La tutela dei lavoratori in caso di cessione di ramo d'azienda e contratto d'appalto

02 Settembre 2016

Configura elemento costitutivo della cessione di ramo d'azienda prevista dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32, D.Lgs. n. 276 del 2003, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività.
Massima

Configura elemento costitutivo della cessione di ramo d'azienda prevista dall'

art. 2112 c.c.

, anche nel testo modificato dall'

art. 32, D.Lgs. n. 276 del 2003

, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'

art. 2112 c.c.

, che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall'

art. 1406 c.c.

, fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività.

Il caso

I dipendenti di un ramo d'azienda ceduto adivano il Tribunale di Milano per ottenere la dichiarazione d'illegittimità, nullità e/o inefficacia nei loro confronti del contratto di cessione di ramo d'azienda intervenuto tra la società datrice di lavoro ed la società C.C. s.p.a. nel novembre 2007 e, per l'effetto, chiedevano la permanenza dei rapporti di lavoro subordinato con il datore di lavoro, con le conseguenze di ordine ripristinatorio e risarcitorio.

Avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Milano propongono ricorso per Cassazione i lavoratori del ramo d'azienda ceduto con due motivi, cui resistono con controricorso la società cedente e la società cessionaria C.C. s.p.a.

La Corte di Cassazione, esaminando congiuntamente i due motivi per ragioni di connessione, rileva che la Corte territoriale non ha risposto al quesito necessario per qualificare il contratto intercorso tra la società cedente e la cessionaria come cessione di ramo d'azienda, non risultando l'autonomia funzionale del ramo ceduto, e quindi la capacità di esso, indipendentemente dal coevo contratto di appalto, di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato al momento della cessione. In altre parole, non risulta chiarito quanto di tale autonomia derivi dalle sole potenzialità del complesso ceduto e quanto invece sia frutto delle integrazioni strutturali e organizzative e di quelle fornite in virtù del contratto d'appalto.

Pertanto la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.

La questione

La questione sottoposta alla Suprema Corte consente di precisare la portata della disciplina del contratto di cessione di ramo d'azienda e la relativa tutela del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti nel caso in cui alla cessione segua la conclusione di un contratto di appalto.

Preliminarmente giova ricordare che il trasferimento d'azienda consiste in una qualsiasi operazione che, a seguito di cessione contrattuale o fusione, comporta il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva, a seguito dello stesso, la propria identità. In questa ipotesi i lavoratori che transitano alle dipendenze del cessionario hanno diritto a conservare il trattamento giuridico e retributivo derivante dal rapporto lavorativo con l'impresa cedente.

Ai sensi dell'

art. 1 della Direttiva 2001/23/CE

, che ha sostituito la

Direttiva 77/187/CEE

, così come modificata dalla Direttiva 98/50/CE, è considerato trasferimento di ramo d'azienda quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, essenziale o accessoria. La Corte di Giustizia ha interpretato tale concetto precisando che si riferisce ad un complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo, che sia sufficientemente strutturata ed autonoma (

CGUE, 6 settembre 2011, C - 108/10

, Scattolon). In particolare la Corte ha evidenziato che l'autonomia dell'entità ceduta deve essere preesistente al trasferimento, poiché qualora risultasse che l'entità trasferita non disponeva, anteriormente al trasferimento, di un'autonomia funzionale sufficiente - circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare - tale trasferimento non ricadrebbe sotto la

Direttiva 2001/23

(CGUE, sentenza 6 marzo 2014, C-

458/12

Amatori ed altri).

Dunque, l'obiettivo della

Direttiva 2001/23/CE

è garantire, per quanto possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento della società datrice di lavoro, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo imprenditore alle stesse condizioni pattuite con il cedente. In proposito la Corte di Giustizia ha ritenuto coerente con la ratio della direttiva l'allargamento da parte della legge nazionale dell'ambito della protezione del lavoratore ceduto ad ipotesi ulteriori rispetto a quella di cessione di ramo d'azienda così come sopra individuata.

Tuttavia la Suprema Corte, nella sentenza in esame, rileva che la normativa nazionale non è stata rimodellata con il fine di allargare l'ambito della fattispecie astratta della cessione di ramo d'azienda rispetto alla nozione adottata in sede comunitaria, con la conseguenza che, a seguito della

L. n. 30 del 2003 all'art. 1,

comma 2 lettera p) con cui il governo è stato delegato a rivedere il

D.lgs. n. 18/2001

la definizione di ''trasferimento di parte dell'azienda" quale "articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata” è rimasta inalterata. Ne deriva che l'intervento normativo apportato dal

D.lgs. n. 276/2003

all'

art. 2112 c.c.

ha ribadito che l'elemento costitutivo della fattispecie della cessione d'azienda è rappresentato dall'autonomia funzionale del ramo d'azienda ceduto, ovvero dalla capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi.

Le modifiche normative hanno riguardato la soppressione dell'inciso "preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità" e l'aggiunta “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. A riguardo, giova sottolineare come, anteriormente alla modifica, la Cassazione escludeva che un ramo di azienda potesse essere disegnato e identificato solo al momento del trasferimento in esclusiva funzione di esso, con un'operazione strumentale indirizzata indirettamente all'espulsione di lavoratori eccedenti, consegnati ad un cessionario che, strettamente legato all'impresa cedente - ancorché vero imprenditore e non semplice interposto di manodopera - sarebbe stato posto in condizione di modificare liberamente le preesistenti condizioni di lavoro (

Cass. n. 15105/2002

). A seguito della modifica, che secondo parte della dottrina (Speziale) favorisce operazioni elusive consentendo di aggirare il contenuto di normative inderogabili, la Corte precisa che il fatto che la nuova disposizione permetta al cedente e al cessionario l'identificazione dell'articolazione che ne costituisce l'oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell'azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere dall'autonomia privata l'applicazione della speciale disciplina in questione, ma che, all'esito della possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e l'insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo. Il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere, autonomamente dal cedente, e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell'ambito dell'impresa cedente anteriormente alla cessione. La disposizione legittima quindi anche la cessione di un ramo "dematerializzato" o "leggero" dell'impresa, ovvero nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, quando però il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (

Cass.

nn

. 21917/2013

e

15690/2009

).

Particolarmente delicate sono queste ultime ipotesi caratterizzate dal fatto che l'oggetto della cessione di ramo d'azienda è costituito da un gruppo di dipendenti piuttosto che da assets, poiché la cessione del contratto potrebbe celare l'intento del datore di lavoro di espellere una parte dei lavoratori. In questo caso il giudice deve verificare che non si tratti di un gruppo di lavoratori privi di una connotazione professionale condivisa (

Cass. n. 21917/2013

) oltre che vagliare se il ramo ceduto sia dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato (

Cass. n. 5425/2015

,

n. 25229/2015

) e sia in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato. Ne consegue che l'analisi non deve basarsi sull'organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, bensì sull'organizzazione della frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto.

Inoltre, sotto il profilo processuale va rilevato che grava sulla società cedente, la quale intende avvalersi degli effetti previsti dall'

art. 2112 c.c.

, vale a dire dell'eccezione al principio del necessario consenso del lavoratore creditore ceduto di cui all'

art. 1406 c.c.

, l'onere di fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività attraverso l'allegazione e la prova dell'insieme dei fatti concretanti il trasferimento di ramo d'azienda (

Cass.

nn

. 4500/2016

e

11247/2016

).

Le soluzioni giuridiche

Il trasferimento d'azienda o di parte di essa, frutto dell'esercizio della libera iniziativa imprenditoriale, rappresenta lo strumento giuridico funzionale ad esternalizzare segmenti produttivi, ed a realizzare così una forma di decentramento produttivo. In questa ipotesi l'ordinamento giuridico si preoccupa di tutelare i lavoratori, quale parte che subisce passivamente la scelta datoriale senza poter esprimere a riguardo alcun consenso. A questo proposito l'

art. 2112 c.c.

, così come modificato dal

D.lgs. n. 276/2003

, volto a salvaguardare i lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, prevede espressamente che il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva all'atto del trasferimento, a prescindere dalla loro conoscenza o conoscibilità. La liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro avviene a seguito di tentativo obbligatorio di conciliazione di cui agli

artt. 410

e

411

c.p.c.

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai ccnl, territoriali e aziendali vigenti alla data della cessione. Il legislatore mira inoltre a precludere la possibilità che il trasferimento costituisca ex se motivo di licenziamento, ferma restando però la facoltà per l'alienante di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti. Per ciò che concerne il tfr, la giurisprudenza più recente sostiene che, dato il carattere retributivo e sinallagmatico del tfr, quale istituto di retribuzione differita, il cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore ceduto per la quota di tfr maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale, laddove il cessionario è obbligato per la stessa quota in ragione del vincolo di solidarietà, e resta unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione (

Cass. n. 19291/2011

e

n. 11479/2013

).

In tema di trasferimento d'azienda, la Suprema Corte ha affermato che l'interpretazione dell'art. 2112 c.c., secondo la quale il ramo d'azienda presuppone una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma, trova conferma nella sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014 C-

458/12

, che ha ribadito, ai fini dell'applicazione della

Direttiva 2001/23/CE

, la necessità, anteriormente al trasferimento, di una sufficiente autonomia funzionale della quota d'impresa ceduta, fermo restando che, in forza dell'art. 1, par. 1, lett. a) e b), della citata direttiva, la normativa nazionale può anche estendere l'obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell'ipotesi di non preesistenza del ramo d'azienda (

Cass. n. 19141/2015

).

Va osservato che, alla luce dei nuovi modelli di produzione, particolare importanza riveste l'ultimo comma dell'

art. 2112 c.c.

a norma del quale il ramo trasferito può essere oggetto di contratto d'appalto stipulato fra il cedente alienante ed il cessionario acquirente, operando un regime di solidarietà tra appaltante e appaltatore. A riguardo si rileva che la consistenza del ramo d'azienda utilizzato e il contratto di appalto del servizio ceduto restano su due piani distinti. Infatti l'

art. 29, comma 3 del D.lgs. n. 276/2003

precisa che l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda. Ne consegue che ove il cedente stipuli con il cessionario un contratto d'appalto per la fornitura del servizio ceduto, si può configurare una cessione di ramo d'azienda (solo) quando al trasferimento del personale si accompagni quella del complesso degli altri elementi che lo rendeva autonomamente idoneo allo svolgimento del servizio.

Osservazioni

A conclusione della disamina sembra opportuno rilevare che quanto più si amplia la nozione di ramo d'azienda, tanto più risultano agevolati i processi di esternalizzazione (outsourcing) dei processi produttivi o la c.d. segmentazione del processo produttivo in più fasi. Invero, nella nozione di azienda o ramo aziendale possono rientrare sia le strutture produttive caratterizzate dalla presenza di attrezzature, macchinari e personale, sia quelle costituite esclusivamente o prevalentemente da un gruppo di lavoratori organizzato. In merito a questo profilo va evidenziato che la prassi tesa ad affidare ad altre società funzioni o attività aziendali che precedentemente erano svolte all'interno della stessa impresa, definita dalla dottrina (Corazza) “disintegrazione verticale del ciclo produttivo”, ha condotto il legislatore con il

D.lgs. n. 276/2003

, “Riforma Biagi”, a disciplinare il contratto di esternalizzazione, quale negozio giuridico che regola il collegamento tra la cessione del ramo di azienda e il successivo contratto di appalto con cui il cedente acquista dal cessionario beni o servizi prodotti dalla parte di azienda oggetto di cessione. In questo contesto la dottrina (Speziale) mette in evidenza come, a seguito della cessione di ramo d'azienda, il cedente che stipula con il cessionario un appalto di opere o di servizi, riesce ad utilizzare i lavoratori da lui precedentemente impiegati per realizzare prodotti o servizi che continuano ad essere integrati nella sua struttura produttiva senza una relazione giuridica diretta con i dipendenti.

Dunque, se alla cessione d'azienda segue la conclusione di un contratto di appalto, quale contratto oneroso ad esecuzione prolungata, l'appaltatore, dominus nell'organizzare e regolare lo svolgimento del lavoro nell'ambito delle finalità previste dal contratto (

Cass. n. 3050/1992

), subentra nella titolarità dell'azienda mettendola a servizio delle esigenze produttive del cedente. A riguardo va rilevato che il

D.lgs. n. 276/2003

, così come modificato, prima dal

D.lgs. 251/2004

, poi dalla

L. 92/2012

e da ultimo dal

D.lgs. 81/2015

, regola diversamente dal passato il regime di solidarietà tra appaltante e appaltatore. Se infatti precedentemente la solidarietà operava nei limiti di cui all'

art. 1676 c.c.

, cioè in relazione al valore dell'appalto, oggi si assiste ad una notevole estensione dal momento che, salvo diversa disposizione dei ccnl sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, il committente imprenditore o datore di lavoro originario è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di tfr, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. In proposito la Suprema Corte ha evidenziato che, ai fini del trasferimento d'azienda, la disciplina di cui all'

art. 2112 c.c.

postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell'impresa - nella sua identità obiettiva - sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, potendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Tuttavia, non può ravvisarsi un trasferimento d'azienda in ipotesi di successione nell'appalto di un servizio, ove non sia dimostrato un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (

Cass. n. 11918/2013

).

La giurisprudenza ha precisato inoltre che in tema di cessione d'azienda trova applicazione il principio, ai sensi dell'

art. 2558 c.c.

, del trasferimento al cessionario dei contratti stipulati, potendo le parti, in forza del patto derogatorio previsto in detta norma, eccettuare il passaggio di alcuni contratti, ma non anche di alcuni rapporti negoziali, determinandosi con la cessione il subentro dell'acquirente d'azienda nel rapporto contrattuale nella sua interezza, cioè per il complesso di prestazioni, obblighi e diritti dal medesimo scaturenti (

Cass. n. 840/2012

).

Alla luce di quanto esposto, emerge che l'esigenza della continuità del rapporto di lavoro, quale fulcro della tutela dei lavoratori ceduti, non viene meno neppure qualora la cessione del ramo d'azienda rappresenti solo un obiettivo intermedio, necessario per raggiungere, lo scopo finale, costituito dalla realizzazione dell'esternalizzazione, tanto da far sostenere ad autorevole dottrina (Maresca) che in queste ipotesi si è in presenza di un vero e proprio collegamento funzionale tra il trasferimento e l'appalto, in quanto la cessione del ramo d'azienda è parte del programma negoziale finalizzato ad acquisire l'organizzazione dei mezzi necessari all'appaltatore, ex.

art. 1655 c.c.

, per l'esecuzione del contratto di appalto.

Guida all'approfondimento

T. Treu, Cessione di ramo d'azienda: note orientative e di merito, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, fasc.1, 2016, p. 43.

R. De Luca Tamajo, Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d'azienda e rapporti di fornitura, in Aa. Vv., I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici, a cura di R. De Luca Tamajo, Napoli, 2002, p. 9 ss.

F. Scarpelli, “Esternalizzazioni” e diritto del lavoro: il lavoratore non è una merce, DRI, 1999, p. 353 e ss.

A. Perulli, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatoralità: una prospettiva comparata, in Riv. Giur. Lav. 2013, p. 86 ss.

V. Speziale, Appalti e trasferimento d'azienda, in WP C.S.D.L.E. Massimo D'Antona, n. 84/2006

G. Perdonà, La cessione d'azienda e i diritti dei lavoratori, Giuffrè, 2016, p. 3 ss.

A. Maresca, Commento all'art. 32 – Modifica all'

art. 2112, comma quinto, codice civile

, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro – Commentario, coordinato da M. Pedrazzoli, Bologna, 2004, p. 373 ss.

A. Maresca, Commento all'

art. 9 del d.lgs. 251/2004

, correttivo dell'

art. 32 del d.lgs. 276/2003

, in AA.VV., Inserto sulla correzione della c.d. riforma Biagi,

D.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251

, Bologna, 2004, p. 24 ss.

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