Il "minimo vitale" non coincide con la "pensione minima"

29 Agosto 2014

Il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti, ben può stabilire una quota di pensione impignorabile superiore all'ammontare del trattamento minimo indicato dall'ente erogatore. Così la Cassazione con la sentenza 18225/2014.

L'ammontare della quota di pensione impignorabile, il c.d "minimo vitale" che assicura i mezzi adeguati alle esigenze di vita, non coincide necessariamente con l'importo di trattamento minimo indicato dallo stesso ente erogatore. Il giudice dell'esecuzione, infatti, chiamato a stabilirne l'entità, è libero, in considerazione degli elementi del caso, di individuare un "importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita".

Questo quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza del 26 agosto, n. 18225, in ossequio alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 506/2002 che ha cancellato l'impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dello Stato, consentendola solo più in forma parziale. A seguito dell'intervento della Consulta, che garantisce il minimo vitale e consente la pignorabilità della parte residua di pensione nei soli limiti del quinto, la Cassazione ha poi fornito importanti precisazioni sull'indagine circa l'entità di pensione necessaria per assicurare i mezzi adeguati alle esigenze di vita. Essa, in difetto di interventi del legislatore al riguardo, "è rimessa ... alla valutazione del giudice dell'esecuzione, ed è incensurabile in Cassazione se logicamente e congruamente motivata" (sent. 18755/2013). Nei fatti di causa, in assenza di parametri normativi specifici, l'importo fissato dal giudice (anche in considerazione del costo della vita) superiore a quello indicato dall'INPS, non è censurabile per la Corte.

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