Illegittima cessione del ramo d’azienda e diritto di credito dei lavoratori

La Redazione
31 Agosto 2015

La Cassazione, con sentenza n. 17184/2015 depositata il 26 agosto, torna ad esaminare la questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d'azienda: l'obbligazione del cedente, che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro, deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum.

La Cassazione, con sentenza n. 17184/2015 depositata il 26 agosto, torna ad esaminare la questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d'azienda: l'obbligazione del cedente, che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro, deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum.

Il caso

Il Tribunale di Roma dichiarava l'inefficacia della cessione del ramo d'azienda cui erano addetti i lavoratori intimati e condannava la cedente al ripristino dei rapporti di lavoro. A seguito dell'inottemperanza di questa, i lavoratori, che continuavano a lavorare per la società cessionaria, ottenevano dei decreti ingiuntivi con i quali si intimava la cedente a pagare le retribuzioni maturate.

L'opposizione proposta avverso tali decreti veniva dapprima accolta dal Tribunale, poi rigettata dalla Corte d'Appello che accoglieva il gravame svolto dai lavoratori poiché “a seguito della sentenza con cui viene dichiarata l'illegittimità del trasferimento d'azienda con i connessi rapporti di lavoro, questi devono intendersi ricostituiti ex tunc alle dipendenze del cedente, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza medesima, senza possibilità di detrazione dell'aliunde perceptum, che rileva solo ai fini della quantificazione del danno risarcibile”.

Risarcimento del danno

Diversa la conclusione cui perviene la Suprema Corte, secondo il seguente percorso argomentativo: essendo il contratto di lavoro un contratto a prestazioni corrispettive, la mancanza dell'attività lavorativa – in assenza di eccezioni contrattualmente o legislativamente previste – esclude il diritto alla retribuzione e determina, a carico del datore di lavoro che ne è responsabile, l'obbligo di risarcire i danni. Di conseguenza, configurandosi quale risarcimento del danno, devono applicarsi i normali criteri fissati per i contratti in genere e deve, quindi, essere detratto l'aliunde perceptum.

Ne è conferma la modifica apportata all'art. 18 St. lav. dall'art. 1, L. n. 108/90 che “ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell'obbligo risarcitorio, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum.

Nel caso di specie, essendo pacifico che i lavoratori avessero continuato a prestare la propria attività – retribuiti – alle dipendenze della cessionaria, era loro onere dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l'inferiorità della retribuzione percepita rispetto a quella che sarebbe loro spettata lavorando alle dipendenze della società cedente.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso della cedente, cassa la sentenza impugnata e, nel merito, accoglie l'opposizione e revoca il decreto opposto.

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