Scarso rendimento e eccessiva morbilità: gli ultimi approdi giurisprudenziali
Valerio Berti
12 Novembre 2015
Il presente focus prova a fare chiarezza sulle tematiche dello scarso rendimento e dell'eccessiva morbilità, dando conto degli ultimi orientamenti giurisprudenziali e delle possibili evoluzioni in materia. La confusione che circonda la tematica dello scarso rendimento trova la sua origine e fine nella disputa circa la sua natura disciplinare (che quindi si fondi sulla colpa del lavoratore) ovvero oggettiva (legata quindi a disfunzioni dell'attività produttiva e dell'organizzazione del lavoro). Il rischio di soccombenza nelle cause di licenziamento per scarso rendimento è ancora oggi molto elevato, sia per la difficoltà di una prova a supporto dei fatti su cui il recesso si fonda, sia anche per il rischio di scontrarsi con Giudici che ritengono il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo per scarso rendimento di natura “ontologicamente disciplinare” e, come tale, invalido in quanto privo della preventiva contestazione degli addebiti nei confronti del lavoratore.
Premessa
Gli ultimi interventi giurisprudenziali ad opera della Suprema Corte di Cassazione nonché della Corte d'Appello di L'Aquila e del Tribunale di Milano offrono spunti di notevole interesse per riesaminare due dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro: lo scarso rendimento e l'eccessiva morbilità. Entrambe le fattispecie devono essere inquadrate in un contesto più ampio, che miri a riportare al centro del dibattito il contratto a tempo indeterminato apportando però al sistema complessivo maggiore flessibilità, anche nell'ottica di aumentare la produttività dell'impresa e dei lavoratori che la compongono.
Lo scarso rendimento e l'eccessiva morbilità sono quindi posti, oggi più che mai, sotto una nuova lente di osservazione, proprio perché essi appaiono due delle possibili leve attraverso cui le imprese possono riuscire ad ottenere incrementi di produttività e a recuperare il rendimento dei singoli lavoratori. Difatti un dato quasi scontato che si è sinora rilevato risiede nel maggiore rendimento che lavoratori con contratto temporaneo registrano rispetto a lavoratori a tempo indeterminato. Discorso analogo vale per le assenze a titolo di malattia, molto più evidenti laddove il lavoratore gode di una stabilità anche sotto un profilo temporale del rapporto di lavoro.
È fortemente avvertita quindi la necessità di dotare il datore di lavoro di strumenti per verificare il corretto adempimento della prestazione lavorativa anche in termini di rendimento, nonché di monitorare la tutela in costanza di malattia punendone gli abusi.
Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali sembrano proprio andare in questa direzione; dotare il datore di lavoro di strumenti di accertamento sia in termini di rendimento sia di abuso della tutela in caso di malattia.
La diversità o la sovrapposizione delle due fattispecie qui analizzate non è una questione di poco conto.
La decisione della Suprema Corte n. 18678 e l'Ordinanza conforme del Tribunale di Milano depositata il 16 gennaio 2015
Con decisione 4 settembre 2014, n. 18678 la Suprema Corte, modificando l'orientamento precedente, afferma che lo scarso rendimento e l'eccessiva morbilità possono essere ricondotti anche nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il richiamo allo scarso rendimento potrebbe quindi essere oggi riletto sotto un duplice profilo.
Un primo, di tipo soggettivo, laddove lo scarso rendimento venga relazionato ad un comportamento colpevole del lavoratore che ritardi l'adempimento della prestazione, così violando l'obbligo di diligenza su di esso gravante.
Come infatti ha chiarito la Sentenza in esame, “la diligenza postula anche una valutazione circa l'intensità della prestazione, intesa come celerità nell'esecuzione del lavoro; la soglia al di sotto della quale il lavoratore può considerarsi inadempiente è costituita dalle capacità del lavoratore medio addetto alla medesima attività. Deve pertanto ritenersi legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.
Una seconda possibile chiave di lettura dello scarso rendimento potrebbe invece condurre ad una valutazione di tipo oggettivo, che compari quindi la prestazione del singolo con quella della collettività e ne accerti la sensibile inadeguatezza, tale da causare una disfunzione “all'attività' produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”, come richiesto dall'art. 3 della legge 604/1966.
Analoghe considerazioni sono state svolte dalla Suprema Corte in tema di malattia, che resta senza alcun dubbio tutelata, ove genuina, dalle garanzie di rango costituzionale e legale già esistenti, ma che può rilevare sotto un profilo non solo disciplinare – come nel caso di malattia simulata – ma anche oggettivo, laddove la discontinuità della prestazione in ragione di malattie continuative, frazionate e imprevedibili, determini una notevole disfunzione organizzativa.
La sentenza in esame non riconduce infatti l'eccessiva morbilità all'art. 2110 cod civ. ma valuta la malattia sotto il profilo della quantità e della collocazione delle assenze che, seppure incolpevoli, creano una disfunzione nell'organizzazione dell'impresa tali da giustificare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Difatti le assenze per malattia del lavoratore, seppure non abbiano determinato il superamento del periodo di comporto, costituendo comunque un notevole ostacolo alla funzionalità dell'azienda, possono ben integrare un'ipotesi di giustificato motivo oggettivo di recesso (vedi Cass. 29 dicembre 1977, n. 5752. Nello stesso senso, Cass. 28 agosto 1979, n. 4707, nonchè Cass. 9 febbraio 1980, n. 897).
La sentenza ha quindi avuto il pregio, rielaborando precedenti oramai superati, di ampliare le maglie dello scarso rendimento e dell'eccessiva morbilità, estendendo entrambe le fattispecie al di là dei confini soggettivi e valorizzando il profilo dell'impresa, ossia la valutazione circa l'effettivo interesse alla prestazione da parte del datore di lavoro.
A seguito della pronuncia della Suprema Corte, era forte l'attenzione sulle possibili evoluzioni giurisprudenziali in tema di scarso rendimento e di eccessiva morbilità.
E così, sulla scia della pronuncia della Cassazione, è intervenuto il Tribunale di Milano con Ordinanza depositata il 19 gennaio 2015, recependo integralmente i principi enunciati dai Giudici del Palazzaccio.
Sostiene infatti il Tribunale nel corpo dell'Ordinanza quanto segue: “Nel caso in oggetto il licenziamento non è pertanto meramente fondato sulla durata dei periodi di malattia fruiti da lavoratore ma sullo scarso rendimento della prestazione da lui resa in rapporto alla compagine organizzativa resistente. Va del resto rilevato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ex. art. 3 L.n.604/1966, può essere intimato, per costante giurisprudenza, per fatti relativi “all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” concernenti, fra le varie ipotesi, anche fatti attinenti la sfera del lavoratore rilevanti sul contesto aziendale, come contestato nel caso di specie in cui i periodi di malattia goduti dal ricorrente – e le conseguenti assenze e relative modalità di comunicazione- avrebbero gravemente inciso, a detta del datore di lavoro, sul contesto e sull'organizzazione aziendale resistente”.
In altre parole, quantomeno leggendo l'Ordinanza resa dal Tribunale di Milano, sembrerebbe potersi concludere che l'eccessiva morbilità integri un'ipotesi dello scarso rendimento, venendo in quest'ultimo assorbita.
Su tale presupposto il Tribunale di Milano ha ritenuto che il disservizio causato dalle assenze del lavoratore potesse altresì configurare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Sulla scia di questa reinterpretazione anche in chiave oggettiva dello scarso rendimento e, quindi, dell'eccessiva morbilità, va segnalato un corollario non di poco conto. In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro è infatti tenuto ad attivare una procedura preventiva dinanzi alla D.T.L.; procedura che, per inverso, non è richiesta né è esperibile in caso di licenziamento disciplinare.
La scelta tra l'intimazione di un licenziamento supportato da un motivo oggettivo ovvero soggettivo deve essere quindi attentamente valutata, proprio al fine di non incorrere nelle conseguenze derivanti dall'accertamento dell'illegittimità del licenziamento dovuto ad un difetto di procedura.
Per affrontare con minor apprensione la predetta valutazione, soccorre parzialmente la natura meramente indennitaria della tutela conseguente ad un eventuale errore di procedura del licenziamento, con l'effetto che in nessun caso il lavoratore potrà richiedere la reintegrazione sulla scorta della mera irregolarità formale dell'atto di recesso intimato dal datore di lavoro.
Vero è comunque che la questione relativa alle conseguenze di un eventuale vizio procedurale non è stata neppure affrontata dal Tribunale di Milano, in quanto è stato ritenuto che la procedura preventiva avviata dal datore di lavoro dinanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro fosse perfettamente idonea a risolvere il rapporto e non potesse ritenersi in alcun modo affetta da vizi.
Tutto da rifare. Le pronunce della Suprema Corte del 9 luglio e del 5 agosto 2015.
Con la pronuncia del Tribunale di Milano si riteneva che l'orientamento favorevole ad una reinterpretazione anche in chiave oggettiva dello scarso rendimento e dell'eccessiva morbilità stessero effettivamente prendendo piede.
Inaspettatamente, la Suprema Corte, con due pronunce ravvicinate, è tornata ad affrontare in senso opposto al suo stesso precedente il tema, riconducendo entrambe le fattispecie, ancora una volta, nell'alveo del giustificato motivo soggettivo, non essendo il prestatore di lavoro subordinato legato ad un risultato da raggiungere.
Sostiene infatti la Suprema Corte nella pronuncia 9 luglio 2015, n. 14310, che “II licenziamento per cosiddetto "scarso rendimento", invero, costituisce un'ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento, prevista dagli art. 1453 e segg. cod. civ. 8. Si osserva infatti che, nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell'obbligazione di compiere un'opera o un servizio (lavoro autonomo). Ove tuttavia, siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione
A pochi giorni di distanza da tale decisione, è intervenuta la sentenza della Suprema Corte del 5 agosto 2015, n. 16472, che è nuovamente giunta ad escludere le ipotesi dello scarso rendimento e della eccessiva morbilità dall'alveo del giustificato motivo oggettivo ex art. 3 legge 604/1966.
La Corte ha infatti rilevato come “l'ipotesi dello scarso rendimento è diversa e separata da quella delle ripetute assenze per malattia, che possono - se del caso - riconnettersi alla diversa previsione di cui alla lett. b) dello stesso art. 27 ove determinino inabilità al servizio. […] Inoltre, mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa dei lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia.
E poiché è stato intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all'elevato numero di assenze, ma non tali da esaurire il periodo di comporto, il recesso in oggetto si rivela ingiustificato.
La contraria opinione (che sembra condivisa in un passaggio della motivazione di Cass. n. 18678/14, che però riguarda una fattispecie non coincidente con quella per cui oggi è processo) si pone in contrasto con l'ultratrentennale e sempre costante giurisprudenza di questa S.C. - cui va data continuità - che, a partire da Cass. S.U. n. 2072/80, ha sempre statuito che, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi dell'art. 3 legge n. 604/66, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all'uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità”.
Ad uno sguardo critico, si ritiene però che la sentenza in esame non possa ritenersi così scontata nei contenuti e nei principi enunciati in quanto, come in essa stessa ammesso, la fattispecie dell'esonero definitivo dal servizio degli agenti stabili dipendenti da aziende esercenti il pubblico servizio di trasporti in regime di concessione, non era affatto coincidente con quella a suo tempo dibattuta dalla Suprema Corte nella pronuncia 18678/2014.
Tale rilievo appare ulteriormente supportato dalla presenza, nella fattispecie affrontata dalla Cassazione ad agosto 2015, di una differenziazione già regolamentata tra scarso rendimento (art. 27 lett. d del regolamento all. A), al R.D. n. 148/31) e malattia (lett. b del medesimo articolo del regolamento), che di certo non agevola ed anzi ostacola una valutazione in via interpretativa di tali fattispecie da parte del Giudice.
Conclusioni e prospettive. L'Ordinanza del Tribunale di Milano del 19 settembre 2015
Lo scenario in tema di licenziamenti appare sempre più soggetto a riedizioni; a volte ad opera del Legislatore, che interviene drasticamente sulle norme modificando non poco l'impianto di tutela e di certezza delle conseguenze; a volte per mezzo della Giurisprudenza, che rielabora come nel caso in esame tematiche apparentemente sopite, rivitalizzandole e concedendo loro nuova linfa vitale.
Certo è che lo scarso rendimento e l'eccessiva morbilità appaiono oggigiorno sentieri non ancora adeguatamente esplorati, complice l'incertezza tra presupposti soggettivo e oggettivo dei rimedi esperibili e la conseguente incertezza degli effetti economici da sostenere in caso di soccombenza.
Eppure le leve dello scarso rendimento e dell'eccessiva morbilità sembrano oggi più che mai appassionanti, complice anche una giurisprudenza che lungi dal fossilizzarsi su interpretazioni già acquisite, stupisce e si smentisce continuamente. Basti pensare a una recente Ordinanza del Tribunale di Milano del 19 settembre 2015 che, in contrasto con il precedente ultimo della Suprema Corte, ha ritenuto corretto ricondurre (nuovamente) lo scarso rendimento della prestazione lavorativa causato da assenze per malattia nell'ambito del giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, legge 604/1966.
Il Tribunale di Milano ha precisato infatti che “secondo i principi recentemente espressi dalla Corte di Cassazione ciò che conta non è la colpevolezza/negligenza o meno del lavoratore, ma il fatto che le assenze, anche se incolpevoli, abbiano di fatto ed in modo oggettivo dato luogo ad un rendimento così scarso da non essere la prestazione utile per il datore di lavoro”.
Sulla scorta di tale principio, il Tribunale ha inoltre rimarcato che, per ritenere la prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte del datore di lavoro in ragione delle numerose assenze per malattia del dipendente, “è necessario che la prestazione non sia utilizzabile nei giorni di presenza del lavoratore: in altri termini la non utilizzabilità non deve essere valutata complessivamente - perché è evidente che un assenze pari sostanzialmente al 60% rendono la prestazione nel complesso scarsamente utile – ma nei giorni in cui essa viene effettuata. Parte resistente avrebbe cioè dovuto dedurre e provare che ciò che veniva fatto dal sig. (omissis) nei giorni di presenza era sostanzialmente inutile per l'azienda, per le sue caratteristiche”.
In assenza di tale prova, il Tribunale tuttavia ha escluso la possibilità per il lavoratore di essere reintegrato, applicando la sola disciplina risarcitoria dettata dall'art. 18, quinto comma, della L. n. 300/1970.
Sembra quindi che nulla in tema di scarso rendimento possa darsi per scontato e, anzi, novità sembrano sempre celarsi dietro l'angolo.
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Sommario
La decisione della Suprema Corte n. 18678 e l'Ordinanza conforme del Tribunale di Milano depositata il 16 gennaio 2015
Conclusioni e prospettive. L'Ordinanza del Tribunale di Milano del 19 settembre 2015