L’incentivazione alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a settant’anni dopo la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite

05 Novembre 2015

L'art. 24,comma 4, d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011 incentiva i lavoratori a prestare la propria attività fino al compimento dei settanta anni di età. Tale disposizione è al centro di un vivace dibattito dottrinale e di un elevato contenzioso giurisprudenziale in quanto solleva numerosi interrogativi sulle finalità degli incentivi, l'ambito di applicazione soggettivo e le modalità di esercizio, nonché sulle tutele in caso di licenziamento, comportando notevoli ripercussioni non solo sul sistema previdenziale, ma anche sulla corretta gestione dei rapporti di lavoro.
Abstract

L'art. 24, comma 4, d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011 incentiva i lavoratori a prestare la propria attività fino al compimento dei settanta anni di età. Tale disposizione è al centro di un vivace dibattito dottrinale e di un elevato contenzioso giurisprudenziale in quanto solleva numerosi interrogativi sulle finalità degli incentivi, l'ambito di applicazione soggettivo e le modalità di esercizio, nonché sulle tutele in caso di licenziamento, comportando notevoli ripercussioni non solo sul sistema previdenziale, ma anche sulla corretta gestione dei rapporti di lavoro. La recentissima pronuncia a sezioni unite della Corte di Cassazione (4 settembre 2015, n. 17589) offre l'occasione per chiarire alcuni aspetti e per introdurre nuovi interrogativi.

Finalità dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 201/2011

L'art. 24, comma 4, del c.d. Decreto Salva-Italia, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge n. 22 dicembre 2011, n. 214, introduce l'incentivazione alla prosecuzione dell'attività lavorativa fino a settant'anni di età.

La norma, inserita nella riforma pensionistica del Governo Monti, comporta non soltanto effetti sul sistema previdenziale, ma anche sulla gestione dei rapporti di lavoro, in quanto consente il superamento di una delle poche ipotesi di recesso ad nutum presenti nel nostro ordinamento, quella del lavoratore ultrasessantenne in possesso dei requisiti pensionistici (art. 4, comma 2, l. n. 108/90).

Fino al 31 dicembre 2011, infatti, il datore di lavoro poteva liberamente licenziare a norma dell'art. 2118 c.c. i dipendenti al compimento del sessantacinquesimo anno d'età, fermo restando il possesso dei requisiti contributivi minimi e il rispetto del meccanismo delle c.d. finestre di accesso (v. art. 6, comma 2bis, d.l. n. 248/2007, convertito in l. n. 31/2008).

L'art. 24 d.l. n. 201/2011 non solo allunga il termine dell'età massima lavorabile fino a settanta anni, adeguandola alle attuali aspettative di vita, ma introduce un meccanismo di incentivazione alla prosecuzione dell'attività lavorativa attraverso l'operatività dei coefficienti di trasformazione (v. art. 24, comma 16, d.l. n. 201/2011) fino al compimento dei settant'anni.

Non è la prima volta che il legislatore prevede la possibilità di lavorare oltre l'età pensionabile: già nel 1981 con l'art. 6 del d.l. n. 791, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, è stata introdotta la possibilità - per coloro che non hanno raggiunto l'anzianità massima di quaranta anni di contribuzione - di continuare a svolgere la prestazione lavorativa fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età. La finalità di tale norma è chiaramente diretta a garantire il miglioramento dell'anzianità contributiva per i dipendenti che non abbiano ancora raggiunto il tetto massimo previsto.

Qualche anno più tardi, l'art. 6 legge n. 407/90 introduce la possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro fino ai sessantadue anni di età anche per coloro che abbiano già maturato la massima anzianità contributiva: in tale ipotesi i lavoratori hanno diritto a una maggiorazione del trattamento pensionistico.

Gli obiettivi perseguiti dall'art. 24 in esame sono, invece, diversi, come indicato espressamente nel primo comma: “garantire il rispetto degli impegni internazionali e con l'Unione Europea, dei vincoli di bilancio e della stabilità economico-finanziaria e sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico”. Si tratta, in pratica, di realizzare il contenimento della spesa pubblica: l'art. 24, recante disposizioni in materia pensionistica, è inserito nel capo quarto del provvedimento, rubricato “riduzioni di spesa”.

Da tale scelta di politica economica, però, derivano conseguenze rilevanti sulla posizione individuale del singolo lavoratore che opti per la prosecuzione dell'attività fino a settanta anni - e, quindi, benefìci del meccanismo di incentivazione previsto - e sull'esercizio del potere di recesso del datore di lavoro.

Ambito soggettivo di applicazione della norma

Una questione molto importante su cui dottrina e giurisprudenza si sono interrogate in questi primi anni di vigenza della norma riguarda l'ambito soggettivo di applicazione.

Alla luce dall'art. 2, comma 5, d.l. n. 101/2013, convertito in l. n. 125/2013, si può affermare che tale meccanismo incentivante è escluso per i pubblici dipendenti (cfr. sul punto circ. Dip. Funzione Pubblica 8 marzo 2012, n. 2; TAR Lazio 10 gennaio 2013, n. 2446; Corte Cost. 27 febbraio 2013, n. 33; nota Dip. Funzione Pubblica 16 settembre 2013, n. 41876; parere Dip. Funzione Pubblica 31 gennaio 2014, n. 6295).

Per quanto concerne i dipendenti privati, potrebbe sussistere una diversificazione a seconda dei requisiti dimensionali dell'impresa: il riferimento espresso dell'ultimo periodo del comma 4 del citato art. 24 all'art. 18 Stat. lav. sembrerebbe includere nel campo di applicazione della norma solo i lavoratori occupati in regime di c.d. stabilità reale (sul punto, però, v. parere del Direttore Generale per le attività ispettive MLPS del 18 gennaio 2012).

La nuova disciplina è certamente applicabile ai lavoratori che non abbiano maturato i requisiti pensionistici alla data del 31 dicembre 2011, mentre è dibattuta l'estensione nei confronti di coloro che, pur avendo maturato il diritto al trattamento pensionistico in base alla normativa previgente, intendano continuare a lavorare oltre l'età pensionabile (Trib. Torino 29 marzo 2013 in Bollettino Adapt, 2013, n. 21, e Corte App. Genova 8 gennaio 2014, in Dir. rel. ind., 2014, 3, p. 787, attribuiscono la facoltà di lavorare fino a settanta anni anche ai lavoratori già in possesso dei requisiti pensionistici prima dell'entrata in vigore della riforma; in senso contrario Corte App. Torino 24 ottobre 2013 e Trib. Genova 12 novembre 2013, entrambe in Not. giur. lav., 2014, 2, p. 223).

Controversa è l'applicazione nei confronti dei giornalisti, i quali non rientrano nell'Assicurazione Generale Obbligatoria dell'INPS, ma appartengono al regime previdenziale gestito dall'INPGI, che risponde alle caratteristiche di esclusività e sostitutività richiamate dal quarto comma dell'art. 24, ma al tempo stesso rientra nelle condizioni di cui al comma 24, riferito agli enti con autonomia gestionale (v. Corte App. Roma 24 giugno 2014 e Trib. Roma 11 febbraio 2014, in Not. giur. lav., 2014, 2, p. 223, che negano l'applicabilità della normativa ai giornalisti. Contra, Trib. Roma 24 febbraio 2014 e Trib. Roma 17 dicembre 2013, entrambe in Not. giur. lav., 2014, 2, p. 223; Trib. Milano 10 aprile 2013, in Lav. Prev. Oggi, 2013, 3-4, p. 198; Trib. Milano 14 dicembre 2012).

A dirimere la questione sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia 4 settembre 2015, n. 17589: “deve escludersi che, nonostante l'ambiguità dell'espressione normativa, le disposizioni contenute nell'art. 24, comma 4, possano avere un'estensione così ampia da abbracciare anche posizioni assicurative ricomprese nell'ambito del successivo comma 24”. Non del tutto convincenti sono, però, le argomentazioni, che si limitano per lo più a richiamare il “disegno di contenimento della spesa previdenziale inserito nell'art. 24”.

Modalità di esercizio

Lart. 24, comma 4, del D.L. 201/2011, a differenza delle precedenti disposizioni in materia di prosecuzione del rapporto di lavoro, non indica le modalità di esercizio e/o di comunicazione – al datore di lavoro, all'INPS - della facoltà di prosecuzione del lavoro fino a settant'anni.

L'art. 6 d.l. n. 791/81 prevede una necessaria comunicazione scritta al datore di lavoro e l'art. 6, comma 2, l. n. 407/90 aggiunge anche una comunicazione all'ente previdenziale competente in data antecedente al conseguimento del diritto alla pensione.

Nel silenzio del d.l. n. 201/2011, alcune pronunce di merito hanno cercato di fornire una risposta.

Il Tribunale di Torino, nell'ordinanza del 29 marzo 2013, afferma che non si può attribuire al lavoratore alcun obbligo di comunicazione al datore di lavoro. La pronuncia riconosce valore giuridico al comportamento concludente del dipendente che continui a prestare la propria attività pur in presenza del raggiungimento dei requisiti pensionistici: “non si può ritenere che il lavoratore abbia il dovere di comunicare preventivamente al datore di lavoro la sua intenzione di proseguire l'attività lavorativa dopo il conseguimento della pensione di vecchiaia: la norma non prevede alcun onere di comunicazione a carico del lavoratore. […] Il comportamento del dipendente – che ha proseguito l'attività lavorativa dopo il raggiungimento dei requisiti della pensione di vecchiaia – è di per sé idoneo a dimostrare la sua intenzione di avvalersi della facoltà concessagli dall'art. 24, comma 4, del D.L. 201/2011, indipendentemente da una comunicazione formale”.

La mancata richiesta di accesso al trattamento pensionistico da parte del dipendente che ne abbia maturato i requisiti può essere, dunque, ragionevolmente interpretata come volontà di prosecuzione del rapporto di lavoro, considerato che il raggiungimento dell'età pensionabile non comporta automaticamente il diritto alla percezione del trattamento pensionistico. Questo è subordinato alla dimostrazione della cessazione del rapporto di lavoro e del possesso dei requisiti necessari, nonché alla presentazione - al competente ente previdenziale - di apposita domanda da parte del soggetto interessato.

Qualificazione giuridica e conseguenze: le novità di Cass. SS.UU. n. 17589/2015

Altra questione di grande rilevanza è la qualificazione giuridica da attribuire all'incentivazione di cui al citato art. 24: da questa dipendono la natura e l'efficacia delle tutele in caso di licenziamento intimato nei confronti del lavoratore che abbia optato per la prosecuzione del rapporto oltre l'età pensionabile.

La giurisprudenza di merito, inizialmente divisa tra il riconoscimento di un diritto soggettivo (Trib. Roma 24 febbraio 2014) - o comunque potestativo (Trib. Milano 10 aprile 2013 adopera indistintamente i termini “diritto soggettivo” e “diritto potestativo”) - e la negazione di qualsivoglia diritto (Trib. Roma 14 aprile 2014; Trib. Roma 17 dicembre 2013; Trib. Roma 5 novembre 2013) alla continuazione dell'attività per coloro che siano in possesso dei requisiti pensionistici, trova una risposta di legittimità nella recentissima pronuncia a Sezioni Unite.

La Corte di Cassazione non ravvisa nell'art. 24, comma 4, alcun “diritto potestativo, in quanto la norma non crea alcun automatismo ma solo prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano un incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni”. In tale prospettiva, le parti – cioè, il lavoratore che abbia già maturato il diritto al trattamento pensionistico e il datore di lavoro - devono “consensualmente” stabilire la prosecuzione del rapporto “sulla base di una reciproca valutazione di interessi”.

Risulta evidente che tale interpretazione finisce per vanificare la portata della norma e rende superfluo il riferimento normativo all'“efficacia delle disposizioni di cui all'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”, in quanto la tutela contro il licenziamento ingiustificato opererebbe solo in presenza del consenso da parte del datore di lavoro alla continuazione del rapporto. Al contrario, in mancanza di accordo tra le parti, al raggiungimento dei requisiti pensionistici il rapporto sarebbe recedibile ad nutum, a prescindere dalla volontà del lavoratore di avvalersi dell'incentivazione alla prosecuzione.

In conclusione

Dall'esame della norma in questione emergono con chiarezza alcuni aspetti problematici che richiedono una tempestiva revisione e armonizzazione della normativa.

Al riguardo, è opportuno ricordare che l'art. 24 d.l. n. 201/2011 è stato oggetto di una pronuncia di illegittimità costituzionale (Corte Cost. 10 marzo 2015, n. 70, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, d.l. n. 201/2011) e di numerosi interventi normativi (solo per citarne alcuni, v. art. 29, comma 16-novies, d.l. n. 216/2011; art. 2, comma 5, d.l. n. 101/2013; art. 1, commi 707 e 708, l. n. 190/2014; art. 1, comma 1, d.l. n. 65/2015).

Inoltre, l'elevato contenzioso in materia è il sintomo di un'esigenza di certezza sia da parte del datore di lavoro - per un corretto esercizio del recesso ad nutum, in modo da effettuare una valida programmazione di politiche di ricambio occupazionale e così evitare contenziosi lunghi e costosi – sia da parte dei lavoratori – che hanno interesse a conoscere il termine finale di operatività delle tutele contro il licenziamento ingiustificato e le modalità per avvalersi della facoltà di prosecuzione dell'attività lavorativa. E questo ampio margine di indeterminatezza non fa altro che spingere datori di lavoro e dipendenti alla stipula di accordi di risoluzione consensuale del contratto di lavoro.

Guida all'approfondimento

M. Cinelli, La Riforma delle pensioni del “Governo tecnico”. Appunti sull'art. 24 della legge n. 214 del 2011, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, p. 385;

L. D'ambrosio, Il licenziamento ad nutum del lavoratore in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia: disciplina e problematiche, in Bollettino ADAPT, 20 febbraio 2012, n. 6;

V. Ferrante, Licenziamento dell'ultrasessantenne in possesso dei requisiti per la pensione (art. 24, co. 4 D.L. 201/2011): lex minus dixit quam voluit?, in Riv. it. dir. lav., 2014, 2, p. 373;

M. Miscione - V. Amato, Pensione di vecchiaia e trattenimento in servizio, in Dir. prat. lav., 2014, 36, p. 1903;

C. Murena, Età pensionabile e recesso ad nutum nel decreto-legge n. 201/2011, in Dir. lav. rel. ind., 2014, 3, p. 787;

S. Piccininno, Età pensionabile flessibile e cessazione del rapporto di lavoro nel sistema della riforma pensionistica del 2011, in Arg. dir. lav., 2014, 1, p. 38;

M. Russo, Licenziamento di un giornalista pensionabile: spunti di riflessione su regime previdenziale INPGI, prosecuzione del rapporto fino a settant'anni e discriminazione per età, in Lav. prev. oggi, 2013, III-IV, p. 203;

M. Russo, Licenziamento per raggiunti requisiti pensionistici: dal recesso ad nutum alla discriminazione per età, in Riv. giur. lav., 2014, II, p. 343;

M. Russo, Lavorare fino a settant'anni: disciplina, tutele ed effetti sul mercato del lavoro dell'art. 24 L. n. 214/2011, in Lav. Prev. Oggi, 2014, 5-6, p. 274;

P. Sandulli, Il settore pensionistico tra una manovra e l'altra. Prime riflessioni sulla legge n. 214/2011, in Riv. dir. sic. soc., 2012, 1, p. 1.

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