Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell' art. 18, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione
Massima
"Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell' art. 18, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo con la conseguenza che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, terzo comma, c.p.c., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore."
Il caso
Con ricorso per decreto ingiuntivo, il lavoratore adiva il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, esponendo che con sentenza del 13 luglio 2000, il giudice del lavoro aveva accertato e dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato dalla Società datrice di lavoro, ordinando la sua reintegra nel posto di lavoro, con la corresponsione, a titolo di risarcimento dei danni, di un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegra. Con comunicazione del 18 novembre 2000, il lavoratore aveva esercitato l'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegra, L. n. 300 del 1970, exart. 18, comma 5; ma la relativa indennità era stata corrisposta solo in data 7 febbraio 2002. Sulla scorta di tali premesse, e ritenendo che il rapporto di lavoro fosse continuato fino al giorno dell'effettiva corresponsione dell'indennità sostitutiva, chiedeva in via monitoria il pagamento di tutte le retribuzioni maturate e non percepite nell'intervallo di tempo intercorso tra la data di esercizio dell'opzione e quella di effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegra. Il ricorso monitorio veniva accolto e la successiva opposizione della società, fondata sulla deduzione che il rapporto di lavoro doveva considerarsi risolto con l'esercizio del diritto di opzione e non già con il pagamento dell'indennità sostitutiva, veniva rigettata. La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 5467 del 14 luglio 2010, in riforma della decisione di primo grado, ha invece accolto l'impugnazione proposta dalla Società, così accogliendo l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo. Nel revocare il provvedimento monitorio la Corte ha affermato di condividere l'orientamento espresso da Cass., sez. lav. 17 febbraio 2009, n. 3775. secondo cui la richiesta del pagamento dell'indennità sostitutiva, in luogo della reintegrazione, determina la cessazione del rapporto di lavoro, sicchè, esercitando la facoltà di scelta, il lavoratore rinuncia alla prestazione alternativa e alla continuazione del rapporto, con la preclusione della possibilità di chiedere l'altra prestazione, e cioè le retribuzioni maturate successivamente alla scelta da lui operata. La Corte territoriale ha privilegiato tale indirizzo, ritenuto "maggiormente convincente" di quello enunciato da Cass., sez. lav., 19 marzo 2010, n. 6735, secondo cui - conformemente a quanto già statuito da Cass., sez. lav., 16 marzo 2009, n. 6342 - la richiesta del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, l'indennità sostitutiva della reintegra, costituisce esercizio di un diritto derivante dall'illegittimità del licenziamento, riconosciuto al lavoratore secondo lo schema dell'obbligazione con facoltà alternativa ex parte creditoris, sicchè l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, facente carico al datore di lavoro, si estingue soltanto con il pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegrazione, per la quale abbia optato il lavoratore, non già con la semplice dichiarazione da questi resa di scegliere detta indennità in luogo della reintegra. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, articolando tre motivi, sulla scorta dei quali ha chiesto la cassazione dell'impugnato provvedimento. La società resisteva con controricorso. All'esito dell'udienza di discussione e della camera di consiglio del 25 giugno 2013, la Sezione Lavoro ha pronunciato ordinanza interlocutoria (n. 18365 del 31 luglio 2013), con la quale ha rilevato che la questione di diritto sottoposta all'esame del Collegio è stata decisa in senso difforme dalle sezioni semplici della Corte e quindi ha rimesso la causa al Primo Presidente che ne ha assegnato la trattazione a queste Sezioni Unite.
La questione
La questione in esame è la seguente: esercitato il diritto di opzione da parte del lavoratore reintegrato nel posto di lavoro, il ritardato pagamento della relativa indennità da diritto al pagamento di ulteriori somme risarcitorie pari alla retribuzione sino alla corresponsione dell'indennità di opzione o esclusivamente dell'applicazione della mora debendi, ossia il pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria?
Le soluzioni giuridiche
La questione in commento è stata forse una delle più dibattute degli ultimi anni ed ha avuto probabilmente l'esito meno scontato che ci si potesse aspettare. Ed infatti la soluzione adottata dalle Sezioni Unite è stata fino ad oggi quella minoritaria in Cassazione. Ma procediamo con ordine. Secondo la tesi sino ad oggi prevalente il danno da risarcire in caso di licenziamento illegittimo e di esercizio del diritto di opzione, andava commisurato alle retribuzioni fino al giorno del pagamento dell'indennità sostitutiva e non fino alla data in cui il lavoratore ha operato la scelta di optare (Cass. Sez. Lavoro n. 24199/2009; Cass. Sez. Lavoro n. 6342/2009, Cass. Sez. Lavoro n. 2262/2007 e più di recente Cass. Sez. Lavoro. n. 3481/2012 e Cass. Sez. Lavoro, n. 6735/2010). In buona sostanza le ragioni di questa soluzione interpretativa andavano ricercate nel fondamento dell'art. 18 Legge n. 300/70 rappresentato dal principio di effettiva realizzazione dell'interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo. Tale condizione impediva secondo la Cassazione di tardare nel pagamento dell'indennità di opzione e per il principio di effettività dei rimedi giurisdizionali non era sufficiente assoggettare il datore al solo pagamento di rivalutazione e interessi exart. 429 c.p.c.. Ed infatti anche per il principio di effettività dei rimedi giurisdizionali, espressione dell'art. 24 Cost., il rimedio risarcitorio, ossia del risarcimento del danno sopportato dal lavoratore per ritardato percepimento dell'indennità' sostitutiva ex art. 18 cit., deve ridurre il più possibile il pregiudizio subito dal lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall'inadempimento o dal ritardo nel l'adempiere l'obbligo indennitario l'ammontare del risarcimento del danno da ritardo deve essere pari alle retribuzioni perdute, fino a che il lavoratore non venga effettivamente soddisfatto. (in tal senso Cass. Sez. Lavoro. n. 3481/2012). Ciò anche al fine da dissuadere, come detto, il datore di lavoro da ritardi e dilazioni nel pagamento di una indennità dovuta per la lesione di un diritto fondamentale. Tale tesi sino ad oggi prevalente è stata radicalmente ribaltata dalla sentenza delle Sezioni Unite che si commenta la quale ha voluto dare continuità ad un orientamento radicatosi nel 2012 secondo il quale l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione (recettizia) di opzione in favore dell'indennità sostitutiva e nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva, il ritardato adempimento del datore di lavoro trova la sua regolamentazione nella disciplina dell'inadempimento dei crediti pecuniari del lavoratore, dando diritto al pagamento dei soli interessi legali e della rivalutazione monetaria. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, la regola generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, della quale è espressione l'art. 2126 c.c comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del lavoratore. L'ipotizzata permanenza dell'obbligo risarcitorio presupporrebbe la persistenza dell'illecito che invece manca: dopo l'opzione la permanente estromissione del lavoratore dall'azienda non è più conseguenza della volontà del datore di lavoro di tenere il lavoratore fuori dall'azienda; anzi egli non può più pretendere che vi rientri. In conclusione, l'obbligo di pagamento dell'indennità sostitutiva rimane soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento dell'obbligazione, con applicazione di quanto previsto dall'art. 429 c.p.c. salvo la prova a carico del lavoratore di un danno ulteriore.
Osservazioni
La soluzione prospettata dalle Sezioni Unite sebbene abbia dato seguito ad un recente orientamento minoritario della Cassazione, appare tuttavia quella più in linea con i principi propri del nostro ordinamento.
In poche parole e schematizzando:
l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione (ricettizia) di opzione in favore dell'indennità sostitutiva;
nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva il ritardato adempimento del datore di lavoro trova la sua regolarizzazione nella disciplina dell'inadempimento dei crediti pecuniari del lavoratore (interessi e rivalutazione monetaria).
Certamente questa sentenza è lo ... specchio di un tempo che fu, in quanto aveva certamente maggior presa ed importanza in un periodo, quello ante riforma Fornero exlege n. 92/2012 in cui l'art. 18 Legge n. 300/1970 garantiva in ogni caso di licenziamento illegittimo la tutela reintegratoria e quindi la concreta possibilità di far ricorso al diritto di opzione. La Legge n. 92/2012 ha assottigliato l'ambito di applicazione della tutela reintegratoria dell'art. 18, fino ad arrivare al recente Jobs Act il quale per le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha del tutto eliminato l'ipotesi reintegratoria e per quelle di licenziamento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) ha fortemente limitato anche rispetto alla Riforma Fornero le ipotesi di reintegra riducendole solo a quelle di manifesta insussistenza del fatto contestato ed eliminando il giudizio sulla proporzionalità del provvedimento espulsivo. Ciò di fatto rende le SS.UU. in commento, nella loro estrema pregevolezza, estremamente limitate da un punto di vista pratico posto che il diritto di opzione verrà raramente esercitato attesa la quasi scomparsa della tutela reintegratoria. Quanto ai principi in essa espressi, a parere di chi scrive, sono certamente pregevoli ed in linea con quella che è una corretta interpretazione della normativa applicabile. Ed infatti da un lato la tutela risarcitoria per il ritardo nel pagamento dell'indennità non aveva un vero e proprio fondamento giuridico – normativo atteso che da un lato lo strumento legislativo per il ritardo nell'adempimento delle obbligazioni è rappresentato dall'applicazione degli interessi e della rivalutazione monetaria e dall'altro in quanto ogni risarcimento presuppone necessariamente un rigorosa prova del danno che in questo caso non appare mai poter esser sussistente nei termini invocati dalla giurisprudenza che in passato sosteneva tale posizione.
Sullo stesso provvedimento vedi anche
Maria Luisa Vallauri, La Corte di cassazione a Sezioni Unite si pronuncia sugli effetti dell'opzione del lavoratore per l'indennità sostitutiva della reintegrazione
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