Applicabilità dell'art. 18, come modificato dalla L. 92/2012, ai rapporti di pubblico impiego

29 Aprile 2016

Sono esclusi dal periodo di comporto i periodi di assenza dal lavoro dovuti alla necessità di far fronte alle complicazioni di un intervento chirurgico subito dal lavoratore. Nell'ambito dei rapporti di lavoro con la P.A., la L. 92/2012 costituisce solo un insieme di principi e criteri di regolamentazione, insuscettibili di applicazione diretta, salvo diversa ed espressa previsione di legge, ovvero che il legislatore emani disposizioni di armonizzazione alle peculiarità del settore.
Massima

Sono esclusi dal periodo di comporto, ex art. 23 comma 6 bis CCNL comparto sanità dell'1/09/1995, i periodi di assenza dal lavoro dovuti alla necessità di far fronte alle complicazioni di un intervento chirurgico subito dal lavoratore.

Nell'ambito dei rapporti di lavoro con la pubblica amministrazione, la

legge 92/2012

(cd. “Legge Fornero”) costituisce solo un insieme di principi e criteri di regolamentazione, insuscettibili di applicazione diretta, salvo diversa ed espressa previsione di legge, ovvero che il legislatore emani disposizioni di armonizzazione alle peculiarità del settore.

Il caso

Una lavoratrice proponeva reclamo avverso l'ordinanza resa dal tribunale in esito al procedimento speciale di cui all'

art. 1, commi 47 e ss. della L. 92/2012

. Il tribunale con sentenza emessa ai sensi dell'art. 1, comma 57 della stessa legge, riconosceva l'illegittimità del licenziamento e condannava l'Ente convenuto alla reintegra della lavoratrice ed pagamento di un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla effettiva reintegrazione oltre accessori e versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Avverso tale pronuncia, l'Ente proponeva reclamo alla Corte D'Appello, ex

art. 1 comma 58 della legge 92/2012

, al fine di far dichiarare le legittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto nonché l'applicazione dell'

art. 18 della legge 300/70

nel testo riformato dalla

legge 92/2012.

Le questioni

Le separate questioni trattate nella sentenza in commento sono le seguenti:

  • devono essere esclusi dal periodo di comporto, ex art. 23 comma 6 bis CCNL comparto sanità dell'1/09/1995, i periodi di assenza dal lavoro dovuti alla necessità di far fronte alle complicazioni conseguenti ad un intervento chirurgico cui è stata costretta a sottoporsi una lavoratrice (nella specie sviluppo di una linfagite in conseguenza di intervento chirurgico di svuotamento ascellare-quadrantectomia)?

  • è applicabile l'

    art. 18 dello Statuto dei lavoratori

    , come riformato dalle

    legge 92/2012

    , anche ai rapporti di lavoro privatizzato alle dipendenze della pubblica amministrazione?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello ha ritenuto che devono essere ricompresa nella previsione di cui all'art. 23 comma 6 bis CCNL comparto sanità dell'1/09/1995 - con conseguente impossibilità di computare i giorni di assenza nell'ambito del periodo di comporto – non solo le assenze direttamente collegate all'esecuzione dell'intervento ma anche quelle dovute alle complicanze di tale terapia chirurgica salvavita. Con riferimento alla seconda questione, la Corte d'Appello ha ritenuto che, per il settore del pubblico impiego

, le norme della

legge 92/2012

siano solo “principi e criteri di regolamentazione”, per cui, salvo che non sia la stessa legge a dichiararle immediatamente applicabili ovvero il nostro legislatore a predisporre un processo di armonizzazione, l'applicazione diretta della riforma deve essere esclusa.

Osservazioni

Prescindendo dalla prima (settoriale) in questione, grande interesse riveste, invece, l'altro tema (particolarmente insidioso e controverso) affrontato in sentenza e relativo all'applicabilità della

L. 92/2012 (e, in particolare, della disciplina dei licenziamenti) nei confronti dei pubblici dipendenti

.

La problematica, oltre al profilo di merito, coinvolge anche l'applicazione del “rito speciale Fornero” di cui agli

dall'

art. 1 commi

47-69 della L. 92/

2012

,

che avrebbe dovuto deflazionale (obiettivo ad oggi complessivamente disatteso, tanto che da più parti se ne auspica la definitiva soppressione) il carico dei contenziosi, accordando una via privilegiata per la definizione rapida del procedimenti di accertamento della illegittimità del licenziamento ex art. 18.

In via preliminare, sembra doverosa una breve premessa al fine di meglio inquadrare la fattispecie oggetto di commento.

È noto come il nostro legislatore abbia già da tempo tentato di ricondurre il pubblico impiego nell'ambito della regolamentazione privatistica (cd. “privatizzazione” del rapporto con le pubbliche amministrazioni) attraverso la diretta applicazione delle norme dello

Statuto dei Lavoratori

e successive modificazioni. In tal senso, il

2° comma dell'art. 51 del T.U. 165/2001 stabilisce che: “

la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti

”, mentre il 2° comma dell'art. 2, T.U. 165/2001, ad ulteriore rafforzamento, dispone: “

i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo 1, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo

”.

Certo è che tale processo presupponeva (e presuppone) una necessaria attività di adeguamento di una normativa concepita per il settore privato alle specificità del settore pubblico. Tuttavia, tale attività non è mai perseguita in maniera convinta ed incisiva dal legislatore.

Nel 2012, in attuazione una completa riforma del mercato del lavoro nota come “Legge Fornero”, il legislatore è intervenuto sull'art. 18, riducendo sensibilmente le ipotesi di reintegra e generalizzando la tutela indennitaria. L'eventuale applicazione al pubblico impiego, è stato un tema direttamente affrontato (ma non risolto) attraverso una norma contorta, che riecheggia una non riuscita tecnica già adottata nella legge Biagi (

art. 86 comma 8, D.lgs. 276/2003

) e che, cosa ben più grave, si presta a mutevoli interpretazioni, tutte astrattamente sostenibili.

Ci si riferisce, in particolare, ai

commi 7 e 8 dell'

art 1 L. 92/

2012

: “7. Le disposizioni della presente legge, per quanto da essa non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'

art. 1, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall'art. 2 comma 2 del medesimo D.lgs. Restano ferme le previsioni di cui all'art. 3 del medesimo D.lgs.”; “8. Ai fini dell'applicazione del comma 7 il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, sentite le Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche

”.

Ebbene, proprio per l'ambigua formulazione della norma, cui ha fatto da corollario l'inattuato (e forse inattuabile) intervento di “armonizzazione”, il tema continua a dividere gli interpreti al punto che in dottrina quanto in giurisprudenza sono state proposte diverse soluzioni che contemplano tutte le possibili opzioni ermeneutiche.

Secondo una prima impostazione il novellato art. 18 dello Statuo dei Lavoratori dovrebbe trovare immediata applicazione nell'ambito del pubblico impiego, e ciò in forza del rinvio operato dall'

art.

51, comma 2

D

.lgs. 165/

2001

che andrebbe interpretata come una norma “aperta” volta a consentire il recepimento di tutte le modifiche legislative che interessano le disposizioni già applicate nel settore (tra cui la

legge 300/70

). Secondo i fautori di questa tesi, l'automatismo cederebbe, argomentando ex comma 7, solo dinnanzi ad un'espressa previsione in senso contrario che non sarebbe, tuttavia, ravvisabile nella

legge 92/2012

(Tampieri;

La legge 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni

, in G. Pellacani (a cura di)).

Altra dottrina ha espresso una posizione diametralmente opposta, motivando l'esclusione sulla base del dato letterale del combinato disposto dei citati commi 7 e 8

dell'

art 1 L. 92/2012

. Pertanto si verrebbe a configurare un sistema binario in cui un “redivivo” vecchio art. 18 continuerebbe a trovare applicazione solo per il settore del pubblico impiego,

(A. Vallebona,

La riforma del lavoro 2012

, Torino 2012, pag. 55)

almeno sino a quando il legislatore non si adoperi per disporre “l'armonizzazione” delle nuove norme al settore pubblico.

Soluzioni, se possibile ancora più intricate, vanno ravvisate in ordine all'applicabilità del rito speciale. Sotto tale aspetto gli autori si sono divisi a seconda che il nuovo procedimento dovesse essere ritenuto esclusivo e, quindi, necessariamente applicabile al pubblico impiego,

(C. Musella,

Il rito speciale in materia di licenziamento

, pag. 359)

ovvero, stante l'inapplicabilità della

legge 92/2012

, anche il rito speciale non troverebbe conseguentemente ingresso nel settore (

M. De Cristofaro, G. Gioia,

Il nuovo rito dei licenziamenti: l'anelito alla celerità per una tutela sostanziale dimidiata

, in www.judicium.it, pag. 5, nota 10).

Rispetto al panorama dottrinale, in giurisprudenza si registra una maggiore uniformità di interpretazioni, che privilegiano l'applicabilità della normativa, anche con riferimento al rito. Tra le altre si segnala

Tribunale di Perugia, ord. 9-10/11/2012, in cui il giudice ha argomentato sostenendo l'applicabilità della riforma nel pubblico impiego di quelle norme (come l'art. 18 dello Statuto) già vigenti nel settore, per cui la riserva dei commi 7 e 8 riguarderebbe solo

norme non già in vigore per lo stesso (in particolare al compendio delle innovazioni inerenti i contratti, la mobilità etc.)”.

Tale impostazione è stata, autorevolmente, rafforzata dalla Suprema Corte che ha

riconosciuto l'applicabilità della disciplina anche al pubblico impiego sul rilievo che l'

art. 51

,

2 comma D.lgs. 165/2001

,

avvalendosi della tecnica del cd “rinvio mobile”, richiamerebbe la

legge 300/70

e tutte le modificazioni future, ivi compresa la

legge 92/2012

(

Cass.

civ. sez, lav.,

26 novembre 2015

n. 24157

).

Per quanto sopra detto, allora, è evidente che

la pronuncia della Corte d'Appello in oggetto sia significativa, anzitutto perché aderisce ad una tesi minoritaria, utilizzando argomentazioni indubbiamente pregevoli.

I giudici, in particolare, hanno ritenuto che le norme della

legge 92/2012

, con riguardo alle pubbliche amministrazioni, siano solo “principi e criteri di regolamentazione”, per cui, salvo che non sia la stessa legge a dichiararle immediatamente applicabili (e di ciò non v'è traccia nella normativa) ovvero il nostro legislatore (come auspicabile) non si attivi per disporre l'armonizzazione, l'applicazione diretta della riforma deve essere esclusa.

Tale ricostruzione appare pienamente condivisibile. Non v'è dubbio che il rinvio operato dagli

artt. 2,

comma 2 e

51, comma

2

D.lgs

. 165/2001

sia di natura “mobile”, per cui sono applicabili tutte le successive modificazioni dello Statuto, salvo che sia la stessa legge a escludere o “condizionare” tale eventualità. Cosa che è avvenuto all'

art. 1 commi 7

e

8 della legge 92/2012

. Da tali norme si evince chiaramente che le disposizioni delle legge Fornero non sono, in generale, direttamente applicabili, ad eccezione di una (non ravvisabile) espressa menzione ovvero che il legislatore non si prodighi nel processo di armonizzazione.

Non v'è dubbio, allora, che la volontà legislativa sia stata quella di non autorizzare l'applicazione sic e simpliciter della riforma Fornero al settore del pubblico impiego (effetto che, nel silenzio del legislatore, si sarebbe determinato automaticamente in virtù della previsione di cui al l'art. 51 cit.) e che sia imprescindibile, in mancanza della previsione di singole norme, un processo di armonizzazione e adeguamento della riforma alle specificità del settore pubblico, che dovrà ispirarsi agli medesimi principi delineati dalla legge.

Tutto ciò, inoltre, non determina l'abrogazione dell

'art. 51 comma 2, che continuerebbe a trovare applicazione in via generale, ovvero tutte le volte in cui una diversa normativa (speciale) non preveda particolari condizioni alla sua applicazione.

Neppure dirimente sarebbe affermare che, così argomentando, si determinerebbe un inammissibile dualismo tra lavoratori pubblici e privati in merito all'art. 18, stante il fatto che, in una visione generale, le differenze sono molteplici ed in parte da ricollegarsi alle peculiarità del settore pubblico (basti solo pensare alle modalità di accesso che presuppongono un concorso ovvero, per il tema che ci occupa, alla circostanza che l'art. 18 si applica a prescindere dal numero dei dipendenti). Condivisibile è l'auspicio di uniformità, ma non è questo un compito che può essere (tacitamente) delegato all'interprete da parte di un legislatore troppo spesso inerte o ambiguo, trincerato dietro affermazioni di natura programmatica che oltre a creare innumerevoli problemi interpretativi continuano a dilazionare i tempi della trattazione di un problema (quello dell'unificazione del trattamento dei lavoratori pubblici e privati) oggi più che mai indifferibile.

Vale la pena di evidenziare, poi, che non appare decisiva in subiecta materia la citata sentenza della Corte di Cassazione

n. 24157/2015

, dato che la Suprema Corte, attraverso una succinta affermazione (“

dunque, è innegabile che il nuovo testo dell'art. 18 legge n. 300/70, come novellato dall'art. 1 legge n. 92/12, trovi applicazione

ratione temporis al licenziamento per cui e

̀ processo e ciò a prescindere dalle iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge cd. Fornero di cui parla l'impugnata sentenza”)

si limita solo a sfiorare i termini di una questione ben più complessa e non contribuisce, in funzione nomofilattica, ad arricchire i termini del dibattito e garantire l'uniforme interpretazione della norma.

Problema diverso è quello che attiene all'applicazione del rito speciale, del quale, anche se mai trattato nella pronuncia in commento, vale la pena di far cenno per ragioni di sistematicità. A differenza del profilo sostanziale di cui sopra, deve ritenersi che il “rito Fornero” sia applicabile anche al pubblico impiego. E, infatti, l'art. 1 comma 47 prevede espressamente che in nuovo rito si applichi “

alle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'

articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300

, e successive modificazioni” e, quindi, tale procedimento è l'unico ed esclusivo per tutte le ipotesi di illegittimità relative al vecchio o novellato testo dell'art. 18.

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