Il tentativo di conciliazione in caso di licenziamento
Massimo T. Goffredo
Vincenzo Meleca
01 Dicembre 2016
È noto che il contenzioso del lavoro rappresenta una buona fetta del carico di lavoro del sistema giudiziario italiano. Per cercare di ridurre questo carico, il legislatore ha più volte introdotto la possibilità di risolvere una parte di tale contenzioso in sedi diverse da quelle giudiziarie, come ad esempio le commissioni o i collegi di conciliazione ed i collegi arbitrali, talvolta generando però duplicazioni, sovrapposizioni e finanche una certa confusione.Nel seguente scritto ci soffermeremo sui tentativi di conciliazione ed arbitrato extragiudiziale in caso di licenziamento sia di lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati sia di lavoratori del pubblico impiego.
La cornice normativa
Alla luce delle diverse normative in vigore, in caso di licenziamento (da adottare o già adottato) sono attualmente possibili ben quattro differenti tipi di tentativo di conciliazione: quello obbligatorio e preventivo per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, quello facoltativo e successivo ai licenziamenti di qualsiasi fattispecie, quello facoltativo e successivo al licenziamento di lavoratori in forza con contratto a “tutele crescenti” ed, infine, quello obbligatorio e successivo al licenziamento ed alla presentazione del ricorso in sede giudiziaria.
Esaminiamoli più in dettaglio, non prima però di precisare la cornice normativa che disciplina l'argomento in oggetto.
Le norme di legge che disciplinano i vari tipi di tentativo di conciliazione sono le seguenti:
Artt. 185 e 185-bis c.p.c. (l'art. 185-bis è statoinserito dall'art. 77, co. 1, lett. a, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito in L. 9 agosto 2013, n. 98), che, in via generale, affida al giudice il compito di tentare la conciliazione tra le parti costituite in giudizio; e, soprattutto, l'art. 420, che ribadisce la necessità, nell'ambito del processo del lavoro, di tentare la conciliazione;
Artt. 410 e 411 c.p.c. (così come modificati dall'art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183), che riguardano, tra le varie causali di ricorso al tentativo di conciliazione, anche tutti i tipi di licenziamento;
Art. 412-ter c.p.c. (così come modificato dall'art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183), che prevede la possibilità di ricorrere a tentativi di conciliazione anche in caso di licenziamento, in sedi e con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva;
Art. 412-quater c.p.c. (così come modificato dall'art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183), che prevede la possibilità di ricorrere a tentativi di conciliazione innanzi a collegi di conciliazione e arbitrato irrituali;
Art. 420 c.p.c., che ribadisce la necessità, nell'ambito del processo del lavoro, che il giudice tenti la conciliazione. La mancata comparizione personale delle parti, o l'ingiustificato rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio;
Art. 2113, co. 4, c.c., che prevede la non impugnabilità dell'avvenuta conciliazione, nel caso siano state rispettate le procedure previste dagli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater c.p.c.;
Art. 7, L. 15 luglio 1966, n. 604 (così come modificato dall'art 1, co. 40, della L. 28 giugno 2012, n. 92), per quanto riguarda i soli licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;
Art. 6, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, riferito soltanto ai licenziamenti di lavoratori in forza con contratto a tempoindeterminato a tutele crescenti.
Tentativo di conciliazione obbligatorio (preventivo al licenziamento)
L'art 1, co. 40, L. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. “Riforma Fornero”) ha modificato l'art. 7, L. 15 luglio 1966, n. 604 che disciplina il tentativo di conciliazione, obbligatorio e preventivo, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (quello, cioè, che l'art. 3, L. n. 604/1966 definisce come “dovuto a ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”).
La norma esclude espressamente che tale tipo di tentativo di conciliazione si applichi alle seguenti ipotesi di licenziamento:
Per giustificato motivo soggettivo (in sostanza, il licenziamento disciplinare);
Per giusta causa;
Per superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro (c.d. “periodo di comporto) exart. 2110 c.c.;
In conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale;
Per completamento delle attività e chiusura del cantiere (nel settore delle costruzioni edili).
Prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dunque, il datore di lavoro, che abbia più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva o nell'ambito comunale o più di 60 nell'ambito nazionale, deve esperire una procedura di conciliazione basata sull'esame dei motivi posti a base del recesso e finalizzata al raggiungimento di un eventuale accordo tra le parti.
Tale procedura costituisce condizione di procedibilità ai fini della legittimità del licenziamento: di conseguenza, la sua mancata attivazione determina l'illegittimità del licenziamento stesso.
In estrema sintesi, la procedura prevede che:
Il datore di lavoro, che intende procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invia alla Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) una comunicazione in cui dichiara l'intenzione di licenziare, indicando contestualmente motivi e misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. Copia di tale comunicazione deve essere trasmessa per conoscenza anche al lavoratore;
La DTL deve convocare le parti per un incontro entro il termine di 7 giorni dalla ricezione della comunicazione suddetta. Essendo stato precisato dalla legge che il termine è perentorio, in caso di mancata convocazione entro 7 giorni, il datore di lavoro può procedere al licenziamento. La legge non precisa la forma della comunicazione della DTL, che si presume però scritta. Inoltre, viene precisato che essa “si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro,”;
L'incontro si svolge dinanzi alla Commissione di Conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c. e la procedura deve concludersi entro 20 giorni dalla trasmissione della convocazione, fatte salve le ipotesi di legittimo e documentato impedimento del lavoratore ad essere presente (in tal caso la procedura può essere sospesa per un massimo di 15 giorni) e quella in cui le parti, di comune avviso, ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo;
Lavoratore e datore di lavoro possono essere assistiti dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato, oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero - ciò che rappresenta in parte una novità - da un avvocato o un consulente del lavoro nell'ambito del contenzioso extragiudiziale;
Se la conciliazione ha esito positivo, potendo prevedere soluzioni alternative al licenziamento (come, ad esempio, la risoluzione consensuale del rapporto), il lavoratore avrà la possibilità di essere affidato ad un'agenzia di ricollocazione professionale, nonché il diritto, in deroga alla disciplina ordinaria, alla nuova indennità di disoccupazione AspI. Raggiunto l'accordo, il verbale di avvenuta conciliazione, sottoscritto dal datore di lavoro, dal lavoratore ed, eventualmente, dai rappresentanti sindacali, viene depositato, a cura della Direzione territoriale del lavoro, nella cancelleria del Tribunale competente, a norma dell'art. 411 c.p.c. In questo modo l'accordo raggiunto acquista efficacia di titolo esecutivo e non sarà impugnabile, exart. 2113, co. 4, c.c.;
Se, invece, il tentativo di conciliazione ha esito negativo, viene redatto un verbale ed il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. Nel caso più che probabile che si instauri un contenzioso giudiziario, sia la mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione sia il comportamento da esse tenuto durante il tentativo stesso saranno valutati dal giudice ai fini dell'eventuale determinazione dell'indennità risarcitoria.
In base a quanto previsto dall'art. 412 c.p.c., in qualunque fase del tentativo di conciliazione le parti possono indicare la soluzione (anche parziale) sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore; possono, inoltre, accordarsi per la risoluzione della lite affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
Tentativo di conciliazione facoltativo (successivo al licenziamento)
Per qualsiasi fattispecie di licenziamento diverso da quello dovuto a giustificato motivo oggettivo, è possibile instaurare, in base all'art. 410 c.p.c. (così come modificato dall'art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183) un tentativo di conciliazione che non è più, come in precedenza, obbligatorio e propedeutico al ricorso al giudice del lavoro.
Questo tipo di tentativo di conciliazione può essere effettuato davanti alla Commissione di conciliazione presso la DTL territorialmente competente (art. 410 c.p.c.), oppure, in base all'art. 412-ter c.p.c., presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (c.d. “conciliazione in sede sindacale”), oppure ancora, innanzi al Collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dall'art. 412-quater c.p.c.
In base a consolidata giurisprudenza, si ritiene inapplicabile al licenziamento disciplinare il ricorso allo speciale collegio di conciliazione ed arbitrato previsto dall'art. 7, co. 6, L. n. 300/1970 (Cfr. Cass. sez. lav., 5 dicembre 2005, n. 26352 in Giust. Civ. Mass. 2005, 12; Cass. sez. lav., 11 giugno 2004, n. 11141 in Mass. Giust. Civ. 2004, 6 e Cass. sez. lav., 23 giugno 2001, n. 8619 in Mass. Giust. Civ. 2001, 1250).
Alquanto variegate sono le modalità di svolgimento del tentativo di conciliazione in sede sindacale previste dai CCNL, per cui descriveremo le procedure soltanto del tentativo di conciliazione presso le Commissioni di conciliazione della DTL e quelle del Collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale.
In caso di avvenuta conciliazione in sede sindacale, raggiunto l'accordo, il relativo verbale di avvenuta conciliazione, sottoscritto dal datore di lavoro, dal lavoratore e dai rappresentanti sindacali, potrà essere depositato (a cura di una delle parti o per il tramite dell'associazione sindacale) presso la Direzione territoriale del lavoro che ne accerta l'autenticità e ne cura il deposito nella cancelleria del Tribunale competente a norma dell'art 411 c.p.c. In questo modo anche l'accordo raggiunto in sede sindacale aquista efficacia di titolo esecutivo come avviene per il verbale di conciliazione amministrativa e non sarà impugnabile, exart. 2113, co. 4, c.c.
A)Commissione di conciliazione presso la DTL
Le Commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione Territoriale del Lavoro (già Direzione Provinciale del Lavoro) e sono composte dal direttore dell'ufficio stesso (o da un suo delegato, o da un magistrato collocato a riposo) in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro, e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale. Le Commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, possono affidare il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, composte dal Presidente (o da un suo delegato) e da almeno un rappresentante dei datori di lavoro ed almeno un rappresentante dei lavoratori.
La procedura è la seguente:
l'interessato (lavoratore o datore di lavoro) deve consegnare (o spedire con raccomandata con avviso di ricevimento) alla Segreteria delle Commissioni di conciliazione (anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato), specifica richiesta scritta e sottoscritta di costituzione della Commissione di conciliazione per l'effettuazione del tentativo di conciliazione, richiesta contenente:
La generalità e la residenza delle parti, se persone fisiche. Se l'istante o il convenuto sono persone giuridiche o associazioni non riconosciute, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
Il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
Il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
Il luogo dove si dovrebbe svolgere il tentativo di conciliazione;
L'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
Copia della richiesta deve essere consegnata (o spedita, sempre con raccomandata con ricevuta di ritorno) a cura della stessa parte istante alla controparte.La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
La Commissione verificherà i dati sopra indicati: se ritenuti insufficienti, verrà chiesto alla parte istante di integrarli. Se, invece, sono del tutto mancanti, la richiesta è respinta;
Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, deposita presso la Commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria;
Entro i 10 giorni successivi al deposito, la Commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, comunicandola alle parti;
Entro i 30 giorni successivi alla data di spedizione della comunicazione di fissazione della data dell'incontro per l'effettuazione del tentativo di conciliazione, questo deve essere tenuto. Dinanzi alla Commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato;
Se il tentativo di conciliazione viene espletato e la conciliazione viene raggiunta anche parzialmente, viene redatto un verbale sottoscritto dalle parti, depositato presso la DTL a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore della DTL, o un suo delegato, ne accertata l'autenticità e provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, sempre su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto;
Se invece non si raggiunge l'accordo conciliativo, la Commissione deve sottoporre alle parti una proposta conciliativa. Se questa non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti e, in caso di successivo ricorso al giudice del lavoro, questi ne dovrà tener conto in sede di giudizio.
L'accordo conciliativo così raggiunto, ai sensi dell'art. 2113. co. 4, c.c., non è più impugnabile.
B) Collegio di conciliazione ed arbitrale irrituale
Il collegio di conciliazione e arbitrato irrituale è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione.
La procedura è la seguente:
La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare alla controparte un ricorso in forma scritta e debitamente sottoscritto dal ricorrente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere:
La nomina dell'arbitro di parte;
L'indicazione dell'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda;
Il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità;
Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato, nomina il proprio arbitro di parte, il quale procede, entro 30 giorni dalla notifica del ricorso ed ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. In mancanza di accordo, la parte ricorrente può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato, oppure, se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro oppue ove si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
Una volta scelto il terzo arbitro e la sede del collegio, la parte convenuta, entro 30 giorni dalla data di tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere:
Le difese e le eccezioni in fatto e in diritto;
Le eventuali domande in via riconvenzionale;
L'indicazione dei mezzi di prova.
Entro 10 giorni dal deposito della memoria difensiva, il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso;
Entro i 10 giorni successivi al deposito della memoria di replica del ricorrente il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva;
Entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, il collegio fissa il giorno dell'udienza, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima;
All'udienza, il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, la procedura è la stessa di quella prevista nel caso del tentativo effettuato presso la Commissione di conciliazione della DTL;
Se invece la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove; altrimenti, invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l'assunzione delle stesse e la discussione orale.
Entro i 20 giorni successivi all'udienza di discussione, la controversia è decisa con un lodo che, sottoscritto dagli arbitri ed autenticato, exartt. 1372 e 2113 c.c., diventa non impugnabile se non per i motivi tassativamente indicati dall'art. 808-ter c.p.c. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell'articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo; decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.
La procedura arbitrale, soprattutto in materia di licenziamenti, non risulta però molto utilizzata. Le controindicazioni sono numerose e vanno dal fatto che la pronunzia arbitrale non è impugnabile nel merito ex art. 2113 c.c. (impedendo così il ricorso ulteriore gradi di giudizio), a quello che in alcuni casi vi è una diffidenza ricorrere alla cosiddetta "giustizia privata", a quello che i costi possono risultare più elevati in quanto i componenti del collegio arbitrale devono essere compensati dalle parti mentre l'utilizzo della magistratura è, teoricamente, gratuito.
Tentativo di conciliazione (facoltativo e successivo al licenziamento) nel contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti
Introdotto dall'art. 6, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (uno dei provvedimenti legislativi del c.d. “Jobs Act”), questa ulteriore fattispecie di tentativo di conciliazione (definito dal legislatore “offerta di conciliazione”) si applica ai contenziosi in materia di licenziamento sorti esclusivamente con i lavoratori assunti, a partire dal 7 marzo 2015, con contratto a tempo indeterminatoa tutele crescenti (anche di apprendistato), nonché ai lavoratori che, sempre dal 7 marzo 2015, abbiano accettato di trasformare un contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (anche di apprendistato).
La procedura è la seguente:
Entro 60 giorni dalla data dell'avvenuto licenziamento, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, in cambio della rinuncia ad impugnare il licenziamento in sede giudiziaria, un importo in denaro di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, compreso tra un minimo di due ed un massimo di diciotto mensilità;
Se il lavoratore manifesta la propria disponibilità, si dovrà procedere ad un incontro presso la Commissione di conciliazione presso la DTL competente (art. 410 c.p.c.), oppure presso gli organi deputati alla conciliazione dai CCNL (art. 412-ter c.p.c.), oppure ancora, presso lo speciale collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412-quater c.p.c.); oppure, infine, presso le commissioni di certificazione (art. 76, D.Lgs. n. 276/2003);
In quelle sedi, il datore di lavoro consegnerà al lavoratore un assegno circolare con la somma offerta. L'accettazione di tale assegno, che sarà debitamente formalizzata in apposito verbale con le stesse modalità viste a proposito delle conciliazioni intervenute presso una delle sedi suddette, comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta. Anche in questo caso, l'efficacia esecutiva dell'accordo di avvenuta conciliazione è subordinata alla verifica da parte della Direzione territoriale del lavoro che, accertata l'autenticità, ne cura il deposito, a norma dell'art 411 c.p.c., nella cancelleria del Tribunale competente. L'accordo conciliativo, ai sensi dell'art. 2113, co. 4, c.c.non è più impugnabile.
Entro 65 giorni dalla data di effettiva cessazione del rapporto, tramite procedura “UNILAV – Conciliazione“ sul portale Cliclavoro, nella sezione “adempimenti”, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare una comunicazione obbligatoria integrativa della comunicazione di avvenuta cessazione. Sul punto si veda Ministero del Lavoro, Nota 27 maggio 2015, prot. 2788 e la Guida UNILAV alla conciliazione
Questo tipo di tentativo di conciliazione (che non è di ostacolo al ricorso ad altri tipi di tentativi di conciliazione ed arbitrato) presenta due aspetti particolari:
Può essere proposto soltanto dal datore di lavoro;
La cifra offerta dal datore di lavoro (ed accettata dal lavoratore) non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Eventuali altre somme pattuite nella stessa sede conciliativa, a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro, sono invece soggette al regime fiscale ordinario.
Questa procedura, introdotta nel 2015, può avere un effetto deflattivo sul contenzioso in materia di licenziamenti per i lavoratori assunti a tutele crescenti ma presenta alcuni profili di criticità per quanto riguarda i termini, che sono alquanto ristretti, e da alcuni adempimenti, quali la comunicazione al portale "Cliclavoro", di cui non se ne individua la necessità se non a fini puramente statistici. Parrebbe quasi che il legislatore abbia assunto un atteggiamento schizofrenico, introducendo, da un lato, una procedura snella e, dall'altro, adempimenti aggiuntivi che possono disincentivare il ricorso a tale procedura, tenuto anche conto che è stata prevista una sanzione amministrativa in caso di omissione degli adempimenti formali di comunicazione.
È auspicabile una semplificazione di questa procedura di conciliazione ed una estensione della sua utilizzabilità anche oltre il termine attualmente previsto dalla disciplina legislativa (60 giorni dal licenziamento). Se, da un lato, è comprensibile la fissazione di termini ristretti allo scopo di dirimere rapidamente contenziosi sui licenziamenti, dall'altro non è comprensibile perché questo tipo di procedura, snella, rapida e con soluzione predeterminata dell'importo da erogare, non possa trovare applicazione anche dopo lo spirare dei termini di impugnazione del licenziamento o, addirittura, in sede giudiziaria.
Tentativo di conciliazione giudiziale obbligatorio (successivo al licenziamento)
Una volta presentato il ricorso al giudice del lavoro, questi, exart. 420 c.p.c., nell'udienza fissata per la discussione della causa (ma anche successivamente, in qualsiasi momento della fase istruttoria in base all'art. 185 c.p.c.), dopo aver interrogato liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa.
Se le parti si sono conciliate, sarà redatto idoneo processo verbale, che costituisce titolo esecutivo e non sarà impugnabile, exart. 2113, co. 4, c.c.
La mancata comparizione personale delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.
Le varie fattispecie di tentativi di conciliazione in caso di licenziamento
Fattispecie
Tipo di licenziamento
Norme di riferimento
Competenza
Obbligatorio preventivo
Per giustificato motivo oggettivo
Art. 7, L. 15 luglio 1966, n. 604 (*)
Commissione di conciliazione presso la DTL territorialmente competente (art. 410 c.p.c.)
Facoltativo successivo
Tutti
Artt. 410, 412-ter e 412-quater c.p.c.(**);
art. 31 della L. 4 novembre 2010, n. 183
Commissione di conciliazione presso la DTL territorialmente competente (art. 410 c.p.c.)
oppure
Organi previsti dai CCNL (art. 412-ter c.p.c.)
oppure
Collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412-quater c.p.c.)
Facoltativo successivo
Tutti, nel caso di lavoratori in forza con contratto a tempo indeterminato e a tutele crescenti
Art. 6, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23
Commissione di conciliazione presso la DTL territorialmente competente (art. 410 c.p.c.)
oppure
Organi previsti dai CCNL (art. 412-ter c.p.c.)
oppure
Collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412-quater c.p.c.)
oppure
Commissioni di certificazione (art. 76, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276)
Obbligatorio successivo
Tutti
Art. 420 c.p.c. (***)
Giudice del lavoro
(*) Come modificato dall'art 1, co. 40, della L. 28 giugno 2012, n. 92 e dall'art. 7, co. 4, del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99.
(**) Come modificati dall'art. 31 della L. 4 novembre 2010, n. 183.
(***) Come modificato dall'art. 31 della L. 4 novembre 2010, n.183.
Considerazioni conclusive
In un'epoca in cui la semplificazione è fondamentale, la creazioni di sovrastrutture e procedure complicate provoca l'effetto opposto a quello voluto, non introducendo maggiori tutele o garanzie ma soltanto farraginosità, incomprensibilità, prolungamento dei tempi ed incremento dei costi - tutti elementi che non producono certo maggiore competitività ed efficienza.
Unificare in un unico strumento stragiudiziale ed in uno solo giudiziale i vari percorsi non eliminerebbe le protezioni - trattandosi di meccanismi meramente procedurali -, ma agevolerebbe lo snellimento e la riduzione del contenzioso.
Si pensi, ad esempio, al c.d. "rito Fornero", quello che deve precedere il licenziamento per motivi economici: comporta il coinvolgimento di minimo cinque, ma usualmente almeno sette, soggetti (il datore di lavoro ed il lavoratore, i tre membri della commissione di conciliazione ed almeno un consulente per ciascuna delle parti), per verificare come si tratti di una procedura complessa e dispendiosa, che solo parzialmente produce effetti deflattivi sul contenzioso del lavoro.
Una buona soluzione potrebbe essere quella di utilizzare in tutti i casi di licenziamento -e, magari, ad ogni tipo di controversia in materia di rapporto di lavoro- il tentativo facoltativo di conciliazione previsto per i lavoratori in forza con contratto a tutele crescenti (quello, per intenderci, in cui si offre l'assegno circolare), che coinvolgerebbe soltanto le parti interessate e, al limite, i loro consulenti, tenendo fuori le strutture pubbliche ed utilizzandole, se proprio necessario, unicamente per la formalizzazione degli accordi.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Tentativo di conciliazione obbligatorio (preventivo al licenziamento)
Tentativo di conciliazione facoltativo (successivo al licenziamento)
Tentativo di conciliazione (facoltativo e successivo al licenziamento) nel contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti
Tentativo di conciliazione giudiziale obbligatorio (successivo al licenziamento)