Clausola di durata minima nel contratto a tempo indeterminato e recesso del lavoratore

31 Luglio 2014

È valida e non contrasta con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola con cui il lavoratore, disponendo liberamente della propria facoltà di recesso nell'ambito di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pattuisce una garanzia di durata minima del medesimo, obbligandosi, nell'ipotesi di dimissioni anticipate non sorrette da una giusta causa, a risarcire il danno al datore di lavoro. Così si è espressa la Cassazione, Sezione Lavoro, nella recente pronuncia del 25 luglio 2014, n. 17010.

Questo il principio di diritto emerso dalla sentenza n. 17010/2014 della Suprema Corte, sezione Lavoro.

La fattispecie


Un lavoratore esponeva al Tribunale di Perugia di avere sottoscritto con la banca datrice di lavoro una clausola di durata minima garantita nell'ambito di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, per il periodo dal gennaio 2001 al dicembre 2004, con la previsione che, in caso di recesso, egli avrebbe dovuto pagare una penale di 50 milioni di lire.

Aggiungeva poi che, a seguito delle dimissioni rassegnate in data 14 marzo 2002, la Banca, in applicazione della suddetta penale, aveva trattenuto l'intero trattamento di fine rapporto ed aveva chiuso, senza alcuna autorizzazione, la posizione del fondo di previdenza complementare cui egli era iscritto, accreditando il relativo saldo sul conto corrente intrattenuto presso la stessa datrice di lavoro.

Mentre il Tribunale sanciva la nullità della clausola impugnata per violazione di precetti imperativi fissati dall'art. 2118 cod. civ., la Corte di Appello ne confermava, invece, la piena validità, riducendo tuttavia l'importo della penale ad Euro 10.000,00 circa.

Di seguito si riassumono le argomentazioni in forza delle quali anche la Corte di Cassazione si è allineata alla decisione del Giudice di Appello.

I principi di diritto


Non è infrequente, nell'ambito di rapporto di lavoro subordinato, specie di tipo manageriale, pattuire clausole di durata minima garantita che limitino la possibilità delle parti di recedere per un periodo prefissato in mancanza di una giusta causa. Si tratta di un istituto disciplinato convenzionalmente e non, invece, direttamente dalla legge.

Tale pattuizione può essere stipulata contestualmente alla firma del medesimo contratto di lavoro (la Dottrina parla, in tal caso, di clausola di durata minima garantita) o in un momento successivo (in tal caso si parla più propriamente di patto di stabilità).

Le clausole di durata minima garantita e i patti di stabilità possono essere previsti:

  • (i) nell'interesse del dipendente, al fine di garantire al medesimo la conservazione del posto di lavoro per un determinato periodo;
  • (ii) nell'interesse del datore di lavoro, vincolando il dipendente a non dimettersi per un dato periodo;
  • (iii) a favore di entrambe le parti, che si impegnano reciprocamente a non recedere per il periodo stabilito.

La giurisprudenza ha riconosciuto la validità di clausole di durata minima garantita a favore di entrambe le parti di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, realizzandosi, in tal caso, un equilibrato contemperamento nell'interesse reciproco delle parti alla stabilità del rapporto per un periodo predeterminato (Cass., Sez. Lav., 15 novembre 1996, n. 10043; Cass., Sez. Lav., 3 febbraio 1996, n. 924).

Più controversa, invece, è apparsa la possibilità di stipulare clausole di stabilità nel solo interesse dal datore di lavoro.

Un orientamento della Dottrina, ritenendo preminente la tutela della libertà personale del prestatore di lavoro, ha sancito la nullità di tali pattuizioni, in ragione del carattere unilateralmente inderogabile dell'art. 2118 cod. civ..

Un secondo orientamento della giurisprudenza ha ritenuto, invece, che il lavoratore subordinato possa disporre liberamente della propria facoltà di recesso dal rapporto, assumendo l'obbligazione di non recedere (fatta salva la giusta causa) per un periodo temporale predeterminato, e vincolandosi, inoltre, ad un indennizzo risarcitorio in ipotesi di inadempimento.

Tale interpretazione ha dovuto misurarsi con obiezioni, analoghe a quelle sollevate dal lavoratore nella vicenda in esame, coltivate da un orientamento di segno contrario, che ha sostenuto la nullità di clausole di durata minima garantita pattuite nell'interesse del datore di lavoro, in quanto esse, inciderebbero non solo sulla libertà di contrattare, ma anche sulla libertà di lavorare, ponendosi in contrasto con i principi generali dell'ordinamento giuridico.

La Suprema Corte, tuttavia, ha affermato in diverse pronunzie che nessun limite è posto dalla legge all'autonomia privata per quanto attiene alla facoltà di recesso attribuita al lavoratore nell'ambito di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (Corte di Cassazione, Sez. Lav., 19 agosto 2009, n. 18376; Corte di Cassazione, Sez. Lav., 7 settembre 2005, n. 17817; Corte di Cassazione, Sez. Lav., 11 febbraio 1998, n. 1435).

In forza di questo orientamento, il lavoratore può liberamente pattuire una garanzia di durata minima del rapporto la quale comporti, fuori dall'ipotesi di recesso per giusta causa ex art. 2119 cod. civ., il risarcimento del danno a favore del datore di lavoro, poiché tale garanzia è stata ritenuta speculare a quella applicabile nel rapporto di lavoro a tempo determinato, laddove, in ipotesi di recesso anticipato al di fuori dell'ipotesi di giusta causa, la parte inadempiente deve tenere indenne la controparte per avere interrotto anticipatamente il rapporto rispetto alla scadenza naturale.

Le conclusioni

In applicazione dei suddetti principi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia ed ha confermato la piena validità della clausola di durata minima garantita pattuita a favore del datore di lavoro nonché la riduzione della stessa operata d'ufficio dal Giudice di merito.

Riferimenti giurisprudenziali

Clausole di durata minima garantita nell'interesse del datore di lavoro

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 19 agosto 2009, n. 18376;

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 7 settembre 2005, n. 17817;

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 11 febbraio 1998, n. 1435.

Clausole di durata minima garantita nell'interesse del lavoratore e del datore di lavoro

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 15 novembre 1996, n. 10043;

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 3 febbraio 1996, n. 924;

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