Tra potere di controllo e diritto alla riservatezza: un equilibrio dinamico

29 Ottobre 2015

Il lavoro si propone, da un lato, di delineare brevemente il quadro di riferimento, tra legge e giurisprudenza, su cui sono andate ad inserirsi le modifiche introdotte dal Jobs Act in materia di controllo dei lavoratori da parte del datore di lavoro (art. 23 D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151), dall'altro, di svolgere alcune considerazioni circa le possibili conseguenze dell'intervento legislativo in ordine al diritto alla riservatezza del lavoratore, del pari riconosciuto e tutelato dall'ordinamento.
Abstract

Questo intervento si propone, da un lato, di delineare brevemente il quadro di riferimento, tra legge e giurisprudenza, su cui sono andate ad inserirsi le modifiche introdotte dal Jobs Act in materia di controllo dei lavoratori da parte del datore di lavoro (art. 23 D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151), dall'altro, di svolgere alcune considerazioni circa le possibili conseguenze dell'intervento legislativo in ordine al diritto alla riservatezza del lavoratore, del pari riconosciuto e tutelato dall'ordinamento.

Il potere di controllo e le sue fonti

Nell'ambito del potere direttivo del datore di lavoro – che è definito dall'art. 2086 c.c. come “capo dell'impresa” - oltre alla facoltà di impartire le disposizioni necessarie per la corretta esecuzione del lavoro, è compreso il potere/dovere di adottare le più opportune forme di controllo della prestazione lavorativa resa dai dipendenti. Ciò, sia in riferimento all'attività lavorativa propria, nel senso del potere di verificare che il lavoro sia eseguito con la prescritta diligenza e secondo le direttive impartite (art. 2104, 1 e 2 comma c.c.), sia in riferimento alla salvaguardia del patrimonio aziendale (ad esempio, difendendolo da furti o danneggiamenti; pretendendo il corretto utilizzo degli strumenti aziendali e così via). Dal potere di direttivo, attraverso il potere di controllo, discende anche – quando giustificato – il potere disciplinare (art. 2106 c.c.).

L'esercizio del potere di controllo deve, però, avvenire nel rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore e ciò impone di trovare un equo contemperamento degli opposti interessi.

Le fonti in materia di controllo si trovano a partire dalla Costituzione (ad esempio, artt. 2, 15, 41) e, come accennato, dal Codice civile (artt. 2086 e 2104 c.c.), che sancisce la supremazia gerarchica del datore di lavoro, legittimato ad esercitare il suo potere nel rispetto dei generali principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). A ciò si aggiungono le disposizioni dello Statuto dei Lavoratori - in particolare gli artt. 2, 3 e 4 L. n. 300/1970 - i regolamenti di autorità quale il Garante della Privacy e specifiche norme della contrattazione collettiva.

Lo Statuto dei Lavoratori - art. 4

La legge n. 300/1970, in particolare, nel Titolo I rubricato “Della libertà e della dignità del lavoratore”, riconosce sia il controllo avente ad oggetto la prestazione lavorativa, in sé considerata, che forme di controllo non direttamente attinenti all'obbligazione lavorativa, ma ad essa connesse.

La norma più nota e oggetto delle recenti modifiche è l'art. 4 che, sino ad oggi, vietava (letteralmente) “l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza” (comma 1).

Ove, però, tali impianti o apparecchiature fossero stati “richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza sul lavoro”, nel caso in cui dal loro utilizzo potesse derivare anche un “controllo a distanza” dei lavoratori, l'art. 4, secondo comma, prevedeva che, per l'installazione, fosse necessario un previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali (o con la commissione interna) o, in mancanza, una autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro della provincia nella quale era ubicata la singola unità produttiva, secondo la procedura stabilita dal D.P.C.M. 22 dicembre 2010 n. 275 (semplificata con nota Min. Lav. n. 7162/2012 per l'installazione di impianti di videocontrollo in alcune tipologie di esercizi commerciali quali, ad esempio, le Banche); prima di provvedere all'installazione era comunque necessario ottenere l'autorizzazione del Garante Privacy, Provv. 8 aprile 2010.

Ciò in quanto, come da tempo affermato dalla Suprema Corte, l'art. 4 Statuto dei Lavoratorifa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera della persona, si ritengono lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore (Cass. 17 giugno 2000, n. 8250), sul presupposto - espressamente precisato dalla relazione ministeriale – che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione umana e, cioè, non esasperata dall'uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro (Cass. n. 8250/2000, cit., principi poi ribaditi da Cass. 17 luglio 2007, n. 15892 e da Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722)” (così, Cass. 10955/2015).

La portata della norma in esame, interessata dalla recentissima modifica, è strettamente legata al concetto di tecnologia, peraltro richiamato dalla Suprema Corte.

L'originaria formulazione dell'art. 4 L.n. 300/1970, infatti, faceva riferimento sia ad “impianti audiovisivi”, che ad “altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza”, impianti ed apparecchiature che, nel corso del tempo, dagli anni Settanta ad oggi, hanno seguito le innovazioni tecnologiche ed hanno imposto alla giurisprudenza di adeguare il campo di applicazione del divieto alle nuove forme di c.d. controllo a distanza.

L'evoluzione della tecnologia, infatti, ha ampliato - da un lato - il concetto di “impianti audiovisivi”, facendovi rientrare tutti i macchinari che consentono di acquisire una conoscenza diretta dell'attività dei lavoratori; dall'altro, quello di “altre apparecchiature”, potendosi senz'altro ricomprendere i moderni strumenti di lavoro, che, in modi diversi, consentono un c.d. controllo a distanza del lavoratore (dalla registrazione dell'attività lavorativa – cfr. Trib. Milano 11 aprile 2005, in Riv. crit. dir. Lav. 2005, 386; al monitoraggio della posta elettronica e degli accessi ad internet, se consentono in via continuativa il controllo - cfr. Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Riv. it. dir. lav. 2010, 3, II, 564; dai GPS, ai telefoni cellulari e a tutti gli strumenti dotati di sistemi di geolocalizzazione, quando è possibile memorizzare la posizione del dipendente; dai centralini telefonici a tutti i programmi che monitorano l'attività e l'operatività di produzione, compresa, secondo alcune corti di merito, l'adozione del tesserino magnetico badge – cfr. Trib. Napoli 29 settembre 2010 in Riv. it. dir. lav. 2011, II, 31).

Ne è derivata, stante la formulazione della norma, una sostanziale impossibilità di utilizzare i dati relativi alla prestazione lavorativa raccolti attraverso i predetti strumenti, nel senso di escluderne la rilevanza probatoria, sia ai fini disciplinari che risarcitori (cfr., ad esempio, Cass. n. 4375/2010, cit.).

Per altro profilo, l'utilizzo di tali dati è stato talvolta inteso dalla giurisprudenza come un comportamento integrante una condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 L.n. 300/1970 (cfr. Trib. Bergamo 13 marzo 2009, in Il civilista 2011, 1, 79; Trib. Milano 18 maggio 2006 in Lav. giur. 2007, 1, 93; Cass. 16 settembre 1997 n. 9211 in Dir. lav. 1998, II, 137), quando non sussumibile in una condotta penalmente rilevante (cfr. Cass. Pen.

4331/2012

, contra Cass. Pen. n. 22611/2012).

L'eccezione al generale divieto di utilizzo dei dati così raccolti è stata, sino ad oggi, rappresentata dai c.d. controlli difensivi, ovvero quei controlli esercitati non già per verificare la prestazione lavorativa del dipendente, ma finalizzati alla tutela dei beni aziendali, con l'unico obiettivo, cioè, di accertare condotte illecite (cfr. ad esempio, Cass. n.15892/2007 in Riv. Crit. dir. lav., 2007, 4, 1202). Proprio la finalità del controllo, come sopra delineata, ha consentito di escludere la riconducibilità di quest'ultimo alla previsione (e ai limiti) dell'art. 4 L.n. 300/1970.

La giurisprudenza in questo senso è molto ampia ed articolata (tra le molte, in punto di rilevamento delle telefonate, cfr. Cass. n. 16622/2012, o di controllo della posta elettronica, cfr. Cass. n. 2722/2012; o, ancora, di utilizzo di agenzie investigative, cfr. Cass. n. 3590/2011, o di pedinamenti, cfr. Cass. n. 3039/2002 in Riv. it. dir. lav. 2002, I, 873).

Anche di recente, il Supremo Collegio, con sentenza n. 10955/2015 (c.d. caso Facebook), si è espresso nel senso di riconoscere la legittimità del controllo relativamente ad una fattispecie in cui era stato creato dal responsabile delle Risorse Umane della società un falso profilo di donna facebook “con richiesta di amicizia” al dipendente in questione; lo stesso aveva poi “chattato” con il fake in orari che erano risultati di lavoro e da una posizione poi localizzata presso la zona industriale, sede dello stabilimento. La Corte, per quanto qui rileva, ha respinto il motivo di ricorso proposto dal lavoratore per “violazione e falsa applicazione della L.n. 300 del 1970, art. 4; della L.n. 300 del 1970, art. 18 comma 4 e dell'art. 1175 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essersi dichiarato inutilizzabile il controllo a distanza operato sul lavoratore senza la preventiva ed indispensabile autorizzazione”, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese, ribaditi tutti i principi sopra esposti e i propri precedenti in tema di “bilanciamento” degli interessi in gioco.

Il potere di controllo ed il Garante per la protezione dei dati personali

Nell'ambito dei controlli si inserisce anche la complessa tematica del trattamento dei dati personali, in considerazione della grande quantità di dati che vengono acquisiti soprattutto attraverso i sistemi di video videosorveglianza, su cui è intervenuto il Garante per la protezione dei dati personali sia attraverso le norme contenute nel c.d. Codice della privacy (

D.L. n. 196/2003

), che attraverso specifici Provvedimenti.

Di seguito si ricordano i principali.

Il punto di partenza è rappresentato dall'art. 114 del d.lgs. n. 196/2003 che richiama l'art. 4 Statuto dei Lavoratori in particolare in tema di video sorveglianza, che deve realizzarsi nel rispetto dei principi di liceità, necessità, proporzionalità e finalità. Si legge, infatti, al citato art. 114 che “resta fermo” quanto disposto dall'art. 4 della legge 20 maggio 1970 n. 300.

Su questa base sono state, poi, emanate le linee guida per una corretta installazione dei dispositivi di videosorveglianza, nel rispetto del principio di proporzionalità tra mezzi impiegati e fini perseguiti (Provvedimento 29 novembre 2000).

È, quindi, seguito un provvedimento generale sulla videosorveglianza, con l'espresso divieto di controllo a distanza sull'attività lavorativa e l'indicazione delle garanzie previste in materia di lavoro, nei casi in cui il controllo sia richiesto da esigenze organizzative, produttive o di sicurezza (Provvedimento 29 aprile 2004, doc.web n. 1003482).

Nel 2010 la disciplina è stata rivista, con l'introduzione di precise garanzie in ordine alla raccolta e al trattamento dei dati ottenuti dai sistemi di videosorveglianza; con specifico riferimento ai rapporti di lavoro, il Garante ha specificato che lo scopo delle riprese non può essere quello “di verificare l'osservanza dei doveri di diligenza” in materia di rapporti di orario di lavoro e di diligenza nell'esercizio della prestazione lavorativa (Provvedimento 8 aprile 2010, doc. web n. 1712680).

Il Garante si è espresso anche in riferimento al sistema di videosorveglianza di un esercizio commerciale provvisto di telecamere che inquadravano anche il sistema di rilevazione degli accessi dei dipendenti consentendone il controllo a distanza e ne ha stabilito il blocco (Provvedimento 17 gennaio 2013, doc.web n. 2291893).

Da ultimo, il Garante si è pronunciato in merito alle c.d. nuove tecnologie, su richiesta di due società, intenzionate a dotare i propri dipendenti di smartphone con sistema di localizzazione geografica. L'attivazione del suddetto sistema è stata ritenuta valida in quanto dettata da esigenze organizzative, produttive e di sicurezza e non già per finalità di controllo, atteso che era stato previsto un correlato sistema di garanzie circa il trattamento dei dati, quali ad esempio l'informativa ai dipendenti interessati, l'esclusione della tracciabilità continua e della archiviazione delle rilevazioni (Provvedimenti 3 novembre 2014 doc.web n. 3474069 e n. 3505371).

La nuova disciplina dei controlli a distanza

La nuova disciplina dei controlli a distanza è contenuta nell'art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, pubblicato in GU n. 221 del 23 settembre 2015 – Suppl. Ordinario n. 53 ed è in vigore dal 24 settembre 2015.

Nella Relazione Illustrativa allo Schema di Decreto n. 176/2015, trasmesso al Presidente del Senato per il parere delle Commissioni Parlamentari, si legge che le principali novità consistono (i) nell'attribuire la competenza per la definizione degli accordi sindacali per l'installazione degli impianti audiovisivi e di tutti gli altri strumenti da cui possa derivare un c.d. controllo a distanza dei lavoratori - nel caso in cui l'impresa abbia unità produttive site in diverse province della stessa o di più regioni - non più alle RSA o RSU, ma alle “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e, in difetto di accordo, al Ministero del Lavoro (comma 1); (ii) nel prevedere espressamente che “per l'assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore” non siano necessari né l'accordo sindacale, né l'autorizzazione ministeriale (comma 2); (iii) nel consentire l'utilizzazione dei dati che derivano dagli impianti audiovisivi e dagli altri potenziali strumenti di controllo “per ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d'uso degli strumenti e l'effettuazione dei controlli, nel rispetto del Codice privacy”.

Nella sostanza, la novella consente la possibilità dei controlli a distanza attraverso sia i (tradizionali) impianti audiovisivi, che attraverso altri strumenti (di lavoro) a ciò potenzialmente idonei, nel caso in cui lo richiedano esigenze organizzative, produttive, di sicurezza e di tutela del patrimonio aziendale e a condizione che detti impianti siano preventivamente autorizzati.

La novità è intervenuta con riferimento agli strumenti (di lavoro) che potenzialmente consentono un controllo a distanza, in quanto la prescritta autorizzazione non è richiesta per quelli che vengono utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (tra cui, pc, tablet, smartphone, gps, etc), oltre che per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

È, inoltre, legittimo l'utilizzo – riferito ora “a tutti i fini connessi con il rapporto di lavoro” - dei dati raccolti con gli strumenti di cui sopra, a condizione venga fornita una adeguata informativa al lavoratore (mentre, sino ad oggi, la procedura autorizzativa è stata ritenuta necessaria anche quando il lavoratore fosse soggettivamente consapevole dell'esistenza e del funzionamento di una apparecchiatura destinata alla produzione ma atta a consentire il controllo a distanza - ad esempio, Cassazione n. 4375/2010, cit.)

e, comunque sempre, nel rispetto delle norme a tutela della privacy.

In ordine agli “strumenti” di lavoro, è già intervenuto il Ministero del Lavoro con nota del 18 giugno 2015, nel senso che “non possono essere considerati (strumenti di controllo a distanza) gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore (per rendere la prestazione lavorativa), una volta si sarebbero chiamati gli attrezzi di lavoro, come pc, tablet e cellulari”.

La circolare specifica anche che l'accordo sindacale o l'autorizzazione ministeriale non servono finché lo strumento di lavoro resta un mezzo che serve al lavoratore per rendere la prestazione; nel caso in cui quello strumento venga modificato, ad esempio tramite l'installazione di un software di localizzazione, ritorna in essere la necessità di rispettare i presupposti richiesti (esigenze specifiche ed autorizzazione).

In conclusione

Il nuovo testo dell'art. 4 L.n. 300/1970, ora rubricato “Impianti audiovisivi ed altri strumenti di controllo”, si inserisce nel quadro di riferimento sopra delineato, con l'obiettivo – da un lato - di recepire l'evoluzione giurisprudenziale, che è andata di pari passo con i progressi tecnologici e metodologici a proposito di strumenti di lavoro, d'altro lato, di garantire la salvaguardia dei principi fondamentali di dignità e riservatezza del lavoratore.

In altri termini, resta la necessità che gli impianti audiovisivi e “gli altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori” vengano utilizzati esclusivamente per esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro o del patrimonio aziendale e previo accordo sindacale ma – e qui sta la prima importante novità -, non sono soggetti alla preventiva autorizzazione quegli strumenti utilizzati per svolgere l'attività richiesta al prestatore di lavoro (pc, tablet, gps, smartphone) che pure consentono il controllo della prestazione lavorativa. Sarà, però, necessario – nel rispetto dei diritti del lavoratore – che venga data adeguata informazione circa le modalità di uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli.

Una seconda importante novità sta nel fatto che, ora, i dati raccolti attraverso sia gli impianti audiovisivi, sia gli altri strumenti autorizzati - o anche non autorizzati, se si tratta di strumenti necessari allo svolgimento della prestazione - potranno essere utilizzati “a tutti i fini connessi con il rapporto di lavoro”, quindi, a differenza di quanto accadeva prima, anche a fini disciplinari, risarcitori, a tutela del patrimonio aziendale, etc.

Pare, quindi, destinata a restare assorbita la categoria dei c.d. controlli difensivi, fatta eccezione – almeno in teoria – per ipotesi residuali, nelle quali vengano utilizzati dal datore di lavoro strumenti diversi dagli impianti audiovisivi, che consentono il controllo a distanza, ma che non siano stati autorizzati e non siano strumenti direttamente utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione, come potrebbe essere un gps montato sulla macchina aziendale di un impiegato che non usi la macchina per lavoro, quando non sia stato autorizzato. In questo caso, sarebbe illegittimo utilizzare i dati raccolti per una contestazione disciplinare, a meno che non si trattasse di una ipotesi di c.d. controllo difensivo.

Per altro profilo, visto anche l'espresso richiamo del nuovo art. 4, ultimo comma, c'è da attendersi che l'attenzione si concentri sempre più sul rispetto delle disposizioni del Garante della privacy, atteso che le stesse rappresentano un possibile strumento per guidare il corretto utilizzo dei dati raccolti e tutelare, così, il diritto alla riservatezza del lavoratore.

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