“L'art. 32, comma 1 bis, della legge 4 novembre 2010, n. 183, introdotto dal d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere "in sede di prima applicazione" il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dunque non solo l'estensione dell'onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l'inefficacia di tale impugnativa
Massima
“L'art. 32, comma 1 bis, della legge 4 novembre 2010, n. 183, introdotto dal d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere "in sede di prima applicazione" il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dunque non solo l'estensione dell'onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l'inefficacia di tale impugnativa, prevista dal comma 2 del medesimo art. 6 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l'omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato”.
Il caso
Tizio, licenziato dalla Società Alfa il 18 maggio 2011, ha impugnato l'atto di recesso il 24 maggio 2011 ed ha successivamente introdotto il giudizio con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale di Perugia in data 22 settembre 2012. Il Tribunale ha accolto il ricorso promosso dal lavoratore respingendo altresì l'eccezione di decadenza tempestivamente sollevata della Società Alfa per non aver rispettato il termine di impugnativa giudiziale (270 giorni) previsto dall'art. 6, comma 2, della L. n. 604/1966 così come modificato dall'art. 32, comma 1, della L. n. 183/2010. Con reclamo promosso dalla Società Alfa, la Corte di Appello di Perugia – in riforma della sentenza di primo grado – ha accolto l'eccezione di decadenza sollevata dalla Società ed ha dichiarato l'impugnazione giudiziale del lavoratore palesemente tardiva con conseguente inefficacia dell'impugnazione stragiudiziale (ancorché tempestiva) e la definitiva preclusione di far valere l'illegittimità del licenziamento in oggetto. Avverso questa sentenza Tizio ha promosso ricorso per cassazione con un unico motivo articolato in otto diversi punti. La Suprema Corte di Cassazione, richiamando il proprio unico precedente su analoga questione (Cass. civ., sez. lavoro, 23 aprile 2014, n. 9203), ha stabilito che il comma 1 bis, dell'art. 32, della L. n. 183/2010 (introdotto dall'art. 2, comma 54, del D.L. n. 225/2010, c.d. decreto Milleproroghe, convertito in L. n. 10/2011) ha differito al 31 dicembre 2011 l'efficacia di tutti i termini di decadenza stragiudiziali e giudiziali introdotti, per la prima volta, dal c.d. Collegato lavoro in riforma dell'art. 6, commi 1 e 2, della L. n. 604/1966. Nello specifico la Suprema Corte di Cassazione, dopo aver riportato espressamente il testo delle disposizioni previste dall'art. 6, commi 1 e 2, della L. n. 604/1966 (dopo la novella dell''art. 32, 1° comma, della L. n. 183/2010) ha chiarito che «se l'estensione dell'onere di impugnativa stragiudiziale a casi in precedenza non previsti configura indubbiamente un elemento di novità (esterno però alla disposizione di cui è stata differita l'entrata in vigore), ancora più incisivo, e generalizzato, è l'ulteriore elemento di novità costituito dal fatto che la stessa impugnazione stragiudiziale diviene inefficace se non seguita dal deposito del ricorso giudiziale (o dalla richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato) nel termine disposto dalla L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, comma 2. Diviene perciò decisivo il rilievo che il legislatore non ha testualmente limitato la proroga dell'efficacia del comma 1, novellato alle ipotesi in precedenza non contemplate (…), ma ha disposto il differimento dell'entrata in vigore del comma 1, dando per presupposto che la disposizione novellata abbia, in linea generale, una sua prima applicazione (letteralmente, del resto, si dice "In sede di prima applicazione" e non già, ad esempio, "nei casi di sua prima applicazione" o altra similare). Ciò, per quanto sopra detto, va riferito proprio al diretto contestuale collegamento tra impugnazione stragiudiziale e decorrenza del termine (parimenti di decadenza) per il deposito del ricorso giudiziale, sicchè la L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, commi 1 e 2, vengono a costituire, integrandosi fra loro, una disciplina unitaria, articolata - e qui sta appunto l'elemento generalizzato di novità - nella previsione di due successivi e tra loro connessi termini di decadenza. Ne discende che, attraverso il differimento "In sede di prima applicazione" - incipit che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte perugina, non è affatto pleonastico, ma ha, anzi, un ruolo primario per l'esegesi della normativa - della L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, comma 1, il legislatore ha inteso, con ciò stesso, differire anche il termine a partire dal quale decorre la decadenza di cui al secondo comma, che diviene quindi a sua volta non applicabile anteriormente al 31 dicembre 2011».
La questione
La questione in esame è la seguente: il comma 1 bis, dell'art. 32, della L. n. 183/2010 (che è stato introdotto dall'art. 2, comma 54, del D.L. n. 225/2010 convertito in L. n. 10/2011) ha posticipato al 31 dicembre 2011 anche il termine di decadenza dell'impugnazione giudiziale prevista dal novellato art. 6, comma 2, della L. n. 604/1966?
Le soluzioni giuridiche
L'art. 32 della L. n. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro), oltre ad aver previsto un'indennità risarcitoria in misura predefinita nei casi di conversione del contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato (commi 5, 6 e 7), ha esteso il regime di decadenze previsto dall'art. 6 della L. n. 604/1966 per l'impugnazione del licenziamento ad altre fattispecie quali il contratto a termine, la somministrazione di lavoro, il recesso dai contratti di collaborazione (anche nella forma a progetto), il trasferimento individuale e la cessione del rapporto nell'ambito di un trasferimento d'azienda o di un suo ramo (commi 3 e 4). La disposizione sopra citata (per la precisione il comma 1, dell'art. 32), inoltre, ha modificato l'art. 6, commi 1 e 2, della L. n. 604/1966 stabilendo che l'impugnazione nel termine di decadenza di 60 giorni dal licenziamento è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. In altri termini, il nuovo art. 6 della L. n. 604/1966 prevede un doppio termine di decadenza: di 60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale, decorrente dalla data di ricezione dell'atto di recesso e di 270 giorni per l'impugnazione giudiziale (o per la richiesta del lavoratore del tentativo di conciliazione o dell'arbitrato) dall'avvenuta impugnazione stragiudiziale (oggi ridotto a 180 giorni dalla L. n. 92/2012). La previsione di un doppio termine di decadenza (stragiudiziale e giudiziale) per i licenziamenti unitamente all'estensione dei suddetti termini ad altre numerose fattispecie aveva chiaramente l'obiettivo di evitare il protrarsi di situazioni di incertezza giuridica sulla legittimità di molti atti datoriali. Tuttavia, dopo circa un anno dall'entrata in vigore del Collegato Lavoro, il Legislatore è intervenuto con una disposizione (art. 2, comma 54, del D.L. n. 225/2010, convertito in L. n. 10/2011) che ha parzialmente “paralizzato” gli effetti (previsti dalle numerose decadenze da poco introdotte) del Collegato Lavoro. Nello specifico è stato inserito nell'art. 32, della L. n. 183/2010, il comma 1 bis, che stabilisce quanto segue: “In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”. La disposizione introdotta ha generato (per la poca chiarezza del testo) numerosi dubbi interpretativi e diverse sono state le soluzioni fornite dalla giurisprudenza di merito. Nello specifico secondo un primo orientamento il differimento dell'efficacia temporale (al 31 dicembre 2011) previsto dall'art. 32, comma 1 bis, della L. n. 183/2010 deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi indicate dallo stesso art. 32. I sostenitori di tale tesi, ponendo l'accento sull'inciso “in sede di prima applicazione”, evidenziano che l'onere di impugnativa per i licenziamenti già esisteva da tempo nell'ordinamento giuridico e così l'unica reale innovazione rispetto al passato è la previsione di un articolato sistema di decadenze a fattispecie prima non contemplate (tra le tante pronunce in tal senso, Trib. Milano, 4 luglio 2011, n. 3402; Trib. Milano 4 agosto 2011, n. 3914; Trib. Milano, 13 dicempre 2011, n. 6104; Trib. Roma 20 settembre 2011, n. 96505). Secondo i sostenitori di tale esegesi, quindi, con il comma 1 bis, dell'art. 32, della L. n. 183/2010 avrebbe determinato il totale differimento di operatività al 1 gennaio 2012 di tutto l'impianto di decadenze previste del Collegato Lavoro. Tuttavia, in totale contrapposizione all'orientamento sopra citato, sempre nella giurisprudenza di merito si è diffuso un secondo indirizzo più rigoroso e che – in stretta interpretazione del dato letterale – ha stabilito che il differimento al 31 dicembre 2011 riguarda esclusivamente l'impugnazione del licenziamento e non anche di tutte le nuove fattispecie per le quali il Collegato Lavoro ha esteso il regime di decadenza; del resto, nella disposizione introdotta dall'art. 2, comma 54, del D.L. n. 225/2010 convertito in L. n. 10/2011 è stato stabilito espressamente il differimento per la sola fattispecie di “impugnazione del licenziamento” e non di tutte le altre ipotesi. Inoltre, anche la collocazione sistematica all'interno dell'art. 32, subito dopo il comma 1, induce a ritenere che il decreto Milleproroghe abbia espressamente voluto limitare ad una sola fattispecie il regime delle decadenze senza estenderle alle altre ipotesi previste nei successivi commi 3 e 4, del medesimo art. 32 e senza intaccare altresì il comma 2, del citato articolo, relativo alla neo introdotta decadenza giudiziale (tra le tante pronunce in tal senso, Trib. Roma, 10 gennaio 2012; Trib. Roma, 12 febbraio 2013, ordinanza; e sul tema che qui interessa relativo al differimento del termine di impugnazione giudiziale si rinvia a Trib. Roma, 8 gennaio 2012, ordinanza; Trib. Roma, 10 aprile 2012, ordinanza; Trib. Roma, 27 febbraio 2013, sent. 3075; Trib. Roma 27 settembre 2013, n. 10353). La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia in commento sembrerebbe aver posto fine alla querelle interpretativa indicando, come indirizzo nomofilattico, che l'art. 32, comma 1 bis, della L. n. 183/2010 deve essere interpretato nel senso che tutto il regime delle decadenze (stragiudiziali e giudiziali sia per il licenziamento che per le altre ipotesi) introdotte dal Collegato devono essere differite al 31 dicembre 2011.
Osservazioni
La sentenza in commento ha senza dubbio il pregio di condividere un orientamento già espresso dalla Suprema Corte di Cassazione (sent., 23 aprile 2014, n. 9203) e di fornire un'interpretazione logico sistematica del comma 1 bis, dell'art. 32, L. n. 183/2010 all'interno dell'ordinamento giuridico. Tuttavia, a parere dello scrivente, il dato letterale che si desume dalla disposizione in oggetto ed anche la sua collocazione all'interno dell'art. 32 non potrebbero condurre all'interpretazione fornita dai Giudici della Suprema Corte. Infatti, interpretando in senso strettamente letterale la disposizione (comma 1 bis), la sospensione del termine di decadenza di 60 giorni (previsto per il solo per il licenziamento) non potrebbe che concludersi nel senso che invece resta pienamente efficace la previsione dell'impugnativa giudiziale entro i successivi 270 giorni così come indicato dal successivo comma 2, dell'art. 32. È evidente che qualora i Giudici della Suprema Corte di Cassazione dovessero differire dal loro orientamento (aderendo così al secondo indirizzo come tracciato dalla giurisprudenza di merito e più sopra indicato) sarà indispensabile l'intervento delle Sezioni Unite per risolvere il dilemma posto da una disposizione indubbiamente poco chiara.
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