Il lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione

Annalisa Ebreo
10 Agosto 2017

Nel corso degli anni si è assistito ad una tendenza (invero discontinua) volta alla progressiva applicazione di elementi della disciplina privatistica anche ai lavoratori chiamati ad operare alle dipendenze dello Stato. Tuttavia, la peculiare natura del datore di lavoro pubblico ha determinato il permanere di ambiti sottratti alle leggi ed ai principi propri del rapporto di lavoro privato. Elementi di specialità li ritroviamo in primis nella materia inerente l'accesso al pubblico impiego. Tutt'oggi, infatti, sussiste l'obbligo di procedere alla scelta del personale delle pubbliche amministrazioni tramite procedura selettiva. Adattate alla peculiare natura del rapporto di lavoro pubblico sono altresì le discipline dei c.d. “contratti flessibili”. Nel presente contributo si procederà all'esame dei suddetti istituti anche alla luce delle modifiche apportate al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (anche detto T.U.) dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 e (in minima parte) dalla Legge 22 maggio 2017 n. 81, il Jobs Act del lavoro autonomo.
La specialità della procedura di accesso al pubblico impiego privatizzato: il principio costituzionale del concorso pubblico

La materia dell'accesso al pubblico impiego presenta una disciplina ben distinta rispetto a quella dell'impiego privato.

Le principali norme di riferimento le ritroviamo nella Carta Costituzionale e nelle fonti primarie.

La materia è infatti sottratta alle fonti negoziali così come esplicitato dall'art. 40, comma 1 del D.Lgs. n. 165/2001 il quale prevede che: “sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie (…) di cui all'art. 2, comma 1, lett. C della L. 23 ottobre 1992, n. 421” ovvero, tra le altre, quelle relative ai “procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro” (art. 2, comma 1, lett. C, punto 4, L. n. 421/1992).

Nel dettaglio, la Costituzione pone le fondamenta dell'istituto per mezzo delle seguenti disposizioni:

  • l'art. 97, comma 3, il quale prevede che alla pubblica amministrazione si accede “mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge”;
  • l'art. 51, comma 1, secondo il quale “tutti i cittadini, dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”;
  • l'art. 98, comma I, la cui prescrizione sancisce che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

Da tali prescrizioni ne è derivato che “nel concorso pubblico va riconosciuta la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione” (Corte Cost., 17 marzo 2015, n. 37).

Chiamata più volte a pronunciarsi sulle norme che individuano nel concorso il mezzo ordinario per accedere agli impieghi pubblici, la Corte Costituzionale ha ripetutamente sottolineato la relazione intercorrente tra l'art. 97 e gli artt. 51 e 98 Cost., osservando come “in un ordinamento democratico - che affida all'azione dell'amministrazione, separata nettamente da quella di governo (politica per definizione), il perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall'ordinamento - il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resta il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d'imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione. Valore, quest'ultimo, in relazione al quale il principio posto dall'art. 97 Cost. impone che l'esame del merito sia indipendente da ogni considerazione connessa alle condizioni personali dei vari concorrenti” (v. Corte Cost., 1999, n. 1, 1993 n. 333 e 1990 n. 453).

Il fine che il Costituente ha voluto perseguire attraverso la previsione dello strumento concorsuale quale mezzo di selezione è quello di garantire che l'accesso all'impiego pubblico avvenga in modo imparziale nel pieno rispetto del principio costituzionale di eguaglianza tra tutti i cittadini (art. 51 Cost.)

Al principio generale così espresso è possibile derogare solo al ricorrere di particolari e straordinarie esigenze pubbliche.

In particolare, “deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall'esigenza di garantire il buon andamento dell'amministrazione (cfr., per tutte, sentenza n. 477 del 1995) o di attuare altri princìpi di rilievo costituzionale, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratti di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi” (Corte Cost., 1999, n. 1).

Il principio del “concorso come modalità di reclutamento” non riguarda solo la fase costitutiva del rapporto ma va a condizionare anche l'iter per l'accesso dei dipendenti pubblici a funzioni più elevate o anche solo ad un livello di inquadramento superiore.

Sul punto la Corte Costituzionale con la sentenza del 17 marzo 2015, n. 37, ha ribadito che “secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta "l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso" (Corte Cost., 2002, n. 194; ex plurimis, inoltre, sentenze 2012, n. 217, 2011, n. 7, 2010, n. 150, 2009, n. 293)”.

Analoga procedura va seguita per la stipula di contratti a termine ovvero per il conferimento di collaborazioni coordinate e continuative non incluse negli incarichi di diretta collaborazione ex art 14 comma 2 D. Lgs. n. 165/2001.

Stante la regola generale dell'assunzione tramite concorso pubblico ne deriva che, in caso di rapporti di lavoro instaurati o mutati in assenza di procedura selettiva, non inclusi nelle fattispecie espressamente sottratte all'applicazione del principio, questi siano da considerarsi affetti da nullità.

Sul punto il Consiglio di Stato ha statuito che “il rapporto di pubblico impiego che sia da ritenersi nullo in quanto istituito in violazione di divieti di legge, si configura come rapporto di fatto non illecito nell'oggetto o nella causa, che trova la sua disciplina economica e previdenziale, limitatamente al periodo della sua esecuzione, nel principio generale sancito dal cit. art. 2126 cod. civ” (Consiglio di Stato, 30 aprile 2014, n. 2270).

Se nella Carta Costituzionale è dato ritrovare il principio generale dell'accesso al pubblico impiego tramite concorso, è alle fonti primarie che dobbiamo guardare per la declinazione delle modalità di attuazione di tale procedura.

Il processo di selezione dei pubblici dipendenti e la programmazione delle nuove assunzioni

Al fine di individuare la disciplina positiva delle procedure di selezione occorre far riferimento sia all'art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001 che al D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, tutt'oggi applicabile anche agli Enti Locali, “per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36 (…)” (art. 70, comma 13, D.Lgs. n. 165/2001).

All'art. 35, comma 1, lett. a, il T.U. prevede che “l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno”.

Al comma 3 dell'art. 35 troviamo indicati i principi cui debbono conformarsi le procedure di reclutamento e, precisamente:

  • pubblicità della selezione. Tale principio può dirsi rispettato laddove si sia avuta la pubblicazione del bando di concorso sulla Gazzetta Ufficiale, come previsto dall'art. 4 del D.P.R. 487/1994. Sul punto anche la giurisprudenza ritiene che “L'obbligo di pubblicazione dei bandi per concorso a pubblico impiego nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, previsto dall'art. 4 del D.P.R. n. 487 del 1994, costituisce una regola generale attuativa dell'art. 51, primo comma, e dell'art. 97, comma terzo, della Costituzione. Tale regola ha la finalità di consentire la concreta massima conoscibilità dell'indizione di un concorso pubblico a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residenza sul territorio dello Stato e non è stata incisa – neanche per incompatibilità - dall'art. 35, comma 3, lett. a), del D.Lgs. n. 165/2001, che ha fissato il criterio della «adeguata pubblicità», in aggiunta e non in sostituzione della regola di carattere generale” (Consiglio di Stato, 25 gennaio 2016, n. 227);
  • imparzialità, economicità e celerità nelle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali ricorrendo, ove opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione. Dal mancato rispetto del principio di celerità ne consegue che la pubblica amministrazione “può essere ritenuta responsabile del pregiudizio subito dal concorrente” (Cass. sez. lav., 22 novembre 2003, n. 17794).
  • oggettività e trasparenza dei meccanismi per la verifica del possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire. Per quanto attiene i concorsi per titoli ed esami, al fine di garantire il rispetto del criterio dell'oggettività e della trasparenza, la giurisprudenza ritiene applicabili gli art. 7 e 8, comma 2 del D.P.R. n. 487/1994. Il Tar del Lazio, con la sentenza del 26 giugno 2014, n. 6611 ha ribadito che “l'incidenza dei titoli sul punteggio complessivo finale è stata graduata direttamente dal legislatore, il quale all'art. 8 comma 2 del D.P.R. n. 487/94 ha previsto espressamente che per i titoli non può essere attribuito un punteggio complessivo superiore a 10/30 o equivalente. Quindi, il problema di graduare l'incidenza dei titoli e del relativo punteggio sulla votazione complessiva finale, è stato risolto a monte direttamente dal legislatore che ha normativamente prefissato il limite invalicabile dell'incidenza dei titoli sulla valutazione complessiva (cfr. nei termini Consiglio di Stato, sez. V, 7 ottobre 2013, n. 4922)”. Sempre il Tar ha ulteriormente chiarito che “nei concorsi per titoli ed esami il punteggio complessivo è costituito dalla somma del punteggio conseguito per la valutazione dei titoli, dalla media del punteggio realizzato nelle prove scritte e dal punteggio attribuito alla prova orale in quanto, pur non prevedendo espressamente il comma 4 dell'art. 8 del D.P.R. n. 487 del 1994 il criterio della media dei voti riportati nelle prove scritte - esplicitamente richiamata solo dall'art. 7, comma 3, per i concorsi per soli esami - tale norma deve essere sottoposta ad una lettura coordinata con il precedente articolo, imponendo ragioni sistematiche di coordinamento normativo che il criterio della media dei voti per le prove scritte si applichi anche ai concorsi per titoli ed esami” (Tar del Lazio, 7 agosto 2014, n. 8848). Solo dall'applicazione di tali parametri consegue il pieno rispetto del criterio di cui all'art. 35 del T.U.;
  • pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori. L'applicazione di tale principio comporta che almeno un terzo dei posti delle commissioni di concorso debba essere riservato alle donne, salva comprovata impossibilità di cui deve essere data adeguata pubblicità sin dalla pubblicazione del bando di concorso. La ratio della norma è stata individuata nella volontà di “tutelare un interesse diretto dello Stato comunità ovvero quello dell'effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali pubblici” (Tar Lazio, sentenza 12 gennaio 2007, n. 149). Il Consiglio di Stato, con la sentenza 26 giugno 2015, n. 3240 ha, però, voluto porre un limite agli effetti automatici di tale principio statuendo che “la normativa sulle pari opportunità è preordinata a garantire nel senso più ampio le possibilità di occupazione femminile, sicché la sua violazione non può venir contestata altro che dalle possibili beneficiarie della stessa: in assenza di una esplicita disposizione normativa che preveda il contrario, la violazione della normativa di settore non esplica di per sé effetti vizianti delle operazioni concorsuali ed è rilevante soltanto in presenza di una condotta discriminatoria del collegio in danno dei concorrenti di sesso femminile (Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7962)”;
  • imparzialità e provata competenza nelle materie di concorso dei membri delle commissioni da individuaretra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali. Su tale prescrizione il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5325 del 2006, ha concluso che “la norma regolamentare secondo cui i due componenti della Commissione concorsuale devono “essere membri esperti nelle materie oggetto del concorso” non va intesa nel senso che essi debbano essere necessariamente titolari dell'insegnamento delle specifiche materie oggetto del concorso”.

Inoltre, il legislatore è di recente intervenuto ad implementare le linee guida cui debbono conformarsi le procedure di reclutamento. Ed infatti, l'art. 6 del D.Lgs. n. 75/2017, ha inserito all'art. 35 del T.U. le lettere e-bis ed e-ter le quali prevedono:

  • (e-bis) “è facoltà, per ciascuna amministrazione, di limitare nel bando il numero degli eventuali idonei in misura non superiore al venti per cento dei posti messi a concorso, con arrotondamento all'unità superiore, fermo restando quanto previsto dall'art. 400, comma 15, del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e dal D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59”. Così disponendo il legislatore introduce, per la prima volta, un limite alla lista degli idonei non vincitori di concorso e lo fa con il chiaro intento di porre un limite alle assunzioni per scorrimento, non considerate favorevolmente nell'interesse della gestione della cosa pubblica.
  • (e-ter) prevede, invece, la «possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli eventualmente rilevanti ai fini del concorso”. L'intento è quello di selezionare personale qualificato e professionalmente adeguato ai diversi profili professionali.
La predeterminazione organica del personale

Esaminati i principi cui deve ottemperare una procedura concorsuale per poter essere ritenuta legittima, va parimenti rilevato che la decisione di procedere o meno all'espletamento di una selezione non è rimessa alla libera determinazione dell'amministrazione.

Nelle pubbliche amministrazione, infatti, vige il principio della “predeterminazione organica del personale”.

Tale principio impone agli enti di reintegrare le proprie dotazioni organiche solo al verificarsi di cessazioni dal servizio ovvero scoperture in alcune funzioni sempre e solo nel rispetto dei vincoli prescritti dalla legge affinché i costi delle assunzioni siano compatibili con gli obiettivi di finanza pubblica.

Sino alla riforma apportata dal D.Lgs. n. 75/2017 la programmazione delle risorse umane è stata effettuata per mezzo della dotazione organica per come disciplinata dall'art. 6 del T.U.

L'art. 6 del D.Lgs. n. 165/2001, ante riforma del 2017, prevedeva che ciascuna amministrazione doveva predeterminare da subito la consistenza delle proprie dotazioni di personale in termini di piante organiche.

Ciò determinava l'obbligo di specificare sin dall'origine funzioni e livelli di inquadramento predefiniti.

Ne conseguiva che, nel caso in cui si fosse reso necessario variare i profili dei componenti le dotazioni organiche, si sarebbe dovuto far ricorso alle medesime procedure adottate per deliberarle, a prescindere dal fatto che tali variazioni derivassero o meno variazioni di spesa.

A tal fine la ridefinizione della dotazione organica avrebbe dovuto aver luogo almeno con cadenza triennale e tutte le variazioni delle dotazioni organiche avrebbero dovuto essere approvate dall'organo di vertice dell'amministrazione.

L'art. 6 è stato profondamente modificato dal D.Lgs. n. 75/2017 ed ha visto l'introduzione anche di due nuovi articoli, ovvero il 6-bis ed il 6-ter.

Il nuovo sistema prevede la sostituzione delle dotazioni organiche ad opera del nuovo piano triennale dei fabbisogni da predisporsi quale proiezione sul triennio ad opera dei singoli enti, coerente con le linee di indirizzo fissate con Decreti del Ministero per la semplificazione e la PA di concerto con il Ministero dell'economia e finanze, ma anche con l'organizzazione degli uffici e con la pianificazione pluriennale delle attività e delle performance per una programmatica copertura del fabbisogno di personale nei (soli) limiti delle risorse finanziarie disponibili.

Annualmente, poi, le singole amministrazioni sono chiamate ad adottare il piano dei fabbisogni effettivo accompagnandolo con l'indicazione delle risorse finanziarie destinate alla sua attuazione, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente.

Per l'adozione dei piani deve essere assicurata la preventiva informazione sindacale, se prevista dai contratti collettivi nazionali.

In caso di inadempienza agli obblighi di programmazione scatta per le amministrazioni il divieto di procedere all'assunzione di nuovo personale. In caso di adempimento, invece, le stesse non sono più vincolate al mantenimento del medesimo organigramma, potendo invece mutarlo per meglio adeguarlo alle esigenze contingenti, pur nel rispetto dei vincoli di spesa.

Nella programmazione si deve dar conto anche delle eventuali categorie protette da inserire ai sensi della L. n. 68/1999.

L'ingresso delle categorie protette nelle pubbliche amministrazioni

Anche per le amministrazioni pubbliche, come per i datori di lavoro privati, è previsto un obbligo di assunzione di lavoratori appartenenti alle categorie protette nella seguente misura dettata dall'art. 3, L. 68/1999:

  • 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;
  • 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;
  • 1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.

Per procedere all'assunzione di tali lavoratori la pubblica amministrazione può procedere in tre modi:

  • tramite convenzione, ai sensi dell'art. 11, L. 68/1999.
  • tramite avviamento da parte del Centro per l'impiego con chiamata numerica (per i profili per i quali è necessario il solo requisito della scuola dell'obbligo) e previa verifica della compatibilità dell'invalidità con le mansioni da svolgere;
  • tramite concorsi pubblici che devono essere espletati per i profili professionali per i quali è previsto il possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado e/o laurea; la persona da assumere deve essere individuata tramite concorso pubblico gestito direttamente dall'ente che deve assumere (art. 35 D.Lgs. n. 165/2001);

Per le assunzioni per le quali è richiesta la prova selettiva le persone disabili hanno diritto alla riserva dei posti nei limiti della complessiva quota d'obbligo e fino al 50% dei posti messi a concorso (art. 7 - comma 2 della L. n. 68/99).

La quota d'obbligo è calcolata sulla scopertura dell'organico.

Il D.Lgs. n. 75/2017 è intervenuto anche con riferimento alla materia del collocamento obbligatorio introducendo due nuovi articoli al D.Lgs. n. 165/2001 e, precisamente, il 39-bis ed il 39-ter.

Scopo di tali norme è quello di garantire una più efficace integrazione dei disabili nell'ambiente di lavoro.

Il nuovo art. 39-bis del D.Lgs. n. 165/2001 prevede l'istituzione, presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Consulta nazionale per l'integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità.

Le funzioni della Consulta sono:

elaborare piani, programmi e linee di indirizzo per ottemperare agli obblighi di cui alla L. n. 68/1999;

• effettuare il monitoraggio sul rispetto degli obblighi di comunicazione del prospetto informativo annuale sul numero complessivo dei dipendenti;

• proporre alle amministrazioni pubbliche iniziative e misure innovative finalizzate al miglioramento dei livelli di occupazione e alla valorizzazione delle capacità e delle competenze dei lavoratori disabili nelle pubbliche amministrazioni;

• prevedere interventi straordinari per l'adozione degli accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro previsti dall'art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216/2003.

Il nuovo art. 39-ter del D.Lgs. n. 165/2001, invece, prevede l'obbligo, per le pubbliche amministrazioni con più di 200 dipendenti, di nominare un Responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità.

Al Responsabile viene affidato l'incarico di:

• curare i rapporti con il centro per l'impiego territorialmente competente per l'inserimento lavorativo dei disabili nonché con i servizi territoriali per l'inserimento mirato;

• predisporre, sentito il medico competente della propria amministrazione ed eventualmente il Comitato tecnico (di cui alla Legge n. 68/1999), gli accorgimenti organizzativi e proporre, ove necessario, le soluzioni tecnologiche per facilitare l'integrazione al lavoro anche ai fini dei necessari accomodamenti ragionevoli di cui all'art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216/2003;

• verificare l'attuazione del processo di inserimento, recependo e segnalando ai servizi competenti eventuali situazioni di disagio e di difficoltà di integrazione.

Pur essendo palese l'intento di favorire l'integrazione in ambito lavorativo delle persone affette da disabilità, non può non rilevarsi come gli strumenti appaiano, già ad un primo esame, delle “armi spuntate” non essendo stato previsto nessun capitolo di spesa dedicato.

Dovendo i nuovi organismi operare senza “aggravi per la spesa pubblica” si dubita che l'obiettivo prefissato dal legislatore possa essere facilmente raggiunto.

Le forme contrattuali flessibili

Ai sensi dell'art. 36, comma 1, del TU “(…) le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (…)”.

A tale regola è possibile derogare anche nel pubblico impiego attraverso il ricorso alle c.d. “forme flessibili”.

È sempre nel testo dell'art. 36, nei commi 2 e seguenti, che ritroviamo dettate le regole necessarie per poter ricorrere alla sottoscrizione di tipologie contrattuali differenti.

La nuova formulazione dell'articolo 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, modificata dal D.Lgs. n. 75/2017 prevede, infatti, che le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa.

Nel pubblico impiego tale possibilità viene circoscritta ai soli casi in cui vi siano delle comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo od eccezionale.

Anche nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione decida di procedere alla sottoscrizione di contratti flessibili la selezione del lavoratore deve avvenire nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento previste in generale dall'articolo 35 del D.Lgs. n. 165/2001.

La natura pubblica del datore di lavoro ha portato all'introduzione di regole specifiche per quanto attiene la disciplina sostanziale dei contratti indicati.

Per i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato l'art. 36 del T.U. specifica che questi possano essere stipulati nel rispetto della disciplina dettata per il lavoro privato dal D.Lgs. n. 81/2015, con esclusione del diritto di precedenza all'assunzione che si applica al solo personale reclutato tramite avviamento degli iscritti alle liste di collocamento, di cui all'art. 35, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 165/2011, mentre per i contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato viene specificato che non è possibile il loro utilizzo per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.

Ulteriore elemento di specificità lo si ha con riferimento alle sanzioni applicabili in caso di uso delle forme contrattuali “flessibili” in violazione delle disposizioni di legge.

Tali rapporti di lavoro, infatti, anche se illegittimamente instaurati, non sono suscettibili di conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in quanto tale sanzione contrasterebbe sia (potenzialmente) con gli obblighi di selezione comparativa che con i vincoli di bilancio.

Opera, in tali casi, il regime della nullità e la tutela riconosciuta ai lavoratori è solo di natura economica.

Le collaborazioni coordinate e continuative

Anche nel pubblico impiego è riconosciuta la possibilità di far ricorso alla sottoscrizione di contratti di lavoro autonomo nella forma della collaborazione coordinata e continuativa.

Stante l'uso eccessivo che di tale forma contrattuale è stato fatto, il D.Lgs. n. 75/2017 è intervenuto introducendo una specifica regolamentazione.

All'art. 7 del T.U. è stato introdotto il comma 5-bis con il quale viene sancito il divieto per le pubbliche amministrazioni, di stipulare contratti di collaborazione caratterizzati da personalità, continuità ed eterorganizzazione dei tempi e del luogo di lavoro.

Trattasi, però, di un divieto parziale e condizionato.

L'art. 7 al comma 6 prevede la possibilità di conferire incarichi di lavoro autonomo per “specifiche” esigenze cui le amministrazioni non possono far fronte con personale in servizio.

Viene ulteriormente chiarito che tali incarichi debbano essere “esclusivamente” di natura individuale ed autonoma, e che il discrimine non è più quello della occasionalità e/o della continuatività, ma solo ed esclusivamente quello della autonomia e della specificità.

A limitare ulteriormente le possibilità di ricorso a tali forme contrattuali vi è la previsione secondo cui tali incarichi debbano obbligatoriamente essere assegnati “ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”, in presenza dei seguenti presupposti:

  • l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
  • l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
  • la prestazione deve essere di natura temporanea ed altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
  • devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione

È possibile prescindere dal requisito della “comprovata specializzazione universitaria” nei soli casi di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo , dei mestieri artigianali o dell'attività informatica, nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Non appare inoltre alterata la possibilità di ricorrere a tali forme per gli esperti da inserire negli uffici di “diretta collaborazione” disciplinati dall'art. 14 comma 2 del T.U.

La violazione delle disposizioni di cui all'art. 7 del T.U. con conferimento dell'incarico per lo svolgimento di funzioni ordinarie è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti (ultimo periodo del comma 6, dell'art. 7, del D.Lgs. n. 165/2001).

Opera anche per i contratti di collaborazione stipulati in violazione delle norme di legge il divieto di conversione ex lege in contratti di lavoro subordinato.

Conclusioni

L'iter legislativo che negli anni ha portato ad un avvicinamento della realtà pubblica e privata non è mai giunto ad una completa e sistematica assimilazione.

Tale divergenza c'è e non potrà mai venire meno in quanto “pubblico è il datore di lavoro, il fine cui l'attività amministrativa è preposta, sia il denaro con la quale essa viene finanziata”.

Intangibile rimarrà, pertanto, la selezione del dipendente pubblici tramite concorso e la loro esclusione dall'applicazione della disciplina privatistica dei contratti flessibili.

Permanendo tali peculiarità, con l'ultima riforma il legislatore ha cercato di promuovere un'amministrazione ispirata alla meritocrazia, all'efficientamento ed alla semplificazione nello sforzo di dare piena attuazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost.

Ha altresì cercato di rendere più efficiente il sistema del reclutamento con l'obiettivo di ridurre la spesa pubblica e più veloce l'eventuale adeguamento dell'organico alle esigenze contingenti.

Non resta che attendere per verificare gli effetti di tali novità.

Guida all'approfondimento
  • Amoroso, Di Cerbo, Fiorillo, Maresca, Diritto del lavoro, Il lavoro pubblico, Milano 2011;
  • Apicella, Lineamenti del pubblico impiego “privatizzato”, Milano, 2012;
  • Carinci, D'Antona (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Commentario, Milano, 2000;
  • Carinci, Mainardi, La Terza Riforma del Lavoro Pubblico. Commentario al d.lgs. 27.10.2007, n. 150, Milano, 2011;
  • Carinci, Tenore (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, Milano, 2007-2010;
  • Pozzi, I concorso nel pubblico impiego, Milano, 2002;
  • Virga, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 2002;
  • Patrizi, La distribuzione delle risorse umane negli uffici: piano triennale, La riforma del pubblico impiego: il D.lgs. 75/2017, in Il Civilista, Milano, 2017
  • Gulli, Il reclutamento del personale, La riforma del pubblico impiego: il D.lgs. 75/2017, in Il Civilista, Milano, 2017
  • Patrizi, I contratti di lavoro flessibili, La riforma del pubblico impiego: il D.lgs. 75/2017, in Il Civilista, Milano, 2017

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario