Badge e controlli a distanza: quando è necessario il preventivo accordo sindacale

Francesco Meiffret
29 Settembre 2017

Costituisce un controllo a distanza che necessita un preventivo accordo sindacale o l'autorizzazione da parte della DTL ai sensi dell'art. 4 St. Lav. il badge che, oltre a verificare l'entrata e l'uscita dal luogo di lavoro del prestatore, sia in grado di controllare gli spostamenti di quest'ultimo, accertare le tempistiche nello svolgimento delle mansioni assegnate e le pause effettuate.
Massime

Costituisce un controllo a distanza che necessita un preventivo accordo sindacale o l'autorizzazione da parte della DTL ai sensi dell'art. 4 St. Lav. il badge che, oltre a verificare l'entrata e l'uscita dal luogo di lavoro del prestatore, sia in grado di controllare gli spostamenti di quest'ultimo, accertare le tempistiche nello svolgimento delle mansioni assegnate e le pause effettuate.

La procedura formale prevista dal comma 2 dell'art. 4 St. Lav. costituisce il mezzo attraverso il quale il Legislatore bilancia il diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore volto a preservare l'organizzazione imprenditoriale e la sicurezza sul luogo di lavoro. Per questo motivo non è ammissibile presupporre un'autorizzazione tacita o per fatti concludenti basata sul presupposto che i lavoratori e le associazioni sindacali sono a conoscenza dell'utilizzo all'interno dell'impresa di strumenti idonei a controllare a distanza la prestazione lavorativa.

Il caso

Una società ricorre in Cassazione dopo che entrambi i gradi di merito avevano dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare di un proprio dipendente basato sulle informazioni raccolte mediante il badge che era non solo in grado di attestare l'entrata e l'uscita del lavoratore, ma anche di controllare i movimenti e l'attività svolta durante l'orario di lavoro.

La difesa della società, in via principale, eccepisce la mancata dimostrazione delle capacità di controllo a distanza del sistema di marcatore di presenze. In via subordinata evidenzia che queste prerogative erano note alle associazioni sindacali con le quali era stato raggiunto un accordo tacito.

Le questioni

1) Il badge, in grado non solo di rilevare l'entrata e l'uscita da lavoro, ma di controllare senza soluzione di continuità l'attività lavorativa, costituisce un controllo a distanza sottoposto al campo di applicazione dell'art. 4 (ora comma 1) dello St. Lav.?

2) È possibile ritenere il raggiungimento di un accordo sindacale tacito o per fatti concludenti in tema di controlli a distanza o è necessario comunque il rispetto della forma scritta e della procedura prevista dall'art. 4 dello St. Lav.?

Soluzioni giuridiche

1) Il badge può costituire un controllo a distanza?

La Suprema Corte distingue tra due diverse tipologie di badge: la prima, che si limita esclusivamente a rilevare l'orario di entrata e di uscita del lavoratore dal luogo di lavoro, esula dalla fattispecie di controllo a distanza e, di conseguenza, non rientra nel campo di applicazione dell'art. 4 St. Lav. Diversa è l'ipotesi in cui il badge sia in grado di rilevare i movimenti del lavoratore, le tempistiche nell'esecuzione delle mansioni e le pause. Esso costituisce un mezzo di controllo a distanza ed è sottoposto alle condizioni di cui all'art. 4 St. Lav.

La Suprema Corte prosegue rilevando come la mancata dimostrazione dell'idoneità dello strumento adottato dall'impresa a rilevare a distanza le condotte dei lavoratori costituisce un elemento di fatto e non di diritto e, quindi, non censurabile nel giudizio di legittimità. Ad abundantiam evidenzia la logicità e la correttezza del percorso formativo dei giudici di merito che hanno indicato le prove sulle quali hanno basato il proprio convincimento su tale punto. Non costituisce, inoltre, un elemento censurabile la mancata esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti o non considerati rilevanti per la decisione (Cass. sez. lav., 13 maggio 2016, n. 9904; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).

Dalla lettura del dispositivo si evince che anche nel caso in cui tale strumento sia adoperato a vantaggio dei dipendenti (es. sicurezza sul luogo di lavoro), poiché permette un controllo a distanza degli stessi, è necessario che siano rispettate le condizioni dell'art. 4 St. Lav. Una diversa interpretazione comporterebbe un escamotage per aggirare il diritto alla dignità e alla riservatezza dei lavoratori.

2) Può essere raggiunto un accordo sindacale tacito o per fatti concludenti?

Del tutto contraddittorio, a parere di chi scrive, è il secondo motivo del ricorso rispetto al primo. Parte datoriale ha negato l'esistenza di un sistema di badge idoneo a controllare a distanza l'operato dei propri dipendenti. Sostenere nel secondo motivo che le associazioni sindacali fossero a conoscenza della capacità di controllo dei badge adottati e che sul suo utilizzo era stato raggiunto un accordo tacito, comporta de plano l'ammissione dell'esistenza di un sistema di controllo a distanza.

Posto che la Corte rimarca come parte datoriale non abbia fornito alcun elemento volto a dimostrare l'esistenza di un accordo orale con le associazioni sindacali, viene evidenziata l'importanza del rispetto della procedura stabilita dall'art. 4 St. Lav. e della forma scritta ad substantiam dell'accordo. Questi requisiti, seppur di carattere formale, hanno il ben più importante scopo di bilanciare le ragioni delle imprese e le esigenze di tutela della dignità e riservatezza del lavoratore. L'elusione dell'art. 4 St. Lav. comporta l'inutilizzo delle informazioni raccolte per fini disciplinari.

Osservazioni

La sentenza in commento applica ratione temporis la disciplina contenuta nell'art. 4 St. Lav., quindi prima delle profonde modifiche apportate al suo contenuto dal D.Lgs. n. 151/2015.

In base al nuovo comma 2 dell'art. 4 St. Lav. gli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” non necessitano di un preventivo accordo sindacale o di autorizzazione da parte delle DTL.

Una prima lettura della locuzione utilizzata nel comma 2 porterebbe alla conclusione che l'esenzione alla procedura di cui al nuovo comma 1 dell'art. 4 St. Lav. è circoscritta ai sistemi di accertamento che si limitano a registrare l'orario di entrata e di uscita dal luogo di lavoro.

Tuttavia, come nel caso cui trattasi, i moderni badge permettono un controllo più capillare del lavoratore sino a verificare il corretto adempimento della prestazione lavorativa o accertare condotte illecite.

Il tenore letterale non proprio preciso del comma 2 potrebbe comportare una estensione del significato “accessi e presenze” legittimando, quindi, un controllo a distanza degli spostamenti all'interno dell'impresa durante l'orario di lavoro.

A ciò aggiungasi che la disposizione non precisa se l'accesso debba considerarsi in senso materiale o anche immateriale aprendo la via al controllo dell'utilizzo della rete durante l'orario di lavoro.

L'interpretazione estensiva prospettata costituirebbe una strada facilmente percorribile per aggirare il contenuto del comma 1 dell'art. 4 St. Lav.: declinando così il comma 2, i badge a radiofrequenza e gli strumenti informatici fuoriuscirebbero dal campo di applicazione di cui al comma 1.

Incidentalmente non si può rimarcare come l'effettiva applicazione della procedura sindacale-amministrativa è già fortemente messa a rischio dall'estensione del campo di applicazione della prima parte del comma 2 dell'art. 4 dello St. Lav. che prevede la sua non applicazione per quanto riguarda “gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”.

Al fine di contemperare gli interessi del datore di lavoro alla corretta organizzazione dell'attività produttiva con quelli di tutela della privacy del lavoratore, rientrano nell'esenzione dallo spettro di applicazione dell'attuale comma 1 dell'art. 4 St. Lav. solo quei programmi che il lavoratore utilizza per svolgere le mansioni a lui impartite. Viceversa un programma installato esclusivamente per controllare a distanza il lavoratore esula dall'esclusione prevista dal comma 2 ed è, quindi, vietato.

A tale conclusione depongono vari pareri e decisioni provenienti sia da organismi nazionali che da organismi internazionali. La seconda parte (artt. 14-21) della Raccomandazione –CM/Rec(2015)5– del 1° aprile 2015 del Consiglio d'Europa prevede espressamente limiti nel controllo a distanza dei lavoratori. Il principio n. 14 sancisce l'intangibilità relativa della vita privata dei lavoratori consigliando sistemi che blocchino l'utilizzo delle risorse informatiche dell'azienda per scopi extra lavorative. Ciononostante viene consentito anche l'utilizzo di controlli ex post in presenza di ragionevoli motivi e previa informazione dell'interessato.

Il principio n. 15 sancisce il divieto di un controllo tramite videocamere del luogo di lavoro al solo fine di controllare la prestazione lavorativa.

Il principio n. 16 sancisce l'utilizzabilità di strumenti tecnologici che monitorino la posizione dei lavoratori durante l'orario di lavoro nel solo caso in cui sia necessario per il tipo di attività lavorativa svolta dal dipendente o per motivi di salute e sicurezza.

Se è pur vero che la Raccomandazione non ha carattere vincolante, questa basa i suoi principi sull'applicazione degli artt. 7-8 CEDU che invece hanno carattere cogente (si veda ad es. sent. Corte CEDU, Barbulescu c. Romania del 12 gennaio 2016, n. 61496/2008, v. Mail aziendale per fini personali: la CEDU dichiara legittimo il controllo del datore di lavoro, e sent. Corte CEDU, Copland c. Regno Unito del 4 marzo 2007, n. 62617/2000).

All'interno del nostro ordinamento, nel 2007, sono state emanate le linee guida del Garante della privacy per posta elettronica e internet (si veda G.U. n. 58 del 10 marzo del 2007) che sanciscono un divieto assoluto di installare programmi che controllino le attività informatiche svolte dal lavoratore. Sulla scorta delle proprie linee guida e di precedenti pronunce (cfr., linee guida cit. par. 4, e provv.ti 5 febbraio 2015, doc. web n. 3813428; 21 luglio 2011 doc. web n. 1829641, confermato da Trib. Roma, sez. I, 21 marzo 2013 n. 4766, doc. web n. 1606053 e 1° aprile 2010 doc. web n. 1717799), il Garante della privacy, con la decisione del 13 luglio 2016 n. 5408460, ha sancito l'illegittimità di un programma utilizzato dagli atenei di Chieti e Pescara in grado di monitorare gli accessi e l'attività telematica svolta dai propri dipendenti conservando tali dati per 5 anni.

In conclusione, è evidente che un programma in grado di controllare i movimenti del lavoratore, sia che si tratti di quelli “reali” all'interno dell'impresa o di quelli virtuali nella rete, necessita di un preventivo accordo sindacale o dell'autorizzazione dell'ispettorato nonché il rispetto delle finalità previste dal medesimo art. 4 St. Lav. Ultima, ma non meno importante condizione, è che il lavoratore sia messo a conoscenza di tali controlli e che le informazioni raccolte siano conservate ed eventualmente utilizzate nel rispetto del D.Lgs. n. 196/2003.

Guida all'approfondimento
  • Russo M., I controlli difensivi dopo il Jobs act
  • Boati A., Gatti M., Il controllo sui lavoratori attraverso la geolocalizzazione e la localizzazione satellitare dei dipendenti
  • Dalla Casa M., Il controllo delle attività informatiche e telematiche del lavoratore, in LG, 2017, 7, pp. 637 e ss.
  • Sitzia A., Personal computer e controlli “tecnologici” del datore di lavoro nella giurisprudenza, in Adl 2017,3, pp. 805 e ss.
  • Salazar P., Failla L., Controlli difensivi: quali limiti nel nuovo contesto dell'art. 4, l. 300/1970, in LG, 2017/2, pp. 159 e ss.
  • Tea A., Controlli a distanza: spunti problematici e sviluppi interpretativi, in LG, 2017,1, pp. 21 e ss.
  • Bolletti E., I poteri del datore di lavoro tra legge e contratto, relazione tenuta in occasione delle Giornate di Studi Aidlass, Napoli 16-17 giugno 2016, in www.aidlass.it
  • Goffredo T. M., Meleca V., Jobs act e nuovi controlli, in DPL, 2016, vol. 31 pp. 1894 e ss.
  • Consonni G., Il caso “Barbulescu c. Romania” e il potere di controllo a distanza dopo il jobs act: normativa europea e italiana a confronto, in DRI, 2015 pp. 1171 e ss.

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