Il contratto di ricollocazione
28 Maggio 2015
L'art. 17 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22 disciplina il contratto di ricollocazione (da ora c.r.) come misura di politica attiva del lavoro (da ora PAL) finalizzata al riposizionamento della persona all'interno del mercato del lavoro. IL c.r. prevede, in particolare, la presa in carico della persona interessata da parte del soggetto accreditato per i servizi al lavoro, alla quale segue la definizione da parte di quest'ultimo di un piano di azione individuale di inserimento/reinserimento lavorativo, il bilancio delle competenze, l'eventuale formazione e l'accompagnamento intensivo al lavoro. Soggetti beneficiari
Il comma 2 dell'art. 17 dispone che sono soggetti beneficiari del c.r. tutte le persone in stato di disoccupazione a norma dell'art. 1, comma 2, lett. c), del D.Lgs. n. 21 aprile 2000, n. 181. Il c.r. è finanziato attraverso il Fondo per le politiche attive, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con d.m. del 14 novembre 2014, in base a quanto disposto dall' art. 1 È chiaro che le risorse non sono sufficienti a garantire alla platea dei possibili destinatari la possibilità il diritto alla ricollocazione. Per questa ragione è previsto che un contributo, in ordine al finanziamento, possa venire anche dalle Regioni che, a norma dell'art. 17, comma 1, possono non soltanto attuare ma, soprattutto, finanziare il c.r. con proprie risorse. A tal fine è necessario che le Regioni, nella programmazione e nella gestione delle PAL, decidano d'investire risorse in questa nuova misura di PAL. Ad oggi soltanto quattro regioni vi hanno provveduto: Lazio, Lombardia, Sardegna e Sicilia. Nelle suddette discipline regionali le platee dei destinatari sono assai differenziate. Sarebbe opportuno che il legislatore nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni in materia di PAL, ridisegnasse i confini entro i quali il c.r. possa diventare operativo sul piano nazionale.
Soggetti attuatori
L'art. 17 prevede che il soggetto ha diritto di ricevere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro sia dai servizi pubblici per il lavoro sia dai soggetti privati accreditati. Sembra che il legislatore abbia inteso promuovere un modello competitivo, nel quale i Centri per l'impiego competono sul mercato al pari di altri operatori accreditati. Questo modello prevede che tutte le funzioni siano svolte indifferentemente dai soggetti pubblici o dai soggetti privati trattati in modo paritetico nell'ambito di un sistema misto. Sul punto è bene ricordare che la L. n. 183/2014 prevede un principio di delega per la definizione dei criteri di accreditamento e autorizzazione dei soggetti che operano nel mercato del lavoro (art. 1, comma 4, lett. n) al fine di rafforzare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. L'esercizio della delega è auspicabile visto che la scrittura di criteri più semplici e omogenei di accreditamento può consentire l'armonizzazione tra i vari sistemi regionali e facilitare la plurilocalizzazione degli operatori privati.
Profilazione e Dote individuale di ricollocazione
Affinché il soggetto beneficiario possa usufruire del suddetto servizio è necessario che esso sia “profilato”, vale a dire che sia stabilito il suo profilo individuale di occupabilità. Dalla profilazione emerge l'indice di svantaggio del soggetto, al quale è attribuito un valore economico denominato “dote individuale di ricollocazione”. Il sistema ipotizzato dal legislatore sembra quello di attribuire direttamente alla persona beneficiaria una somma di denaro corrispondente al valore economico del servizio da spendere presso un soggetto accreditato da lui individuato liberamente. Il valore della dote varia in correlazione inversa con il grado di occupabilità, così risultando incentivato l'operatore a dedicare maggiore volume di assistenza alla persona che maggiormente ne ha bisogno. Attualmente la disciplina nazionale sulla profilazione è rinviata nell'attesa di un decreto che sarà emanato secondo i criteri della L. n. 183/2014 in materia di politiche attive per l'impiego. Anche su questo punto auspichiamo un rapido intervento del legislatore per evitare che le Regioni decidano in ordine sparso. In ogni caso, la dote può essere incassata soltanto a collocazione avvenuta secondo quanto verrà stabilito dal decreto emanato sulla base della L. n. 183/2014 in materia di PAL. È auspicabile che il suddetto decreto corregga l'attuale disposizione dell'art. 17, comma 5, stabilendo che una parte della dote individuale possa essere incassata a “processo”, vale a dire per le attività preparatorie necessarie a collocare la persona. Questa modifica è necessaria a evitare che i soggetti accreditati investano il loro tempo e le loro competenze soltanto sulle persone più facilmente collocabili disinteressandosi di coloro che dovessero risultare in posizione più svantaggiata; ma anche per evitare che l'operatore corretto venga penalizzato dall'eventuale abbandono o rifiuto del programma contrattuale da parte di un numero rilevante di persone assistite. Il contenuto del contratto
La L. n. 183/2014, all'art. 1 comma 4 lett. p,) propone una struttura negoziale del c.r. che vede come parte, oltre alla persona interessata, gli operatori accreditati. Dalla firma del c.r. nascono una serie di posizioni di diritto/dovere. Il soggetto in stato di disoccupazione ha diritto a essere preso in carico dall'ente accreditato e ad avere un'assistenza intensiva nella ricerca di una occupazione. Nel contempo egli ha il dovere di attivarsi e di partecipare alle iniziative proposte dal soggetto accreditato. Egli inoltre ha il diritto-dovere di seguire tutte le indicazioni fornite dal soggetto accreditato mirate a favorire la propria ricollocazione. Va sottolineato che la riqualificazione professionale e gli sbocchi occupazionali offerti alla persona che ha stipulato il c.r. devono essere coerenti con “il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro” (art. 17, comma 4, lett. c). Questa proposizione normativa, di chiara rottura rispetto al passato, aiuta a costruire la congruità dell'offerta di lavoro non più sulla base delle esclusive esigenze della persona quanto sulle potenzialità del mercato del lavoro locale.
Il comma 6 della disposizione in esame stabilisce tre ipotesi di decadenza dalla dote individuale: 1) quando il soggetto non si faccia parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato e non partecipi alle iniziative programmate dal soggetto accreditato mirate alla ricerca, addestramento e riqualificazione professionale; 2) nel caso in cui il soggetto rifiuti senza giustificato motivo una congrua offerta di lavoro a norma dell'art. 4, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 181/2000 pervenuta in seguito all'attività di accompagnamento attivo al lavoro; 3) se il soggetto perde lo stato di disoccupazione. Come si vede il c.r. è del tutto scollegato dalle politiche passive e dal principio di condizionalità disciplinato dall'art. 7 del D.Lgs. n. 22/2015. Il legislatore, infatti, non ha legato il c.r. alla Naspi (art. 7) o alla ASDI (art. 16) anche se la norma sulla condizionalità stabilisce un collegamento tra la NASPI e la regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa; mentre l'ASDI è condizionata alla diponibilità della persona a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione nonché alla accettazione di adeguate proposte di lavoro. È auspicabile che il legislatore provveda al più presto a individuare i casi in cui il rifiuto di una offerta di lavoro o la mancata partecipazione alle misure di attivazione proposte dall'operatore accreditato per i servizi specialistici per il lavoro, comportino la perdita di sussidi o indennità. Allo stato attuale della legislazione, il c.r. è una misura di PAL su base volontaria. Pertanto non vi è alcuna relazione tra il c.r. e le misure di sostegno del reddito erogate dall'ente previdenziale. Appare invece opportuno che, a regime (cioè quando il sistema sarà in grado di attivare tutti i c.r. necessari), i decreti attuativi della condizionalità, cui la norma dell'art. 7 del D.Lgs. n. 22/2015 rinvia, svincolino il c.r. dalla scelta del beneficiario, subordinando il sostegno al reddito alla stipulazione del c.r. Oltre alla condizionalità, un'altra criticità dell'istituto è costituita dal contenzioso che potrebbe derivare dalla decadenza dal c.r. per il caso di rifiuto ingiustificato di un'offerta da parte della persona. Sarebbe altresì auspicabile un chiarimento sulla nozione di “rifiuto senza giustificato motivo” richiamato nell'art. 17. Anche per questo profilo è necessario che il legislatore individui immediatamente i criteri per dirimere le controversie scaturenti dall'attuazione della condizionalità e della decadenza dal trattamento. Risultato occupazionale
Il legislatore non detta alcuna disposizione relativa alla definizione di risultato occupazionale. Il risultato atteso dal creditore, non è un risultato immediato e indipendente dalla collaborazione della persona interessata, ma è un risultato che può giungere soltanto se il soggetto che ha stipulato il c.r. stesso partecipa attivamente alle attività necessarie per il raggiungimento dello scopo. In altre parole, il risultato utile, cui il programma contrattuale è orientato, non è soltanto il prodotto dell'organizzazione propria del debitore, la cui capacità produttiva viene impegnata a favore del committente. Nel c.r. il risultato finale si raggiunge anche grazie alla condotta della persona interessata, che a tal fine s'impegna a osservare le indicazioni via via fornite dal tutor, alle quali con il contratto essa si è volontariamente assoggettata. Come abbiamo visto il compenso per il servizio reso dall'ente accreditato è condizionato al conseguimento del risultato pattuito. Durata
Il c.r. è un contratto a esecuzione continuativa. L'elemento della continuatività, tipicamente proprio di un contratto avente per oggetto una attività, ricorre quando la prestazione non sia meramente occasionale o istantanea ma sia invece destinata a protrarsi in un arco di tempo sufficientemente lungo. Nel caso del c.r. nulla è previsto riguardo alla sua durata. Infine, nella disciplina nazionale, nulla è previsto in relazione alle modalità di estinzione del c.r. per le ipotesi diverse dal raggiungimento del risultato soprattutto per il caso di inadempimento degli obblighi gravanti sull'operatore accreditato né per la risoluzione ante tempus del c.r. da parte della persona presa in carico dall'operatore.
In conclusione
La disciplina del c.r. è ancora inattuata. Le ragioni sono molteplici: prima tra tutte la difficoltà di conciliare le tendenze neo-centraliste che si sono già concretizzate con la modifica alla Camera del titolo V della Costituzione (e dunque dell'art. 117) con le competenze tutt'ora in capo alle regioni in materia di politiche attive del lavoro. A questo si aggiunga che la disciplina del c.r. non è idonea a entrare immediatamente in vigore: sono ben quattro i rinvii a fonti primarie o secondarie necessarie per implementarne la disciplina. Inoltre, il comma 1 dell'art. 17 conferisce alle Regioni la facoltà di attuare, e non solo di finanziare, il c.r. nell'ambito della loro competenza in materia di politiche attive del lavoro. A tal proposito si evidenzia che ad oggi, le Regioni che hanno attuato il c.r sono soltanto quattro (Lazio, Lombardia, Sardegna, Sicilia). L'art. 17 resta, dunque, una norma che rischia di rimanere sulla carta se il legislatore non interverrà a cambiarne la disciplina in relazione alla platea dei beneficiari, alle forme e alle fonti di finanziamento, alla disciplina dell'accreditamento degli operatori specializzati, alla profilazione, alle modalità di pagamento della dote, alla condizionalità. Infine resta sullo sfondo il tema della sussidiarietà: cosa succede se le Regioni, chiamate ad attuare la disciplina, preferiscono investire i propri danari in formazione professionale? Lo Stato è in grado di surrogarsi alle Regioni per rendere la ricollocazione un diritto?
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