In caso di ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, emesso dal giudice ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, nel testo precedente la riforma di cui alla L. 28 giugno 2012, n. 92, si applicano, per il periodo fino all'ordine di reintegra, qualora il licenziamento sia stato dichiarato inesistente o nullo, le sanzioni civili previste dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, per l'ipotesi dell'omissione contributiva.
Massima
“In caso di ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, emesso dal giudice ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, nel testo precedente la riforma di cui alla L. 28 giugno 2012, n. 92, si applicano, per il periodo fino all'ordine di reintegra, qualora il licenziamento sia stato dichiarato inesistente o nullo, le sanzioni civili previste dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, per l'ipotesi dell'omissione contributiva. Nel medesimo periodo, ove invece il recesso sia annullato perché privo di giusta causa o di giustificato motivo, trova applicazione l'ordinaria disciplina della mora debendi prevista per l'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, ma non anche il regime delle sanzioni civili di cui al cit. art. 116. Per il lasso temporale successivo all'ordine di reintegrazione, riprende vigore l'ordinaria disciplina dell'omissione e dell'evasione contributiva”.
Il caso
La Cooperativa Alfa proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Pesaro, avverso la cartella esattoriale notificatale dal concessionario per la riscossione dei tributi il 14.7.2006, in relazione alla contribuzione omessa, dovuta in favore del lavoratore B.D., per il periodo dal 25.5.1998, data del licenziamento del medesimo dipendente, al 16 maggio 2005. Il Tribunale, dopo avere rilevato che il recesso della Cooperativa era stato annullato con sentenza del 27 aprile 2004 dello stesso ufficio, con la quale era stata ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, nel testo precedente la riforma di cui alla L. 28 giugno 2012, n. 92, dichiarava prescritti i contributi maturati sino al 2 agosto 2000, nonché la decadenza dell'Istituto dalla pretesa relativa a quelli inerenti il lasso temporale compreso tra il 2 gennaio 2004 e il 31 dicembre 2004. Per le contribuzioni dovute nel periodo residuo, dal 2 agosto 2000 all'1 gennaio 2004 e dall'1 gennaio 2005 al 16 maggio 2005, il primo giudice riteneva che correttamente l'Inps aveva fatto applicazione dell'art. 116 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, recante il regime sanzionatorio dell'evasione contributiva, perché la Cooperativa non aveva provveduto alla denuncia del lavoratore e il credito contributivo non era comunque rilevabile dalle registrazioni obbligatorie. La Corte d'Appello di Ancona rigettava l'appello principale dell'Istituto e accoglieva quello incidentale della Cooperativa, richiamando il principio giurisprudenziale affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 1° aprile 2009, n. 7934, secondo il quale l'omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento dichiarato illegittimo e la reintegrazione non rientra in alcuna delle fattispecie di omissione - né tanto meno di evasione - contributiva; sicché non trovano applicazione le sanzioni previste per l'omissione contributiva. Avverso questa sentenza proponeva ricorso principale l'Inps.
La questione
La questione in esame è la seguente: in caso di licenziamento di un lavoratore assistito da tutela reale nel regime della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, nel testo precedente la riforma di cui alla L. 28 giugno 2012, n. 92, qualora il recesso sia annullato con sentenza che ordini la reintegrazione nel posto di lavoro e il ripristino integrale della posizione contributiva del dipendente, sono dovute le sanzioni di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 16 e, in caso di risposta affermativa, è applicabile il regime di cui alla lettera a) del predetto art. 116 (relativo all'omissione contributiva) o quello più severo di cui alla lettera b) del medesimo articolo, proprio dell'evasione?
Le soluzioni giuridiche
Al quesito rimesso alle Sezioni Unite, era astrattamente possibile fornire due soluzioni, tra loro diametralmente opposte. Secondo un primo ordine di idee, fatto proprio dal precedente della Corte di Cassazione dell'1 aprile 2009, n. 7934 - fermo restando l'obbligo di ricostituire il rapporto previdenziale come se il licenziamento non fosse stato irrogato e di corrispondere, sui contributi versati in esecuzione della sentenza che dispone la reintegra, gli interessi legali di differimento - non potrebbero trovare ingresso il regime sanzionatorio di cui all'art. 116 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, né quello precedente, di cui all'art. 1 commi 217 e seguenti della L. 23 dicembre 1996, n. 662. Ciò perché, essenzialmente, l'omissione e l'evasione contributiva presuppongono entrambe la persistenza di un dovere attuale di versare, per i lavoratori dipendenti, i contributi entro il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento (distinguendosi le due figure dalla circostanza che il rapporto di lavoro sia stato regolarmente denunciato o comunque sia desumibile dalle registrazioni e scritture obbligatorie, ma la contribuzione non sia versata, nel qual caso ricorre l'omissione, o che sia stato fraudolentemente sottaciuto, ipotesi la quale integra gli estremi dell'evasione). Obbligo di versamento che, tra la data del licenziamento e quella di pronuncia dell'ordine di reintegrazione - lasso temporale durante il quale il rapporto di lavoro è interrotto per un efficace atto di recesso – non sussiste, non essendo il lavoratore alle attuali dipendenze del datore e non potendo, quindi, l'Inps pretendere il pagamento dei contributi. A questa posizione se ne contrappone un'altra, sposata dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 13 gennaio 2012, n. 402, secondo la quale sarebbe irrilevante la circostanza che, dal recesso fino all'ordine di reintegrazione, essendo il rapporto di lavoro interrotto, il datore non sarebbe tenuto a presentare le denunce obbligatorie e a versare i contributi; tale irrilevanza discendendo dall'effetto della sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, la quale ha natura costitutiva ex tunc e ricostituisce – per fictio iuris – retroattivamente sia il rapporto di lavoro, sia quello previdenziale. La decisione in commento (la quale ha senza dubbio il pregio di avere fornito una sistemazione organica della materia), dopo aver correttamente distinto il regime del periodo successivo alla pronuncia dell'ordine di reintegrazione, da quello dell'arco compreso tra il licenziamento e la reintegra, ha optato per una soluzione dichiaratamente intermedia tra le due opzioni in precedenza emerse nella stessa giurisprudenza di legittimità. Secondo le Sezioni Unite, dalla pubblicazione della sentenza che annulla il recesso, la quale è immediatamente esecutiva in virtù del disposto dell'art. 431 c.p.c. anche se di primo grado, il rapporto di lavoro è a tutti gli effetti di legge ricostituito. Pertanto rivive l'obbligo del datore di presentare le denunce obbligatorie e di versare i contributi sulle retribuzioni corrisposte al dipendente, cosicché, in ipotesi di inadempimento, a seconda dei casi sarà applicabile il regime proprio dell'omissione o dell'evasione contributiva. Per il periodo precedente, innanzitutto (sul punto la sentenza in commento si è espressa con un obiter, poiché la relativa questione, nel caso di specie, era stata risolta dalla Corte di Appello di Ancona con capo della decisione coperto da giudicato), non essendo in essere il rapporto e non essendo stata ancora pronunciata la reintegra, non corrono i termini di prescrizione o decadenza dalla pretesa contributiva, poiché l'Inps non ha titolo, fino alla reintegrazione, a richiedere i contributi in relazione a un rapporto efficacemente interrotto. Quanto all'applicabilità del regime sanzionatorio per i contributi omessi sino alla reintegra, le Sezioni Unite hanno distinto tra il caso del recesso annullato per difetto di giusta causa o giustificato motivo oggettivo e quello del licenziamento inefficace o nullo. Nel primo il datore, in seguito alla reintegra, deve ritenersi tenuto solo – per il periodo sino alla sentenza – al pagamento dei contributi maggiorati degli interessi di differimento, senza applicazione delle sanzioni di cui all'art. 116 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, operando, la fictio juris della ricostituzione retroattiva del rapporto, solo quanto al rapporto di lavoro e non anche in relazione a quello previdenziale. Nell'ipotesi di licenziamento nullo o inefficace, invece, la finzione opererebbe pienamente, poiché il recesso deve considerarsi come se non fosse mai stato irrogato, non essendo intervenuto alcun efficace atto interruttivo. Ne consegue l'applicabilità delle sanzioni previste per l'omissione contributiva.
Osservazioni
La decisione in commento, oltre al pregio, già ricordato, di avere offerto un quadro sistematico della materia, correttamente discriminando tra i contributi relativi al periodo compreso tra il licenziamento e la reintegra e quelli afferenti all'epoca successiva alla sentenza, è certamente condivisibile anche per quanto attiene all'individuazione del regime applicabile a decorrere dalla pronuncia dell'ordine di reintegrazione. Non vi è dubbio, infatti, che, in seguito alla pubblicazione della sentenza che annulla il licenziamento comminato in ambito di tutela reale, il rapporto giuridico sia retroattivamente ricostituito ad ogni effetto, cosicché incombono sul datore di lavoro gli obblighi di denunzia e versamento previsti dalla normativa previdenziale. Quanto all'epoca precedente la reintegra, le Sezioni Unite hanno deciso di dare seguito all'indirizzo espresso dalla sentenza del 13 gennaio 2012, n. 402, ma limitatamente all'ipotesi di recesso dichiarato inefficace o nullo, poiché, solo in tali casi, dovendosi considerare il rapporto di lavoro come mai interrotto, la fictio juris dell'efficacia costitutiva retroattiva della pronuncia giudiziale opererebbe sia quanto al rapporto di lavoro, sia con riferimento a quello previdenziale. Nella diversa evenienza di licenziamento semplicemente annullato per giusta causa o giustificato motivo, invece, secondo la decisione in commento va condiviso il principio affermato dalla precedente sentenza del 1 aprile 2009, n. 7934, secondo la quale, poiché fino alla reintegra il rapporto di lavoro è efficacemente interrotto, il datore non sarebbe tenuto alle denunce obbligatorie e ai versamenti contributivi e l'Inps non sarebbe legittimato a pretenderne l'adempimento. A tale argomento, la sentenza 13 gennaio 2012, n. 402, aveva efficacemente e convincentemente obiettato che l'azione diretta ad invalidare il licenziamento perché privo di giusta causa o giustificato motivo è da qualificarsi come azione di annullamento e, pertanto, la sentenza dichiarativa dell'ilegittimità del recesso ha effettivamente natura costitutiva. Tale pronuncia, peraltro, ha effetti retroattivi, statuendo la debenza (ora per allora) di somme dovute al lavoratore, alle quali va riconosciuta natura non solo risarcitoria ma anche retributiva, con la conseguenza che l'attribuzione patrimoniale, sopravvivendo il rapporto di lavoro e quello assicurativo, è assoggettabile alla contribuzione previdenziale. Le Sezioni Unite hanno ritenuto di superare tale obiezione essenzialmente, sulla base di due argomenti.
La fictio juris della ricostruzione retroattiva opererebbe solo con riguardo al rapporto di lavoro e non anche per quello previdenziale.
La disciplina dell'art. 116 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, in quanto <<normativa sanzionatoria specifica, di aggravamento delle conseguenze dell'inadempimento in ragione del particolare interesse qualificato dell'Istituto previdenziale alla regolarità della provvista dei contributi da versare>> non potrebbe essere estesa analogicamente alla fattispecie, non prevista, del licenziamento annullato.
Entrambe le argomentazioni non sembrano scalfire le ragioni che avevano indotto la Corte, con la sentenza del 2012, ad affermare l'applicabilità delle sanzioni (non solo nel caso di licenziamento nullo o inefficace, ma anche in quello di mancanza di giusta causa o giustificato motivo) per il periodo compreso tra il licenziamento e la pronuncia dell'ordine di reintegrazione.
In proposito, infatti, deve osservarsi che:
L'assunto secondo cui il rapporto assicurativo non sarebbe assistito dalla medesima finzione che caratterizza il rapporto di lavoro, innanzitutto, è affermato dalle Sezioni Unite essenzialmente mediante il richiamo al precedente del 2009, il quale, però, sul punto, risultava piuttosto apodittico, non illustrando compiutamente le ragioni in virtù delle quali non opererebbe, per il rapporto previdenziale, la fictio juris della ricostituzione retroattiva. Al riguardo, la sentenza 13 gennaio 2012, n. 402, con argomento non efficacemente contrastato dalle Sezioni Unite, aveva osservato che, <<proprio la previsione legislativa (L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e successive modifiche) secondo cui la parte datoriale deve essere condannata "al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione", comporta la non interruzione de iure anche del rapporto assicurativo previdenziale collegato a quello lavorativo (cfr, con riferimento alla ricorrenza della tutela reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18, ex plurimis, Cass., SU, n. 11327/1991; Cass., nn. 2296/1986; 3688/1986; 3013/1989; 15621/2001)>>. Ne consegue che, poiché la sussistenza dell'obbligazione retributiva costituisce il presupposto della corrispondente obbligazione contributiva, quest'ultima sorge contestualmente alla ricorrenza della prima; ne discende, pertanto, che i contributi sono da ritenersi "dovuti" ai fini dell'applicazione della L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 217, fin dal momento in cui, in conseguenza degli effetti retroattivi delle pronunce di annullamento del licenziamento illegittimamente intimato, devono essere riconosciute al lavoratore le spettanze economiche in relazione alle quali insorge l'obbligazione contributiva (ricorrendo, pertanto, anche le omissioni contemplate ai fini dell'applicabilità della sanzione una tantum di cui alla lett. b) della norma suddetta). In altri termini, poiché tra il rapporto di lavoro e quello previdenziale sussiste, alla stregua della risalente e richiamata ricostruzione della giurisprudenza della medesima Corte di Cassazione, un vincolo di accessorietà, nel senso che le vicende del primo producono automaticamente effetti su quelle del secondo, la ricostituzione retroattiva del rapporto non può operare solo per il rapporto di lavoro ma necessariamente esplica efficacia anche quanto al rapporto previdenziale.
Il regime introdotto dall'art. 116 della L. 23 dicembre 2000, n. 388 e quello, precedente, di cui ai commi 217 e seguenti della L. 23 dicembre 1996, n. 662, lungi dal rappresentare <<normativa sanzionatoria specifica>>, come tale non applicabile analogicamente alla fattispecie del licenziamento annullato o dichiarato nullo o inefficace, si presenta, in realtà, come disciplina generale delle conseguenze dell'inadempimento contributivo. Di talché, la sua applicazione alle fattispecie del tipo di quella esaminata dalle Sezioni Unite, certamente non è analogica (l'analogia essendo vietata, peraltro, dall'art. 14 delle preleggi solo per le norme eccezionali, qualifica che, la decisione in commento, correttamente non ha utilizzato per l'art. 116), ma rappresenta semplicemente la naturale estensione di norme (nemmeno speciali, bensì) generali a un caso specifico.
La conclusione alla quale è giunta la decisione commentata, pertanto, con riguardo ai contributi dovuti sino alla sentenza di reintegra in caso di licenziamento annullato per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, non risulta pienamente appagante.
Guida all'approfondimento
F. Fersini, Nessuna sanzione civile al datore di lavoro per omessi contributi, Diritto & Giustizia, 2014, n. 1
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