Cassa integrazione e novità del Jobs Act: prime indicazioni di prassi

Paolo Bonini
03 Novembre 2015

Il D.Lgs. n. 148/2015, entrato in vigore il 24 settembre scorso, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1, c. 2, lett. a) della L. n. 183/2014 (Jobs Act), contiene un corposo riordino degli ammortizzatori sociali attivabili in costanza di rapporto di lavoro (CIGO, CIGS, Fondi di solidarietà). L'ampiezza della materia travalica i confini del presente Focus, che si limiterà ad affrontare le disposizioni comuni a tutti gli interventi di integrazione (ordinari e straordinari) e quelle specifiche relative alla Cassa integrazione straordinaria. Si metteranno in evidenza le principali novità, tanto da un punto di vista sistematico, quanto da un punto di vista operativo, con riguardo anche al timing dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni.
Abstract

Il D.Lgs. n. 148/2015, entrato in vigore il 24 settembre scorso, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1, c. 2, lett. a) della L. n. 183/2014 (Jobs Act), contiene un corposo riordino degli ammortizzatori sociali attivabili in costanza di rapporto di lavoro (CIGO, CIGS, Fondi di solidarietà). L'ampiezza della materia travalica i confini del presente Focus, che si limiterà ad affrontare le disposizioni comuni a tutti gli interventi di integrazione (ordinari e straordinari) e quelle specifiche relative alla Cassa integrazione straordinaria, tralasciando per il momento le norme relative alla cassa integrazione ordinaria, ai contratti di solidarietà espansivi e ai Fondi di solidarietà. Si metteranno in evidenza le principali novità, tanto da un punto di vista sistematico, quanto da un punto di vista operativo, con riguardo anche al timing dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, le quali saranno inevitabilmente oggetto di riflessione e approfondimento nei mesi a seguire, anche alla luce degli attesi chiarimenti amministrativi, per il momento limitati a singole fattispecie (come la cassa integrazione straordinaria, oggetto della Circolare n. 24 dello scorso 5 ottobre). Si darà altresì conto, sia pur parzialmente, della posizione occupata dalla nuova normativa in materia di ammortizzatori nell'ambito del disegno complessivo del cd. Jobs Act, alla ricerca della ratio del legislatore. Da questo punto di vista, il provvedimento dovrebbe essere letto in connessione, almeno, con il precedente D.Lgs. n. 22/2015, riguardante le tutele in caso di disoccupazione involontaria, e con il D.Lgs n. 150/2015, relativo alle politiche attive del lavoro, entrambi adottati in attuazione della delega della L. n. 183/2014 (il Jobs Act, appunto).

Premessa

Il primo intento dichiarato dal Governo attraverso l'adozione del D.Lgs. n. 148/2015 è quello di razionalizzare e riordinare la normativa in materia, raggruppando, in un unico testo, una disciplina in precedenza disseminata in numerosi atti normativi. Tali atti, anche di carattere amministrativo, si sono susseguiti e stratificati in un arco temporale molto ampio e spesso sono stati adottati, come negli ultimi anni, con lo scopo di fronteggiare, con provvedimenti di "emergenza", la fortissima crisi occupazionale determinata dalla crisi economica internazionale.

Il perseguimento di questo obiettivo emerge con chiarezza dall'osservazione della stessa struttura del testo normativo. Troviamo infatti un Titolo I, dedicato ai "trattamenti di integrazione salariale", suddiviso in tre capi; nel primo di questi (artt. da 1 a 8) si dettano disposizioni comuni a tutti i trattamenti di integrazione salariale (CIGO e CIGS), il secondo è dedicato alla CIGO (artt. da 9 a 18), e il terzo alla CIGS (artt. da 19 a 25). Il Titolo II si occupa dei "Fondi di solidarietà", ossia degli strumenti di tutela indirizzati a settori di attività e/o lavoratori che, a vario titolo, non hanno accesso alle prestazioni "ordinarie" del Titolo precedente. Il titolo III è dedicato al contratto di solidarietà espansivo, strumento che, come noto, non è concepito tanto per fronteggiare situazioni di difficoltà dell'attività produttiva, quanto per favorire l'occupazione stabile attraverso una riduzione dell'orario di lavoro degli addetti già presenti e la contestuale assunzione di nuovo personale. Il titolo IV contiene le "disposizioni transitorie e finali", tra le quali, disposizioni di diritto cd. intertemporale, dedicate alla transizione al nuovo sistema, alle abrogazioni di norme precedenti, alla gestione di situazioni già in essere al momento dell'entrata in vigore del provvedimento.

Le integrazioni salariali ordinarie e straordinarie

Come accennato, partiremo dalle disposizioni comuni alle integrazioni ordinarie e straordinarie.

Tra novità e conferme della vecchia disciplina troviamo qui norme riguardanti:

  • la platea dei lavoratori beneficiari, nella quale sono definitivamente inclusi, sia pure con alcune specificità, gli apprendisti con contratto professionalizzante;
  • la misura delle integrazioni salariali (che conferma la vecchia disciplina);
  • la durata complessiva massima dei trattamenti di integrazione ordinaria e straordinaria;
  • l'unificazione e la ridefinizione delle aliquote della contribuzione addizionale posta in capo alle aziende che fruiscono degli interventi integrativi;
  • le modalità di pagamento delle integrazioni ai lavoratori, normalmente anticipate dal datore di lavoro, nonché modalità e termini per il recupero di tali anticipazioni da parte dello stesso datore (conguaglio contributivo o rimborso);
  • l'attivazione, ai sensi dell'art. 22, D.Lgs n. 150/2015, del lavoratore interessato ai trattamenti di integrazione salariale, e lo svolgimento di eventuale attività lavorativa durante i medesimi trattamenti.
L'inclusione degli apprendisti

Entrando più nel dettaglio, ci occupiamo quindi dell'estensione dei trattamenti agli apprendisti (con contratto di tipo professionalizzante). Oltre ad essi, naturalmente, restano destinatari dei trattamenti gli altri lavoratori subordinati, con esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio. Per tutti, l'accesso al trattamento è subordinato al possesso di un'anzianità di "effettivo lavoro" pari ad almeno 90 giornate alla data di presentazione della domanda. Nel settore industriale, il requisito dell'anzianità non sarà richiesto nei casi di eventi oggettivamente non evitabili. Inoltre, nei casi di "cambio di appalto", l'anzianità non si computerà dalla data di assunzione da parte dell'impresa subentrante, bensì dalla data dalla quale il lavoratore è stato originariamente impiegato nella medesima attività. La Circolare n. 24 precisa che nel computo rientrano, oltre alle giornate di effettiva presenza (a prescindere dalla durata oraria), anche i periodi si sospensione dal lavoro per festività, ferie, infortuni, nonché, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 423/1995, anche i periodi di astensione obbligatoria per maternità.

Tornando agli apprendisti, la loro inclusione è soggetta ad alcune limitazioni (art. 2), collegate al tipo di ammortizzatore di cui sono destinatarie le imprese che li occupano (si veda oltre). Pertanto:

  • imprese destinatarie delle sole integrazioni straordinarie: gli apprendisti potranno accedere alle relative prestazioni, ma limitatamente agli interventi determinati da crisi aziendale (art. 21, c. 1, lett b);
  • laddove l'impresa sia destinataria anche (o, naturalmente, soltanto) della CIG ordinaria, gli apprendisti potranno accedere esclusivamente a quest'ultima.

Inoltre, "nei riguardi degli apprendisti" sono estesi gli obblighi contributivi relativi alle prestazioni di integrazione salariale di cui sono destinatari, ferme restando le aliquote "agevolate" previste dalla L. n. 296/2006 (art. 1, c. 773, che fissa l'aliquota contributiva ordinaria a carico dei datori di lavoro al 10%, ridotta, in favore dei soli datori di lavoro che occupano meno di dieci dipendenti, all'1,5% per il primo anno e al 3% per il secondo anno). La misura prevista invece dall'art. 22, L. n. 183/2011 (sgravio totale triennale della contribuzione a carico del datore di lavoro che occupa meno di dieci dipendenti, limitatamente alle assunzioni di apprendisti intervenute entro il 31.12.2016), continuerà ad applicarsi, ma non alle quote di contribuzione destinate appunto al finanziamento degli interventi di cassa integrazione.

Da sottolineare poi come, in caso di intervento della cassa integrazione, la norma stabilisca che il periodo di apprendistato sarà prorogato di un periodo equivalente all'ammontare delle ore di integrazione salariale fruite.

La misura dell'integrazione

Questo aspetto non contiene grandi innovazioni: le ore integrabili sono ancora quelle comprese tra zero e la durata massima dell'orario contrattuale, l'integrazione ammonta ancora all'80% della retribuzione globale per le ore non lavorate, nei limiti dei massimali di legge (confermati per l'anno 2015, si veda anche la Circolare Inps n. 19/2015), annualmente rivalutati come in precedenza, ferme le maggiorazioni previste per le attività edili/lapidee in caso di eventi atmosferici. L'integrazione continuerà ad essere erogata in quote orarie, con la necessità, dunque, di ragguagliare ad ora la retribuzione dei lavoratori retribuiti in misura fissa, a cottimo, ecc. Si specifica che le "indennità accessorie" alla retribuzione corrisposte con riferimento alla giornata lavorativa dovranno essere computate secondo i criteri indicati dalla fonte istitutiva (legge, contratto...), e comunque ragguagliandone la misura in quote orarie "in rapporto ad un orario di otto ore". L'integrazione non potrà spettare per festività non retribuite, né per altre assenze non retribuite. Ferma anche la spettanza dell'assegno al nucleo familiare. Una novità di rilievo riguarda il rapporto tra integrazioni salariali e malattia: dal 24 settembre l'integrazione salariale sostituisce l'indennità di malattia e anche l'eventuale integrazione contrattualmente prevista.

Durata massima complessiva

La disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 4 del Decreto prevede che la durata massima complessiva dei trattamenti di integrazione salariale, sia ordinaria che straordinaria, non possa superare i 24 mesi, da computarsi per unità produttiva in un quinquennio mobile. Fanno eccezione le imprese edili e affini, quelle industriali esercenti attività di escavazione e lavorazione di materiale lapideo e quelle artigiane che svolgono la medesima attività ma che non si avvalgono, per le attività di lavorazione, di strutture organizzative distinte da quelle che eseguono l'escavazione. In tali casi, l'intervento, nel quinquennio mobile, può estendersi fino a 30 mesi. Al di là di questo, la disposizione deve comunque essere letta congiuntamente con quanto previsto all'art. 22, c.5 del decreto stesso: nei casi di ricorso al contratto di solidarietà difensivo (che, come vedremo, non costituisce più un autonomo istituto, bensì una causale di intervento della Cassa integrazione straordinaria), i termini, nei primi 24 mesi, si computano per la metà. Ciò comporta che, nel quinquennio mobile, qualora si ricorra al contratto di solidarietà difensivo, la durata massima complessiva potrà salire fino a 36 mesi (di cui almeno 24 per contratto di solidarietà e massimo 12 per cassa integrazione ordinaria e/o straordinaria). La Circolare n. 24 precisa che il computo della settimana continua ad effettuarsi a giorni, secondo quanto già previsto nella Circ. Inps n. 58 del 28 aprile 2009 (si ritiene quindi che restino fermi gli obblighi comunicativi ivi previsti a carico del datore di lavoro). A questo punto, è sufficiente leggere la norma avendo riguardo al notevole restringimento delle causali giustificative per l'accesso alla Cassa integrazione straordinaria (art. 21, c. 1), per rendersi pienamente conto dell'intento del Legislatore. Sparisce infatti la possibilità di ricorso all'ammortizzatore sociale in tutte quelle situazioni in cui non vi siano concrete prospettive di continuazione dell'attività e di salvaguardia dei livelli occupazionali. Tra l'altro, dunque, non è più possibile (con leprecisazioni che seguono), ricorrere alla Cassa integrazione straordinaria per i casi di "crisi con cessazione dell'attività". Nel contempo, le norme di "favore" verso l'utilizzo del contratto di solidarietà difensivo costituiscono un disincentivo alle sospensioni dell'attività lavorativa, prediligendo, se mai, il ricorso alle riduzioni di orario. Ormai, nei casi in cui si giunga alla cessazione dell'attività, i lavoratori avranno accesso alle riformate prestazioni di disoccupazione (NASpI, ASDI, DIS-COLL), introdotte con il D.Lgs. n. 22/2015. Sia i lavoratori disoccupati che coloro che sono destinatari (alle condizioni che vedremo oltre) di trattamenti di integrazione salariale dovranno conformarsi al dettato del D.Lgs n. 150/2015, in materia di politiche attive del lavoro e di "attivazione" del lavoratore, che introduce meccanismi di cd. "condizionalità" per l'accesso alle prestazioni economiche, il cui diritto è subordinato alla partecipazione a percorsi volti a favorire la rioccupabilità, attraverso la stipula di un “patto di servizio personalizzato” con i servizi competenti (anch'essi oggetto di riordino), in particolare il centro per l'impiego. La mancata partecipazione a tali percorsi sarà sanzionata con una progressiva decurtazione delle prestazioni, fino alla completa decadenza. Si tratta cioè del tentativo di spostare il "bersaglio" dell'intervento pubblico per modificare l'assetto del mercato del lavoro, indirizzando più risorse alla cd. "occupabilità" e meno al sostegno passivo del reddito in costanza di rapporto di lavoro, soprattutto laddove le prospettive di ripresa dell'attività lavorativa (dell'impresa e/o del singolo lavoratore) appaiano molto ridotte.

Contribuzione addizionale

Gli interventi (esclusi i casi di eventi oggettivamente non evitabili, art.13) comportano l'obbligo a carico del datore di lavoro, di corrispondere un contributo addizionale, non più diversificato tra interventi ordinari e straordinari, ma solo in base alla durata dei medesimi e commisurato alla retribuzione globale "persa" dal lavoratore per le ore non prestate. La misura del contributo è dunque fissata come segue:

  • 9%, fino alla 52ma settimana di trattamento nel quinquiennio mobile
  • 12% tra la 53ma e la 104ma settimana
  • 15% dalla 105ma settimana

Ancora, la circolare ministeriale n. 24 ricorda come tale contribuzione non sia applicabile alle imprese che accedono agli ammortizzatori in forza di procedure concorsuali, per le quali sono comunque previste rilevanti novità che vedremo più sotto.

Il pagamento e i termini di rimborso/conguaglio

In linea generale, i trattamenti sono anticipati dall'impresa ai lavoratori alla fine di ogni periodo di paga; l'impresa recupera quanto anticipato mediante il sistema del conguaglio, o tramite richiesta di rimborso; è importante sottolineare che tanto il conguaglio quanto la richiesta di rimborso devono essere effettuati, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del periodo autorizzato, o del provvedimento di concessione, se successivo.

Per i trattamenti già conclusi alla data di entrata in vigore del decreto (ossia entro il 23 settembre scorso), i sei mesi decorrono dal 24 settembre. Per i trattamenti già iniziati e non ancora conclusi alla data di entrata in vigore del decreto vale invece la regola generale di cui sopra.

I pagamenti diretti da parte dell'Istituto previdenziale (comprensivi dell'eventuale assegno al nucleo familiare), saranno possibili, a richiesta dell'impresa, solo in caso di "serie e documentate" difficoltà finanziarie. I relativi provvedimenti autorizzativi sono adottati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per le integrazioni straordinarie, salva la successiva revoca a seguito di accertamento dell'inesistenza di difficoltà finanziarie.

Il lavoratore sospeso o a orario ridotto: condizionalità e patto di servizio

Come sopra accennato, l'art. 8 del Decreto rinvia all'art. 22 del D.Lgs. n. 150/2015, in cui si stabilisce che i lavoratori in trattamento di cassa integrazione con una sospensione o riduzione programmata dell'orario di lavoro superiore al 50%, calcolato in un periodo di 12 mesi, devono essere convocati dal centro per l'impiego, in orario compatibile con la prestazione lavorativa, allo scopo di stipulare il "patto di servizio" personalizzato. Tra gli altri elementi del patto di servizio, assume rilievo la dichiarazione di disponibilità del lavoratore a:

  • partecipare ad iniziative e laboratori per il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro
  • partecipare ad iniziative formative o di riqualificazione o "ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione"
  • accettare eventuali congrue offerte di lavoro ai sensi dell'art. 25, del medesimo D. Lgs. n. 150/2015.

Inoltre, allo scopo di "mantenere o sviluppare le competenze" durante la sospensione/riduzione e in vista della conclusione del periodo "protetto" dalla cassa integrazione, il patto di servizio potrà essere stipulato con il concorso dei fondi di interprofessionali per la formazione continua (art. 118, L. n. 388/2000), sentito il datore di lavoro, alla luce anche della domanda di lavoro espressa dal territorio di riferimento. Il lavoratore potrà essere altresì avviato alle attività socialmente utili di cui all'art. 26, c. 1 del D. Lgs. n. 150/2015, a "beneficio della comunità territoriale di appartenenza".

I lavoratori che non rispettino gli impegni assunti nel patto di servizio, vedranno progressivamente decurtate le prestazioni di integrazione salariale, potendosi giungere, nei casi più gravi, alla totale decadenza dal diritto alle medesime.

Integrazione salariale straordinaria

L'istituto è regolato negli articoli da 19 a 25 del Decreto. L'art. 20, definisce l'ambito di applicazione oggettivo dell'ammortizzatore, individuato in base a settori produttivi e consistenza della forza aziendale nel semestre precedente la presentazione dell'istanza di ammissione. L'elenco è suddivisibile in tre gruppi:

  • aziende/settori che occupano mediamente, nel semestre di cui sopra, più di 15 dipendenti, computandosi anche i dirigenti e gli apprendisti
  • aziende/settori che occupano mediamente, nel semestre di cui sopra, più di 50 dipendenti, computandosi anche i dirigenti e gli apprendisti
  • datori di lavoro che hanno accesso all'ammortizzatore sociale a prescindere dal numero di dipendenti occupati.

Nei casi di trasferimento d'azienda (art. 2112 c.c.), il requisito dimensionale richiesto deve sussistere, per il subentrante, nel periodo decorrente dal trasferimento stesso. Il Ministero del Lavoro ha precisato che la disposizione dell'art. 20, c.1, in ossequio al principio di specialità, prevale su quella dell'art. 27, D. Lgs. n. 81/2015 (riordino delle forme contrattuali), in relazione al computo dei lavoratori a tempo determinato.

L'art. 21 individua le possibili causali di intervento dell'ammortizzatore. Esse sono:

  • riorganizzazione aziendale
  • crisi aziendale, ad esclusione, dal 1° gennaio 2016, dei casi di cessazione dell'attività aziendale o di un ramo di essa
  • contratto di solidarietà

In proposito, la citata Circolare ministeriale specifica, tra l'altro, che la causale della riorganizzazione aziendale assorbe le fattispecie di ristrutturazione e conversione aziendale di cui al previgente art. 1, L. n. 223/1991, purché ricorrano i presupposti previsti dal nuovo Decreto in commento. Essi prevedono la presentazione di un programma di interventi volto a fronteggiare le inefficienze aziendali, contenente indicazioni sugli investimenti previsti e sull'eventuale attività di formazione, che deve essere finalizzato ad un consistente recupero occupazionale del personale interessato. La durata massima dell'intervento è fissata dall'art. 22 in 24 mesi anche continuativi, nel quinquennio mobile, per ciascuna unità produttiva. Passando alla causale di crisi aziendale, il relativo programma deve consistere in un piano di risanamento volto a fronteggiare gli squilibri di natura produttiva, finanziaria, gestionale o derivanti da condizionamenti esterni, e deve essere finalizzato alla continuazione dell'attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale. Ancora, il Ministero, avverte che la causale di crisi aziendale per cessazione di attività non sarà più invocabile dal 1° gennaio 2016. In questi casi dunque, per l'ammissione al trattamento, i requisiti dovranno perfezionarsi entro il 31.12.2015 (stipula dell'accordo e presentazione della domanda). Inoltre non sarà possibile richiedere l'intervento straordinario in unità produttive per le quali sia stato già richiesto, con riferimento ai medesimi periodi e per causali “sostanzialmente coincidenti”, l'intervento ordinario. La durata massima del trattamento per crisi è pari a 12 mesi, anche continuativi, sempre con riferimento a ciascuna unità produttiva. In proposito, il Decreto contiene una disposizione derogatoria (comma 4 dell'art. 21), ove si prevede che, nel caso in cui, all'esito del programma di crisi, l'impresa cessi l'attività, ma sia prevedibile una rapida cessione dell'azienda con “conseguente riassorbimento occupazionale”, potrà essere autorizzato un ulteriore intervento, limitatamente agli anni 2016, 2017 e 2018, della durata massima rispettivamente di 12, 9 e 6 mesi, previo accordo stipulato in sede governativa. Tutto ciò, nel limite di spesa di 50 mln di euro per ciascuno degli anni considerati.

Un altro importante segno della “stretta” all'utilizzo dell'ammortizzatore è contenuto nel comma 4 dell'art. 22, laddove, con riferimento alle causali di crisi e riorganizzazione, è stabilito che le sospensioni non potranno superare il limite dell'80% delle ore lavorabili nell'intero periodo del programma autorizzato. La disposizione non si applica però nei primi 24 mesi dall'entrata in vigore del provvedimento, ovvero fino al 24 settembre 2017.

Salvo quanto si dirà più sotto a proposito del contratto di solidarietà, l'abrogazione espressa della L. n. 464/1972, comporta una modifica di rilievo con riguardo alla sorte del TFR maturato durante l'intervento straordinario di cassa integrazione. Secondo tale disciplina, infatti, dette quote di TFR erano poste a carico dell'Istituto laddove al termine di un periodo di integrazione straordinaria, i lavoratori fossero licenziati senza mai essere rientrati al lavoro. Con la nuova disciplina, tali somme restano a carico del datore di lavoro.

Con riguardo al contratto di solidarietà, la ridefinizione dell'istituto è affidata innanzitutto al comma 5 dell'art. 21. Il contratto aziendale, stipulato ai sensi dell'art. 51, D. Lgs. n. 81/2015, stabilisce una riduzione di orario al fine di “evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale anche attraverso un suo più razionale impiego”. La riduzione media oraria non potrà superare il 60% dell'orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati.Contemporaneamente, è stabilito che la riduzione complessiva per ciascun lavoratore, calcolata nell'intero periodo dell'intervento, non potrà superare il 70%. Entro quest'ultimo limite, dunque, il contratto potrà prevedere una certa flessibilità nella “distribuzione del sacrificio” tra i lavoratori, non essendovi obbligo di riduzione “orizzontale” uguale per tutti gli interessati. Sarà naturalmente possibile, laddove si manifestino esigenze di maggior lavoro, la modifica in aumento dell'orario, a condizione che gli accordi specifichino le modalità attraverso le quali l'impresa potrà avvalersi di tale facoltà. Il trattamento retributivo perso (ossia il trattamento oggetto di integrazione salariale), dovrà essere inizialmente determinato senza tenere conto di aumenti retributivi derivanti da contrattazione aziendale risalente fino a sei mesi precedenti la stipula del contratto di solidarietà, mentre gli eventuali successivi aumenti (di pari fonte contrattuale), comporteranno una corrispondente riduzione del trattamento integrativo. Con riguardo al trattamento di fine rapporto, le quote maturate durante la riduzione di orario sono poste a carico dell'ammortizzatore, purché il lavoratore non sia licenziato per motivo oggettivo o nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo entro 90 gg. dalla fine del periodo “coperto” dal contratto di solidarietà, ovvero entro 90 gg. dal termine di fruizione di un periodo di trattamento di integrazione straordinaria a sua volta attivato entro 120 gg. dal termine del trattamento di solidarietà. La durata massima dell'intervento per solidarietà, come sopra accennato, è fissata in 24 mesi anche continuativi, ma per effetto del disposto dell'art. 22, c. 5, computandosi per metà i primi 24 mesi, il trattamento effettivo potrà raggiungere i 36 mesi, anche in connessione con le altre causali o con l'integrazione ordinaria. Tale disposizione non si applica agli edili e affini, già destinatari di un trattamento massimo complessivo di 30 mesi, in deroga alla normativa generale. Per quanto riguarda il trattamento economico a carico dell'ammortizzatore, è necessario osservare come la completa riconduzione del contratto di solidarietà nell'alveo delle integrazioni salariali, con la conseguente applicazione dei massimali di trattamento anche a questa fattispecie, che in precedenza ne era esclusa, cozza, almeno in parte, con l'intento di favorirne l'utilizzo, determinando una effettiva riduzione dei trattamenti. Vero è del resto, che parlare di incentivazione (se non in via indiretta) del contratto di solidarietà sarebbe comunque improprio, essendo se mai l'impianto della riforma volto, come si accennava sopra, a disincentivare l'utilizzo di ammortizzatori sociali in senso “assistenziale” e/o “passivo”.

Procedimento di attivazione dell'integrazione straordinaria

Per le causali di crisi e riorganizzazione, è necessaria la preventiva comunicazione dei seguenti elementi da parte dell'impresa (anche per il tramite dell'associazione cui aderisca o conferisca apposito mandato) alla rappresentanza sindacale presente in azienda (RSA o RSU), nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale:

  • cause della sospensione/riduzione di orario
  • entità e durata prevedibile
  • numero dei lavoratori interessati

Entro tre giorni da tale comunicazione, a cura di una delle parti, è presentata richiesta di esame congiunto al competente uffcio per territorio (generalmente la DTL, ma, allorquando le unità produttive siano ubicate in più regioni, al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali). L'intera procedura dovrà esaurirsi entro i 25 gg. successivi a tale richiesta, ridotti a 10 per le imprese che occupano fino a 50 dipendenti.

Oggetto di tale esame sono:

  • il programma di cui sopra, la sua durata, il numero dei lavoratori interessati;
  • le ragioni che rendono impraticabile il ricorso a forme alternative di riduzione di orario; in questo senso, restando escluse le imprese edili e affini, le parti devono espressamente dichiarare la non percorribilità del ricorso al contratto di solidaretà difensivo;
  • le misure previste per la gestione degli eventuali esuberi di personale;
  • i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in coerenza con le ragioni di accesso al trattamento;
  • le modalità di rotazione tra i lavoratori o le ragioni, di carattere esclusivamente tecnico-organizzativo, che giustificano la mancata adozione di meccanismi di rotazione.

Il provvedimento introduce la sanzionabilità, realizzata attraverso un aumento della contribuzione addizionale, per il mancato rispetto dei criteri di rotazione. La quantificazione della sanzione è rimessa ad un decreto del Ministero del lavoro, di concerto con il Ministero dell'economia, che dovrebbe essere adottato entro il prossimo 23 novembre.

Al termine della procedura sindacale e/o della stipula dell'accordo relativo all'intervento di riduzione/sospensione, entro sette giorni, l'impresa presenta la domanda di concessione del trattamento contestualmente e in unica soluzione (ossia per l'intero periodo considerato) al Ministero del Lavoro e alle Direzioni territoriali del lavoro competenti, corredata dall'elenco nominativo dei lavoratori interessati. Inoltre, per le causali di rioganizzazione/crisi, deve essere comunicato il numero dei lavoratori mediamente occupati nel semestre precedente, distinti per orario contrattuale (art. 25, c. 1). Non risulta chiaro il motivo di tale adempimento, poiché l'art. 20, nel dettare il requisito dimensionale, non fa riferimento alle unità produttive, bensì all'intera azienda. La disposizione potrebbe avere un senso con riguardo al controllo della soglia dell'80% dell'orario contrattuale, di cui si è detto sopra, che però, oltre ad entrare in vigore tra due anni, non ha molto a che vedere con il riferimento al semestre precedente.

Il provvedimento di concessione è adottato dal Ministero nei 90 giorni successivi alla domanda, salve interruzioni del procedimento per motivi istruttori.

A far data dal 1° novembre 2015 (art. 25, c. 2 e art. 44, c. 4), la domanda ha carattere per così dire preventivo: si stabilisce, infatti, che le riduzioni/sospensioni non potranno avere inizio prima che siano trascorsi 30 giorni dalla data di presentazione della domanda stessa. Di ciò dovra tenersi necessariamente conto in sede di stipula degli accordi, nelle clausole in cui appunto si stabiliranno le decorrenze delle sospensioni/riduzioni. La domanda tardiva, peraltro, sposta in avanti la decorrenza dei trattamenti, a partire dal trentesimo giorno successivo alla stessa data di presentazione. Del resto, come in precedenza, la tardiva od omessa presentazione della domanda, che abbia quale conseguenza la perdita parziale o totale dell'integrazione salariale, obbliga il datore di lavoro a corrispondere ai lavoratori interessati una somma di importo equivalente all'integrazione non percepita.

Il rispetto degli impegni aziendali (programma, rotazione ecc..) sarà oggetto di controllo e accertamento da parte delle Direzioni territoriali del lavoro, da avviare nei tre mesi antecedenti la fine dell'intervento richiesto, cui dovrà seguire l'invio della relazione ispettiva entro 30 giorni dalla conclusione del medesimo periodo di intervento. La norma stabilisce che, qualora dall'accertamento emerga il mancato rispetto (in tutto o in parte) degli impegni aziendali, il decreto di concessione sarà oggetto di “riesame” nei successivi 90 giorni, fatte salve sospensioni per motivi istruttori. In proposito, il comma 7 dell'art. 25, fornisce una “via d'uscita” all'azienda che non riesca a rispettare gli impegni: il programma di intervento non è infatti cristallizato per sempre, ma può essere oggetto di modifica (naturalmente nei limiti di liceità previsti per il programma originario), nel corso del suo svolgimento, a richiesta dell'azienda, sentite le parti sindacali.

La Circolare n. 24 avverte che, nelle more dell'adozione dei nuovi modelli di presentazione delle domande, le imprese dovranno avvalersi dei modelli in uso fino ad oggi, che dovranno essere integrati con l'elenco nominativo dei lavoratori interessati, così come, nel caso di crisi/riorganizzazione, con l'indicazione del numero di lavoratori mediamente occupati nel semestre precedente, distinti per orario contrattuale, presso le unità produttive oggetto dell'intervento.

La contribuzione

L'art. 23 stabilisce le aliquote di contribuzione per il finanziamento degli interventi, con riguardo alle imprese destinatarie della cassa integrazione straordinaria. Esse sono pari coplessivamente allo 0,90% della retribuzione impinibile ai fini previdenziali, di cui due terzi a carico del datore di lavoro e un terzo a carico del alvoratore (potenzialmente) beneficiario.

Un riepilogo su entrata in vigore e decorrenze

In generale, l'art. 44 c. 1 dispone che le nuove norme si applicano ai trattamenti richiesti a partire dall'entrata in vigore del decreto, quando non diversamente indicato dal decreto stesso. Riepiloghiamo quindi di seguito le decorrenze, rispetto agli interventi oggetto del presente Focus, che in qualche modo si discostano da quanto sopra, anche con riferimento alla gestione del periodo transitorio.

  1. Rimborso o conguaglio delle prestazioni con la contribuzione Inps. Il termine di sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del periodo integrato si applica a tutte le fattispecie di intervento, anche a quelli richiesti prima dell'entrata in vigore del provvedimento e non ancora conclusi. Nel caso di interventi già conclusi, i sei mesi decorrono dal 24 settembre 2015.
  2. Computo durate massime complessive di 24 o 30 mesi nel quinquennio mobile per i trattamenti conseguenti a procedure precedenti la data di entrata vigore del Decreto. Tali trattamenti mantengono la durata prevista dalle previgenti disposizioni (art. 42, c. 1). Tuttavia, la quota parte di essi riferibile a periodi successivi all'entrata in vigore del decreto, si computa ai fini della durata massima di cui all'art. 4 (art. 42, c. 2, disposizione sotanzialmente ripetuta nell'art. 44, c. 2, sebbene con riferimento non alle “procedure sindacali già concluse”, ma ai trattamenti già “richiesti prima della data di entrata in vigore” del Decreto: a ben vedere il secondo caso, generalmente “assorbe” il primo). Le stesse regole valgono per le integrazioni straordinarie conseguenti a procedure concorsuali (art. 3, L. n. 223/91). Anche per queste ultime, comunque, non sarà consentito l'accesso all'integrazione straordinaria a far data dal 1° gennaio 2016 per effetto dell'abolizione dell'art. 3, L. n. 223/91 già prevista dalla L. n. 92/2012, restando salvi solo i casi di procedura concorsuale con continuazione dell'attività che presentino i requisiti richiesti dalla nuova normativa (programmi, recupero occupazionale ecc…). In sostanza, sembra si possa affermare che l'entrata in vigore del Decreto “azzeri” il computo dei periodi massimi per i quali non avranno rilevanza i periodi fruiti prima della sua entrata in vigore (il che appare giuridicamente ineccepibile). In proposito, disposizioni particolari sono dettate “per gli accordi conclusi e sottoscritti in sede governativa entro il 31 luglio 2015, riguardanti casi di rilevante interesse strategico per l'economia nazionale che comportino notevoli ricadute occupazionali” (art. 42, c.3).
  3. Riorganizzazione e crisi aziendale: sospensioni autorizzabili soltanto nel limite dell'80% delle ore lavorative comprese nel periodo autorizzato. La disposizione non si applica nei primi 24 mesi di vigenza del Decreto (quindi, a partire dal 24 settembre 2017).
  4. Decorrenza del trattamento non prima del trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda: in vigore dal 1° novembre 2015.

In conclusione

Non si può non apprezzare l'intento razionalizzatore perseguito nella revisione degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, come il suo inserimento in un quadro sistematico (quello del cd. Jobs Act), che mostra la volontà di modernizzare il sistema delle tutele, avvicinandolo a quello proprio di esperienze di altri paesi europei, nell'ottica della cd. Flexsecurity. Molto dipenderà, tuttavia, dall'efficacia dell'azione pubblica nell'ambito del riordino dei servizi per il lavoro. Da questo punto di vista, data la complessità degli interventi effettuati, solo il tempo potrà dirci se il mercato del lavoro italiano abbia finalmente intrapreso una strada maggiormente efficace.

Per quanto riguarda l'operatività delle nuove norme in materia di cassa integrazione, sono presenti alcune criticità, come ad esempio, la notevole anticipazione dei tempi di presentazione delle istanze (ciò vale anche per la cassa integrazione ordinaria, e massimamente per gli interventi relativi alle intemperie nel settore dell'edilizia), che potranno creare problemi gestionali agli operatori del settore.

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