particolare, il fenomeno si sviluppa in sei fasi (ben illustrate nella sent.

T

rib

. Forlì

,

15 marzo 2001

): «Dopo la c.d. condizione zero, di conflitto fisiologico normale ed accettato, si passa alla prima fase del conflitto mirato, in cui si individua la vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale… La seconda fase è il vero e proprio inizio del mobbing, nel quale la vittima prova un senso di disagio e di fastidio… La terza fase è quella nella quale il mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psico-somatici, i primi problemi per la sua salute… La quarta fase del mobbing è quella caratterizzata da errori ed abusi dell'amministrazione del personale che, insospettita dalle assenze del soggetto mobbizzato, erra nella valutazione negativa del caso non riuscendo, per carenza di informazione sull'origine della situazione, a capire le ragioni del disagio del dipendente… La quinta fase del mobbing è quella dell'aggravamento delle condizioni di salute psico-fisica del mobbizzato che cade in piena depressione ed entra in una situazione di vera e propria prostrazione… La sesta fase, per altro indicata solo e fortunatamente eventuale, nella quale la storia del mobbing ha un epilogo: nei casi più gravi nel suicidio del lavoratore, negli altri nelle dimissioni, o anticipazione di pensionamenti, o in licenziamenti.»

L'elemento soggettivo dell'intento persecutorio

: le condotte mobbizzanti devono inoltre essere indirizzate al fine specifico di isolare o espellere il lavoratore (

C

ass. 23 gennaio

2015,

n. 1258

, v. nostra news

).

Responsabilità e onere della prova

La responsabilità da mobbing può essere di natura contrattuale e/o extracontrattuale.

Responsabilità contrattuale:

ai sensi dell'

art. 2087 c.c.

, il datore deve adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Tale norma va interpretata alla luce dei principi del nostro ordinamento, tra cui quello del diritto alla salute (

ex

art. 32 Cost.

), della tutela della sicurezza, libertà e dignità umana (

ex

art. 41, co. 2 Cost.

) e di correttezza e buona fede (ex

artt. 1175

e

1375 c

.

c

.

).

Pertanto, il datore di lavoro risponderà dei danni subiti dal lavoratore mobbizzato per inadempimento contrattuale ai sensi dell'

art. 2087 c.c.

sia in caso di bossing sia di mobbing orizzontale, con la differenza che, in tale ultima ipotesi, la responsabilità del datore

ex art. 2087 c.c.

potrebbe cumularsi con quella prevista dall'

art. 1228 c.c.

per il fatto degli ausiliari (

T. Milano, 3 marzo 2015, n. 455

). La responsabilità contrattuale del datore sarà infatti esclusa solo quando il comportamento del soggetto offeso presenti i caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute.

Responsabilità extracontrattuale

: nelle ipotesi di bossing, cumulativamente o alternativamente all'azione per inadempimento contrattuale, il lavoratore mobbizzato potrà decidere di promuovere un'azione di risarcimento danni

ex

art. 2043 c.c.

nei confronti del proprio datore. Nelle ipotesi di mobbing orizzontale o verticale (diverse dal bossing), il datore di lavoro potrà comunque essere ritenuto responsabile dei danni arrecati dai dipendenti nell'esercizio delle proprie incombenze lavorative

ex art. 2049 c.c.

(

Cass. 15 maggio 2

015,

n. 10037

), i quali risponderanno invece per danno da fatto illecito

ex

art. 2043 c.c.

Onere della prova

La scelta di promuovere l'una o l'altra azione giudiziale ha poi delle importati ricadute sotto il profilo probatorio. Se infatti per attestare la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, il lavoratore dovrà solamente provare il fatto di inadempimento di quest'ultimo, mentre il datore dovrà invece dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per prevenire il danno (

Cass. 30 novembre 2015, n. 24365

;

Cass. 3 luglio 2

015,

n. 13693

); per provare la responsabilità aquiliana, invece, il lavoratore dovrà provare non solo la condotta che ha determinato il danno, ma anche il nesso causale e la colpevolezza o il dolo di colui che è ritenuto responsabile (

Cass. 31 maggio 2011, n. 12048

).

Per approfondire: G. Mautone, Mobbing e onere della prova, in Mobbing, organizzazione, malattia professionale, F.Carinci-R.De Luca Tamajo-P.Tosi-T.Treu (a cura di), Torino, 2006, 91 ss.

Risarcimento del danno

Il danno da mobbing può avere natura patrimoniale e/o non patrimoniale.

Tipologie di danno patrimoniale

: danno emergente (es. cure mediche); lucro cessante (es.: perdita di reddito a seguito del licenziamento o dimissioni); perdita di chance (es. perdita di occasioni di progressione di carriera); danno alla professionalità (es. perdita delle capacità professionali preesistenti e mancata acquisizione di competenze ulteriori) e danno all'immagine professionale (es. comunicazione a terzi di notizie lesive dell'onore e dell'immagine).

Tipologie di danno non patrimoniale

:

  • Sulla portata omnicomprensiva del danno non patrimoniale - Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972:

    Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'

    art. 2059 c.c.

    , che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

  • Sul danno da mobbing:
    - Trib. Pinerolo, 3 marzo 2004

    : Il c.d. mobbing dà diritto al risarcimento del danno subito, anche non patrimoniale, nelle sue varie componenti (danno biologico, esistenziale e morale).


    - Trib. Milano, 30 settembre 2006, n. 2949

    : Deve riconoscersi l'ammissibilità e la risarcibilità di un danno da mobbing che prescinda dall'insorgenza di una psicopatologia apprezzabile sotto il profilo clinico e che si ricolleghi in via diretta ed immediata alla lesione della dignità personale, in termini cioè di un danno che si aggiunge al danno biologico in senso stretto, ove sussistente e provato. Ovvero sia in grado di assicurare una tutela risarcitoria piena in tutte le ipotesi in cui non sia ravvisabile una vera e propria lesione alla salute, ma solo una lesione della dignità personale, e cioè di un interesse comunque di rango costituzionale, inerente la persona. In altri termini, la tripartizione danno biologico, danno morale e danno patrimoniale non esaurisce l'ambito della possibile sfera risarcitoria, potendosi individuare un autonomo spazio per un danno non patrimoniale, inteso come danno esistenziale, identificabile in quella alterazione della qualità della vita che si estrinseca nella lesione della personalità del soggetto nel suo modo di essere sia personale che sociale, autonomo e differente dal danno morale c.d. soggettivo, che non ne è assorbito, sia dal danno biologico.
    - Si vedano anche:

    T.A.R. Salerno, 29 giugno 2006, n. 881

    ;

    T

    rib

    . Agrigento, 2 febbraio 2005

    ; Trib. Forlì, 10 marzo 2005.

Per approfondire: C.T.Bonora-L.Imberti-F.Marinelli-G.Ludovico, Mobbing e onere della prova, in Mobbing, organizzazione, malattia professionale, F.Carinci-R.De Luca Tamajo-P.Tosi-T.Treu (a cura di), Torino, 2006, 135 ss.

Osservazioni

Coerentemente, nella pronuncia in esame, è stata esclusa la volontà “obbiettivamente e soggettivamente persecutoria” del mobber sulla base degli elementi emersi in sede giudiziaria: regolarità delle richieste di lavoro straordinario (areola) e delle sanzioni conservative irrogate nei confronti del lavoratore nel corso di un quinquennio; giustificato rifiuto delle ferie; ingiustificato accumulo della corrispondenza da parte del dipendente; atteggiamento scarsamente collaborativo, negligente di quest'ultimo, che “avvelenava” il clima dell'ufficio.

Riferimenti bibliografici

Aa.Vv., Accertare il mobbing. Profili giuridici, psichiatrici e medico legali, (a cura di) M.Bona - S.Bonziglia - A.Marigliano - P.G.Monateri - U.Oliva, Giuffrè, Milano, 2007

Aa.Vv, Il mobbing, (a cura di) P. Tosi, Torino, 2004

Aa.Vv., Mobbing, organizzazione, malattia professionale, (a cura di) F.Carinci - R.De Luca Tamajo - P.Tosi- T.Treu, Torino, 2006

Aa.Vv.,

Vessazioni e angherie sul lavoro. Tutele, responsabilità e danni nel mobbing

,

(diretta da) M. Pedrazzoli, Bologna, 2007

M.Bo

na-P.G.Monateri-U.Oliva, La responsabilità civile nel mobbing, Milano, 2002

S. Mazzamuto, Il mobbing, Giuffrè, Milano, 2004

M. Meucci, Danni da mobbing e loro risarcibilità, Roma, 2002