Danno da erronee informazioni: il riferimento temporale deve essere delineato

30 Settembre 2014

Oggetto della sentenza n. 20465/2014, deposita ieri, è il danno subito da una dipendente, illegittimamente licenziata per il superamento del periodo di comporto per via di un'erronea indicazione circa l'effettivo numero di assenze per malattia. Come calcolare la differenza di trattamento pensionistico di fatto percepito e quello che sarebbe scaturito dalla pensione di inabilità?

Vediamo la ricostruzione della vicenda esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 20465 depositata il 29 settembre 2014.

Cessazione dell'attività lavorativa: inabilità fisica o superamento del comporto?

La Corte di Appello di Bologna condannava Poste Italiane a risarcire una ex dipendente: la somma veniva calcolata a titolo di differenza tra il trattamento pensionistico di fatto percepito e quello che la diretta interessata avrebbe potuto percepire a titolo di pensione di inabilità. La datrice infatti, fornendo le esatte indicazioni sui periodi di assenza dal lavoro, avrebbe consentito alla persona di sottoporsi a visita medica collegiale, così da poter conseguire (eventualmente) pensione di inabilità e da poter dimostrare che la causa di cessazione era dipesa da inabilità fisica e non dal superamento del periodo di comporto.

Il motivo di ricorso principale

Il ricorso in Cassazione nasce dalla doglianza della dipendente, la quale sostiene che la Corte Appello abbia liquidato la cifra in base alla mera determinazione della consulenza tecnica d'ufficio, senza aver adeguatamente valutato il danno patito. Una liquidazione del danno non soddisfacente, data che la proiezione nel futuro dell'evento lesivo non sarebbe dovuta essere suscettibile di limitazioni temporali.

Corretto il modus operandi per individuare la differenza monetaria

Gli Ermellini rilevano come la Corte Territoriale si sia fatta carico di accertare – tramite CTU – quale fosse la differenza in termini monetari tra l'importo del trattamento pensionistico (percepito a seguito della cessazione dell'attività lavorativa) e quello che la ex dipendente avrebbe potuto conseguire a titolo di pensione di inabilità in ipotesi di piena informazione in possesso circa i dati concernenti la malattia nel corso del rapporto lavorativo. Il corretto iter di ricostruzione ha preso le mosse non dal profilo di mancata prova della perdita di pensione di inabilità, bensì dalla lesione della probabilità di conseguirla: verifica che doveva passare necessariamente tenendo a riferimento un dato temporale ben preciso.

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