Interruzione del termine di prescrizione dell’azione di impugnazione del licenziamento. Il mutamento d’indirizzo della Corte di Cassazione

Maddalena Ciccone
01 Settembre 2017

Il termine di prescrizione dell'azione di annullamento del licenziamento è validamente interrotto dal solo deposito del ricorso introduttivo del giudizio nella cancelleria del giudice adito, senza che, a tali fini, sia necessaria anche la notificazione dell'atto al datore di lavoro.
Massima

Il termine di prescrizione dell'azione di annullamento del licenziamento è validamente interrotto dal solo deposito del ricorso introduttivo del giudizio nella cancelleria del giudice adito, senza che, a tali fini, sia necessaria anche la notificazione dell'atto al datore di lavoro.

Il caso

Adito per l'impugnazione di un licenziamento, il giudice dichiarava prescritta l'azione di annullamento, essendo decorso il relativo termine alla data in cui il datore di lavoro aveva avuto conoscenza legale della domanda, cioè con la notifica del ricorso introduttivo del giudizio. La Corte d'Appello confermava la sentenza di primo grado. Il soccombente proponeva ricorso per Cassazione, invocando l'applicazione della medesima disciplina prevista per i lavoratori colpiti da infortunio e affetti da malattie professionali, i quali possono interrompere la prescrizione solo con la domanda giudiziale e non anche con ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore.

La questione

La Cassazione è chiamata a pronunciarsi sull'idoneità del deposito del ricorso introduttivo della controversia nella cancelleria del giudice adito - e non anche della sua notificazione - ad interrompere il termine di prescrizione dell'azione di impugnazione del licenziamento.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione muove dal costante orientamento secondo il quale l'azione di annullamento del licenziamento, come tutte le azioni costitutive, consiste in un diritto potestativo, a fronte del quale la posizione del soggetto passivo è di mera soggezione. Questi non è tenuto ad alcuna prestazione – essendo irrilevante ogni suo comportamento ai fini della realizzazione del diritto – ma deve soltanto subire gli effetti dell'eventuale sentenza di accoglimento che fa venire meno il rapporto (ex multis, Cass. sez. lav., 21 dicembre 2010, n. 25861).

Ne discende che, una volta osservato il termine di decadenza di sessanta giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, la successiva azione di annullamento può essere proposta nel termine quinquennale di prescrizione, ex art. 1442 c.c., il quale può essere utilmente interrotto soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 2016, n. 8418) e non anche dal compimento di attività diverse, come la costituzione in mora (Cass., sez. lav., 13 dicembre 2005, n. 27428), ovvero il tentativo di conciliazione stragiudiziale (Cass. sez. lav., 1 dicembre 2016, n. 24675).

La possibilità di interrompere il corso della prescrizione esclusivamente mediante l'atto di esercizio dell'azione è il punto di partenza della giurisprudenza, fino ad ora consolidata, secondo la quale, nel rito del lavoro, l'effetto interruttivo non si produce con il deposito del ricorso, ma con la notifica dell'atto introduttivo al convenuto (ex multis, Cass. civ., sez. VI, 13 ottobre 2015, n. 20586; Cass. sez. lav., 11 giugno 2009, n. 13588).

La Suprema Corte si discosta da tale impostazione, sulla base delle argomentazioni svolte da Corte Cost. 23 maggio 1986, n. 129. In tale occasione, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la norma che, in tema di prestazioni assicurative erogate dall'INAIL (art. 112, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), non prevedeva che la prescrizione fosse interrotta a far data dal deposito del ricorso introduttivo della controversia. Ciò sulla base del fatto che il rito speciale del lavoro, nel separare l'instaurazione del giudizio dalla vocatio in ius e nel subordinare la notifica del ricorso introduttivo al convenuto all'emanazione del decreto di fissazione dell'udienza di discussione, vieta di addossare all'infortunato sul lavoro e all'affetto da malattia professionale i tempi dell'emanazione di tale decreto, in difetto del quale non si può effettuare la vocatio in ius.

La Cassazione ritiene di dover estendere tali conclusioni anche al caso di azione di annullamento del licenziamento, poiché appare egualmente ragionevole non far ricadere sul soggetto che agisce in giudizio i tempi di emanazione del decreto di fissazione dell'udienza di discussione, essendo identico, in entrambe le ipotesi, il rischio di una compressione del termine che il legislatore ha assegnato per l'esercizio del diritto.

La sentenza richiama, inoltre, le considerazioni espresse da Cass. SU, 9 dicembre 2015, n. 24822, laddove estende il principio di scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario – sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali – anche agli effetti sostanziali degli atti processuali, ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall'atto di esercizio del diritto, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l'atto perviene all'indirizzo del destinatario.

In particolare, la Cassazione ritiene che anche nella fattispecie sottoposta al suo esame vi sia un'esigenza di bilanciamento tra la necessità di salvaguardare il diritto di difesa nel giudizio e l'interesse del destinatario alla certezza del diritto, ossia a conoscere se la prescrizione sia stata tempestivamente interrotta e il rapporto definito, la cui preminenza appare, tuttavia, irragionevole, posto che la prima trova «il proprio punto di riferimento nel diritto di agire in giudizio per la tutela del proprio diritto (art. 24 Cost.), mentre il secondo, che è espressione del principio di certezza dei rapporti giuridici, ammette, senza detrimento, che la presa d'atto di un approdo conflittuale del rapporto pendente possa intervenire anche con un qualche ritardo».

Osservazioni

La sentenza in epigrafe apre un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione se, ai sensi dell'art. 2943 c.c., nel rito del lavoro la prescrizione si interrompa già al momento del deposito del ricorso introduttivo della controversia nella cancelleria del giudice adito, ovvero solo dal momento della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione al convenuto.

Tale contrasto riproduce quello insorto nell'ambito del giudizio ordinario, avente ad oggetto l'idoneità della consegna dell'atto introduttivo del giudizio all'ufficiale giudiziario ai fini della notificazione a produrre l'effetto interruttivo della prescrizione. Alla tesi affermativa si contrapponeva, infatti, quella secondo cui l'effetto interruttivo si produceva solo nel momento in cui il destinatario acquisiva la legale conoscenza dell'atto.

Punto di partenza è l'indirizzo avviato da Corte Cost. 26 novembre 2002, n. 477, seguito da Corte Cost. 23 gennaio 2004, n. 28, secondo la quale, nel procedimento di notificazione di un atto, un termine pendente è da considerarsi osservato da parte del notificante fin dal momento in cui l'atto è consegnato all'ufficiale giudiziario. Questa regola è stata poi tradotta in legge nel 3° comma che la L. 28 dicembre 2005, n. 263 ha aggiunto all'art. 149 c.p.c.: «La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all'ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell'atto». La norma non distingue tra termini processuali e termini sostanziali, come appunto la prescrizione.

L'orientamento prevalente escludeva che tale principio si applicasse al termine di prescrizione, affermando che l'effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell'atto giudiziale o stragiudiziale del creditore (Cass. sez. lav., 24 giugno 2009, n. 14862). Questa tesi argomenta dalle norme di diritto civile sugli atti recettizi, secondo le quali le dichiarazioni dirette ad una persona determinata producono effetto dal momento in cui esse pervengono nella sfera di conoscibilità del destinatario (artt. 1334 ss. c.c.). Si replicava, tuttavia, che, sebbene l'effetto interruttivo della prescrizione sia indubbiamente collegato al perfezionamento del procedimento di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, tale effetto, al pari dell'impedimento della decadenza, dovesse essere provvisoriamente anticipato al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, poiché, secondo la Corte costituzionale, la tutela del diritto di agire e di difendersi in giudizio impone di neutralizzare il rischio di addebitare al notificante diligente l'esito intempestivo del procedimento di notificazione, che, dopo la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, è sottratto al suo controllo. Sul punto, Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2009, n. 18399, nonché, implicitamente, Cass. sez. lav., 27 giugno 2008, n. 17644.

La questione è stata risolta da Cass. SU, 9 dicembre 2015, n. 24822, la quale offre utili spunti anche per la risoluzione del contrasto aperto dalla sentenza che si annota.

Le Sezioni Unite, prendendo le mosse da Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477, ritengono che il vero parametro di costituzionalità della citata pronuncia sia rappresentato, più che dalla tutela del diritto di difesa, dal principio di ragionevolezza «che ha una potenzialità espansiva, sul piano interpretativo, notevolmente superiore […] ed implica un bilanciamento dei beni in conflitto»; bilanciamento che «non consente una soluzione generalizzata per tutte le norme e tutti i casi», ma «porta a soluzioni opposte per gli atti sostanziali e per quelli processuali, stante l'opposta natura degli atti che vengono in rilievo: per quelli sostanziali (per i quali il bilanciamento è stato fatto, una volta per tutte, dal legislatore con l'art. 1334 c.c.) e quindi per gli atti negoziali unilaterali, il diritto non può dirsi esercitato se l'atto non perviene a conoscenza del destinatario; per gli atti processuali, il diritto è esercitato con la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario».

Se, ai sensi dell'art. 2934 c.c., il diritto si estingue per prescrizione quando non è esercitato, ne deriva che, ciò che vale ad impedire che la prescrizione maturi è proprio l'esercizio del diritto. Nel caso in cui il diritto debba essere esercitato dando inizio al giudizio (come nel caso delle azioni costitutive), tale attività è, appunto, atto di esercizio del diritto e ciò che rileva è che l'avente diritto abbia compiuto gli atti necessari per iniziarlo, non che nel termine di prescrizione l'obbligato ne venga a conoscenza. Ciò vuol dire che, per impedire il maturarsi della prescrizione, è necessario e sufficiente che il diritto sia stato esercitato nel termine, trattandosi di un fatto oggettivo, che non dipende dalla conoscenza che l'obbligato ne abbia. Il completamento del procedimento di notificazione, poi, mette il convenuto nella condizione di verificare se la prescrizione sia o no maturata.

Tale soluzione applica la tecnica interpretativa del bilanciamento ed appare del tutto ragionevole. Ed invero, la conclusione opposta in cui il notificante subisce un danno senza colpa (determinato da fattori non controllabili, quali il carico di lavoro dell'ufficio giudiziario adito e la sollecitudine nel completamento della sequenza procedimentale attraverso l'emanazione del decreto di fissazione dell'udienza), mentre il notificato gode di un vantaggio senza merito, porta ad allocare la perdita sulla parte incolpevole e il guadagno sulla parte immeritevole.

La soluzione più ponderata si rinviene, invece, proprio applicando la tecnica del bilanciamento,la quale impone di non allocare sul notificante incolpevole la perdita definitiva del diritto quando basterebbe imporre al notificato il lieve peso di un onere di attesa, dettato dal principio di precauzione. Entrambe le parti sono incolpevoli, ma nel bilanciamento tra la perdita definitiva del diritto per una parte e un lucro indebito per l'altra parte, la soluzione più razionale è quella di salvaguardare il diritto della prima ponendo a carico dell'altra parte una situazione di attesa che, comunque, non pregiudica la sua sfera giuridica.

In conclusione, quando il diritto non si può far valere se non con un atto processuale, appare conseguenza obbligata che la prescrizione si interrompa con l'atto di esercizio del diritto, ossia, nel caso di specie, col deposito del ricorso introduttivo del giudizio nella cancelleria del giudice adito.

Guida all'approfondimento
  • R. Caponi, Sul perfezionamento della notificazione nel processo civile (e su qualche disattenzione della Corte costituzionale), in Foro it., 2004, I, 645.
  • R. Caponi, Interruzione della prescrizione con la consegna della citazione all'ufficiale giudiziario (e retroattività della sanatoria), in Foro it., 2005, I, 1278.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario