L'ambito di applicabilità della Legge Fornero alla luce del principio di irretroattività

03 Agosto 2015

La circostanza che l'art. 1, comma 67, L. n. 92/2012 preveda l'applicabilità delle nuove norme processuali solo alle controversie instaurate dopo l'entrata in vigore della legge stessa non significa, a contrariis, che le nuove norme sostanziali in essa contenute siano applicabili ai licenziamenti anteriormente intimati, ma semplicemente che queste ultime seguono, in assenza di esplicita disposizione contraria, la regola dell'irretroattività sancita dall'art. 11 delle preleggi, regola a cui può derogarsi solo se ciò è espressamente previsto da apposita disposizione di diritto transitorio, che nel caso di specie manca. In assenza di un'espressa disposizione derogatoria, il principio dell'irretroattività della legge, previsto dall'art. 11 delle preleggi, fa sì che la nuova legge non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, come si verifica nell'ipotesi di un licenziamento giudicato illegittimo.
Massima

La circostanza che l'art. 1, comma 67, L. n. 92/2012 preveda l'applicabilità delle nuove norme processuali solo alle controversie instaurate dopo l'entrata in vigore della legge stessa non significa, a contrariis, che le nuove norme sostanziali in essa contenute siano applicabili ai licenziamenti anteriormente intimati, ma semplicemente che queste ultime seguono, in assenza di esplicita disposizione contraria, la regola dell'irretroattività sancita dall'art. 11 delle preleggi, regola a cui può derogarsi solo se ciò è espressamente previsto da apposita disposizione di diritto transitorio, che nel caso di specie manca. In assenza di un'espressa disposizione derogatoria, il principio dell'irretroattività della legge, previsto dall'art. 11 delle preleggi, fa sì che la nuova legge non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, come si verifica nell'ipotesi di un licenziamento giudicato illegittimo.

Il caso

Il lavoratore era stato licenziato nell'aprile del 2012 dalla società datrice di lavoro, per avere, nella conclusione di un contratto di leasing, consentito pratiche commerciali contrarie alle procedure aziendali, esponendo la Società al rischio di incorrere in inadempimenti ed insolvibilità, cosa di fatto verificatasi nella circostanza per il cliente, con conseguenti danni economici.

L'impugnazione del licenziamento veniva accolta in prime cure, all'esito di opposizione all'ordinanza ex art. 1, comma 49, L. n. 92/2012, con applicazione della tutela reale.

La Corte di Appello di Milano concludeva rigettando il reclamo proposto dalla parte datoriale e rilevava che il mancato rispetto delle procedure aziendali, senza alcun danno per l'azienda, non potesse integrare in sé la giusta causa di recesso ai sensi dell'art. 2119 c.c., né una delle ipotesi dell'art. 48 CCNL applicato. Inoltre la Corte territoriale, non mancando di sottolineare come neppure fosse ravvisabile un giustificato motivo soggettivo, sia avuto riguardo alla gravità dell'inadempimento, sia perché si era trattato di un unico addebito in una carriera iniziata molti anni prima, confermava la pronuncia del giudice di prime cure, e quindi l'applicabilità della tutela reale, osservando che le modifiche di diritto sostanziale dell'art. 18 L. n. 300/1970, introdotte dall'art. 1 L. n. 92/2012, sono applicabili soltanto ai licenziamenti intimati dopo il 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della novella legislativa.

La società proponeva ricorso per Cassazione articolato su quattro motivi, tra i quali meritano particolare attenzione il primo ed il quarto. Invero, con il motivo posto in apertura del ricorso, la società, denunciando la violazione degli artt. 111 Cost., 51, comma 1, n. 4 e 158 c.p.c., deduceva che la sentenza di primo grado era stata illegittimamente resa dallo stesso giudice persona fisica che si era pronunciato nella prima fase del procedimento. La ricorrente assumeva quindi che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare, anche ai sensi dell'art. 158 c.p.c., la nullità della pronuncia di prime cure, stante la mancata osservanza dell'obbligo di astensione del giudicante.

Con il quarto ed ultimo motivo, la società ricorrente chiedeva poi la cassazione della sentenza impugnata per non aver applicato lo ius superveniens costituito dal nuovo testo dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dalla Legge Fornero.

La questione

Preliminarmente, giova sottolineare che i profili sottoposti alla Corte di Cassazione sono particolarmente interessanti poiché mettono in luce il duplice regime di applicabilità della Legge Fornero. Invero, mentre la disciplina sostanziale prevista dalla L. n. 92/2012 si applica solo ai licenziamenti intimati successivamente alla sua entrata in vigore, sotto il profilo processuale si assiste ad una sorta di applicabilità anticipata, poiché il rito Fornero trova applicazione con riferimento alle controversie instaurate dopo la sua entrata in vigore (art. 1, comma 67), ancorché aventi ad oggetto un recesso intimato anteriormente. Ne consegue che ai fini dell'applicabilità del rito Fornero si tiene in considerazione unicamente la data di instaurazione della causa, perdendo così ogni rilievo il dato concernente il licenziamento intimato.

Nel decidere la questione, la Corte di Cassazione premette che non ricorre l'ipotesi di un provvedimento emesso da un soggetto privo di potestas iudicandi, e che pertanto non si configura il caso delineato dall'art. 158 c.p.c. secondo cui “la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all'intervento del pubblico ministero è insanabile e deve essere rilevata d'ufficio, salva la disposizione dell'articolo 161”. D'altra parte, la Corte rileva come venga dedotta la sussistenza di una ragione di incompatibilità del giudice persona fisica di cui all'art. 51 n. 4 c.p.c., e che quindi trovi applicazione il principio secondo il quale il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo esercita entro il termine fissato ex art. 52 c.p.c., non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice. Ne deriva che, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza (Cass. SU. n. 3527/2002, nonché ex plurimis Cass. n. 11187/2007).

Sotto il secondo profilo, quello di diritto sostanziale, la Corte, richiamando i suoi precedenti - le pronunce nn. 10550/2013 e 301/2014 - ribadisce l'irretroattività della Legge Fornero, punto già affrontato e condivisibilmente risolto, negando così l'applicazione della nuova disciplina sanzionatoria prevista dalla L. n. 92/2012 ai licenziamenti intimati anteriormente.

In tal senso la Suprema Corte porta ad evidenza l'ambito di applicabilità del diritto sopravvenuto in materia di legge Fornero, chiarendo che “lo ius superveniens è applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore”.

In altre parole, così argomentando, la Corte di Cassazione corrobora l'assunto che la nuova legge non possa essere applicata ai licenziamenti intimati prima della sua entrata in vigore, poiché altrimenti si inciderebbe sulle situazioni giuridiche concluse e su quelle successive scaturenti dagli stessi.

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento al profilo sostanziale, la Corte di Cassazione ha concluso il caso in esame facendo applicazione del principio di diritto dell'irretroattività della legge. Invero, ai sensi dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha pertanto effetto retroattivo.

Secondo C. M. Bianca (v. infra, Riferimenti bibliografici), il principio di irretroattività consiste nel fatto che la legge è valevole per il tempo successivo alla sua entrata in vigore facendo salvi gli effetti giuridici derivanti da fattispecie anteriormente perfezionate.

In generale la norma giuridica è irretroattiva, e quindi, non dettando regole valevoli per un tempo anteriore a quello della sua entrata in vigore, non è diretta ad influire sulle situazioni giuridiche esaurite.

Giova altresì sottolineare come per risalente e consolidata massima giurisprudenziale, il principio di irretroattività comporta che la nuova legge non può essere applicata ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, né a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia in tutto o in parte alle conseguenze attuali e future di esso (Cass. 3 marzo 2000, n. 2433).

Alla luce di quanto osservato, poiché l'art. 11 disp. prel. ha valore di legge ordinaria, il legislatore può eventualmente attribuire retroattività ad una previsione normativa, fermo restando che la norma retroattiva è soggetta a censura qualora si ponga in contrasto con i principi costituzionali. Invero, secondo la Corte Costituzionale, l'emanazione di una norma retroattiva, ben può aver luogo, purché sia adeguatamente giustificata sul piano della ragionevolezza e non sia in contrasto con i singoli valori e interessi costituzionalmente protetti, così da non determinare un'arbitraria applicazione rispetto alle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (Cfr. Corte Cost. 18 ottobre 2010 n. 302, ex plurimis Corte Cost. sentenze nn. 236 e 206 del 2009 e n. 282 del 2005).

Per quanto concerne invece il profilo processuale, il riconoscimento da parte della Corte di Cassazione della potestas iudicandi al medesimo organo giudicante (persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex art. 1, comma 51, L. n. 92/2012 che abbia pronunciato l'ordinanza di cui all'art. 1, comma 49, L. n. 92/2012, è stato confermato recentemente dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 78 del 13 maggio 2015, ha meglio chiarito il carattere peculiare del rito impugnatorio dei licenziamenti disegnato dal legislatore del 2012.

La Consulta, adita dal Tribunale ordinario di Milano, era stata chiamata a stabilire se alla luce dell'art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. che prevede l'obbligo di astensione in capo al magistrato che abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, il procedimento disciplinato dalla L. n. 92/2012 fosse in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. Invero, nel contesto del nuovo rito impugnatorio dei licenziamenti, è previsto che avverso l'ordinanza che decide in via semplificata sul ricorso del lavoratore, possa essere proposta opposizione da depositare dinanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto. Ad avviso del Tribunale di Milano, si determinerebbe un'irragionevole diversità di disciplina rispetto all'ipotesi similare dell'art. 669-terdecies, comma 2, c.p.c. che, con riferimento all'istituto del reclamo del procedimento cautelare, stabilisce l'incompatibilità tra il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato e il giudice, in composizione collegiale, designato alla trattazione e alla decisione del reclamo proposto.

La Corte Costituzionale, fugando ogni dubbio di illegittimità costituzionale, sottolinea che nel rito impugnatorio dei licenziamenti la fase di opposizione non costituisce una revisio prioris instantiae della fase precedente, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado. Pertanto, non postula l'obbligo di astensione previsto dall'art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. che invece si riferisce espressamente al magistrato che abbia conosciuto della controversia in altro grado del processo, e non già nel medesimo. Ne consegue che non si configura alcuna irragionevole disparità di trattamento di disciplina rispetto a quella del reclamo contro i provvedimenti cautelari di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. e ciò perché, mentre il reclamo avverso l'ordinanza con cui è stata concessa o negata la misura cautelare integra una vera e propria impugnazione, il procedimento disciplinato dalla L. n. 92/2012 è dotato di una struttura bifasica scandita da una prima e necessaria fase sommaria e da una successiva ed eventuale fase a cognizione piena. Di guisa che, stante l'unicità del grado di giudizio nel quale si esplicano le suddette fasi del rito avente ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti, non viene in discussione la disciplina dell'astensione poiché non si tratta di una pluralità di gradi di giudizio, bensì dell'articolazione di un unico iter processuale.

Osservazioni

A chiusura di questa disamina, sembra opportuno delineare, seppure in maniera essenziale, quale sia il quadro attuale della disciplina dei licenziamenti individuali, alla luce dell'entrata in vigore del nuovo D.Lgs. n. 23/2015Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti” (c.d. Jobs Act) che ha introdotto ulteriori modifiche alla materia del diritto del lavoro. L'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015 dispone che il nuovo regime di tutela contro i licenziamenti illegittimi si applica a “lavoratori con la qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. L'effetto che ne deriva è la tripartizione del regime di tutela a fronte del licenziamento individuale:

  • per i licenziamenti intimati prima dell'entrata in vigore del rito Fornero, trova applicazione l'art. 18 Statuto dei Lavoratori nella versione pre-Fornero, che prevede la tutela reale;
  • per coloro che sono stati assunti prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015 ai quali il licenziamento sia stato intimato dopo l'entrata in vigore della riforma Fornero, si applica l'art. 18 Statuto dei Lavoratori nel testo modificato dalla L. n. 92/2012;
  • per coloro che sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, quindi dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, la tutela prevista è prevalentemente di tipo indennitario, (un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio), mentre il diritto alla reintegrazione è limitato ai licenziamenti nulli, discriminatori e per specifiche fattispecie di recesso disciplinare ingiustificato.

Giova sottolineare che mentre nella Legge Fornero il discrimine per l'applicazione o meno della nuova disciplina è costituito dalla data del recesso intimato, nel Jobs Act il fondamento del distinguo si rintraccia nella data dell'assunzione con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La diversità della normativa applicabile reca con sé la convivenza di differenti forme di tutela del lavoratore.

Come rilevato da G. Ricci (v. infra, Riferimenti bibliografici), nonostante l'applicabilità delle diverse normative comporti la coesistenza di forme di tutela differenziate, non sembra configurarsi una violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), poiché per consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, sono legittimi quei trattamenti differenziati applicati “alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche” (da ultimo, Corte Cost. 13 novembre 2014, n. 254, www.cortecostituzionale.it).

Guida all'approfondimento

C. M. Bianca, Diritto Civile, 2002 Milano, I, 114 ss.

Foro It., Rep. Maggio 2015, parte IV e V, 230 ss., “La promozione dell'occupazione stabile fra contratto di lavoro a tutele crescenti e sgravi contributivi: le politiche «integrate» del lavoro nella riforma del governo Renzi”, G. Ricci, in La riforma del lavoro (c.d. Jobs Act). Il contratto di lavoro a tutele crescenti e gli strumenti di contrasto alla disoccupazione (d.leg. 4 marzo 2015 nn. 22 e 23).

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