Licenziamento individuale di personale omogeneo e fungibile e conformità dei criteri di scelta ex L. 223/91

Luigi Santini
01 Settembre 2016

In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in caso di personale omogeneo e fungibile, al fine della individuazione in concreto di criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta del lavoratore da licenziare conforme ai dettami di correttezza e buona fede, può farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l'ipotesi in cui l'accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). In tal caso, tuttavia, non può ritenersi sussistente una ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso, bensì quella di portata generale per la quale è sufficiente che "non ricorrano gli estremi del predetto giustificato motivo" oggettivo, con conseguente applicabilità della sola tutela indennitaria di cui dell'art. 18, comma 5, della Legge 300/1970.
Massima

In caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in caso di personale omogeneo e fungibile, al fine della individuazione

in concreto di criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta del lavoratore da licenziare conforme ai dettami di correttezza e buona fede, può farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la

L. n. 223 del 1991, art. 5,

ha dettato per i licenziamenti collettivi per l'ipotesi in cui l'accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). In tal caso, tuttavia, non può ritenersi sussistente una ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso, bensì quella di portata generale per la quale è sufficiente che "non ricorrano gli estremi del predetto giustificato motivo" oggettivo, con conseguente applicabilità della sola tutela indennitaria di cui dell'

art. 18, comma 5

,

della

Legge

300/1970

.

Il caso

La controversia trae origine da una impugnativa di licenziamento individuale per riduzione di personale,

legato all'avvenuta terziarizzazione di un servizio di trasporti su strada, in un ambito aziendale caratterizzato da personale del tutto omogeneo e fungibile, in ordine al quale si era posto il problema della individuazione del dipendente da licenziare, da attuarsi attraverso una comparazione dei lavoratori rispettosa degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuale

di cui agli

artt. 1175

e

1375 c.c.

In questa prospettiva,

il giudice del merito aveva accertato che la scelta del

personale da licenziare non era avvenuta alla stregua dei criteri dettati per i licenziamenti collettivi dall'

art.5 della

L. n. 223 del 1991

, con conseguente pronuncia di illegittimità del recesso, con le correlate statuizioni reintegratorie e risarcitorie, parametrate al regime di tutela reale di cui al novellato

art.18, quarto comma, della

L

.300/1970

.

La questione

La questione da esaminare è se nella scelta del personale da licenziare, in una fattispecie di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo nell'ambito di una forza lavoro assegnata a mansioni omogenee e fungibili, l'avvenuto rispetto dei dettami di correttezza e buona fede di cui agli

art

t

.1175

e

1375

c.c.

, cui il datore di lavoro è tenuto nell'operare la comparazione dei lavoratori, possa essere desunto dall'osservanza dei criteri di scelta dettati dall'

art.5

L.223/1991

per i licenziamenti collettivi

e, in caso positivo, se la violazione di detti criteri possa integrare un'ipotesi di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo, idonea a consentire l'applicabilità della tutela reintegratoria “attenuata” di cui all'

art.18, quarto comma, della

L

.300/1970

.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento si inserisce nell'ambito di un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui gli estremi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento non devono intendersi limitati alla soppressione in sé di un posto di lavoro per le ragioni di cui all'

art. 3 legge n. 604/1966

, ma devono estendersi anche all'assolvimento dell'obbligo di repechage ed al rispetto dei criteri di correttezza e buona fede nell'individuazione in concreto del lavoratore da licenziare (v.

Cass.Civ.

,

sez. lav.

,

23/02/2012 n. 2712

).

In una simile prospettiva,

è evidente che, se il

licenziamento discende dalla soppressione di un ben individuato posto di lavoro (ad esempio, per la soppressione di un ufficio o di una mansione, della esternalizzazione di un settore produttivo ovvero della chiusura di una filiale o di un cantiere), i lavoratori da licenziare non possono che essere quelli addetti all'attività in questione, i quali non possono quindi

invocare (come è invece nell'ipotesi di licenziamento collettivo) situazioni personali

(anzianità, carichi di famiglia, etc.)

per ottenere che la scelta del licenziamento cada su altro soggetto

.

A conclusioni diverse deve invece pervenirsi

qualora il giustificato motivo oggettivo si identifichi in una generica esigenza di riduzione di personale assolutamente omogeneo e fungibile, non essendo in tal caso utilizzabili né il normale criterio della "posizione lavorativa" da sopprimere, né tanto meno il criterio della impossibilità di repechage (in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori in comparazione sono potenzialmente licenziabili).

In un simile contesto, quindi, ai fini del controllo della conformità della scelta dei lavoratori da licenziare ai principi di correttezza e buona fede di cui agli

artt.1175

e

1375

c.c.

, ben può farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che l'

art. 5 della legge n.223 del

1991

ha dettato per i licenziamenti collettivi, prendendo in considerazione i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico - produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti) (v.

Cass.Civ., sez. lav.,

28/03/2011, n. 7046

;

Cass.Civ.

,

sez. lav.

,

21 dicembre 2001 n. 16144

).

Ciò in quanto, nelle ipotesi di licenziamento individuale per necessità di ridurre il personale derivante dalla decisione imprenditoriale di modificare la dimensione aziendale che investa indifferentemente un certo numero di lavoratori assegnati a mansioni omogenee e fungibili, il datore di lavoro, nella scelta del lavoratore da licenziare, deve ispirare la sua condotta ai principi di correttezza e buona fede

di cui agli

artt. 1175

e

137

5

c.c.

, in un'ottica di equilibrata composizione di interessi confliggenti

, con la conseguenza che, pur non avendo l'obbligo di applicare i criteri previsti per il licenziamento collettivo dall'

art. 5 della legge n. 223 del 1991

, può fare ad essi ricorso, perché costituiscono uno standard particolarmente idoneo a consentirgli di esercitare il suo potere di scelta contemperando adeguatamente gli interessi del lavoratore e quello aziendale (v.

Cass.Civ.

,

sez. lav.

,

11 giugno 2004 n. 11124

;

Cass.Civ.

,

sez. lav.

,

09 maggio 2002 n. 6667

).

Secondo il consolidato orientamento della S.C., pertanto, il datore di lavoro deve provare non solo di aver effettivamente soppresso il posto di lavoro del lavoratore licenziato, ma anche di non averlo potuto impiegare in mansioni equivalenti, seppur diverse, ovvero, qualora si tratti di licenziare un lavoratore tra più con mansioni fungibili, che l'atto di recesso risponda ai criteri di buona fede e correttezza contrattuale, e quindi che il lavoratore sia stato scelto secondo i criteri di cui all'

art. 5 l. 223/91

(anzianità di servizio e carichi di famiglia; non le esigenze tecnico produttive

ed organizzative, data la postulata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti

).

Osservazioni

In realtà, la sentenza in commento si muove nell'ambito di principi ormai ben sedimentati nell'elaborazione giurisprudenziale formatasi in materia di licenziamento individuale plurimo per riduzione di personale, ribadendo che

, quando vengano in rilievo mansioni e/o posti di lavoro omogenei e fungibili, la selezione giustificata e corretta del lavoratore da licenziare attiene ad un momento diverso e, talora, successivo a quello dell'accertamento della effettiva soppressione del posto e dell'impossibilità del repechage. Pertanto, secondo la Cassazione, una volta accertato come legittimo che uno o più lavoratori debbano essere licenziati e che non vi siano altri posti disponibili, va verificato se il datore di lavoro abbia scelto i lavoratori da licenziare nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza. Ebbene, al fine di tale ultima verifica, soccorrono proprio i criteri di cui all'

art. 5 l. 223/91

(anzianità di servizio e carichi di famiglia), la cui

disciplina, propria del licenziamento collettivo, può essere estesa al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo qualora la decisione imprenditoriale di modificare la dimensione aziendale investa indifferentemente un certo numero di lavoratori occupati nel settore da ridurre e/o sopprimere e le cui mansioni siano omogenee e fungibili. E ciò “

non tanto sul piano dell'analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti della

L. n. 223 del 1991, predetto art. 5,

uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale

”.

Il

novum

della questione in disamina non è quindi rappresentato tanto dalla necessità di stabilire se

i criteri di scelta di cui all'

art. 5 l. 223/91

possano trovare o meno applicazione al fine della individuazione del lavoratore da licenziare tra più con mansioni omogenee e fungibili, quanto piuttosto di stabilire, una volta accertato che l'atto di recesso non sia rispondente ai criteri di buona fede e correttezza contrattuale nella comparazione dei lavoratori, quale sia la tutela applicabile, alla luce della disciplina di cui all'

art.18 L.300/1970, come novellato dalla legge 92/2012

.

Come è noto, la predetta disposizione opera una graduazione delle tutele in caso di licenziamento illegittimo, prevedendo:

  • al quarto comma, una tutela reintegratoria "attenuata" (per distinguerla da quella più incisiva di cui al comma 1), in base alla quale il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento di una indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a dodici mensilità;
  • al quinto comma, una tutela meramente indennitaria, per la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici mensilità e un massimo di ventiquattro, tenuto conto di vari parametri contenuti nella disposizione medesima.

Per il caso di pronuncia di illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, poi, il successivo settimo comma opera una distinzione tra l'ipotesi di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” (per la quale il giudice può applicare la tutela reintegratoria "attenuata" di cui al comma 4) e quella di non ricorrenza degli “estremi del predetto giustificato motivo” (in cui il giudice deve dichiarare risolto il rapporto di lavoro, liquidando esclusivamente l'indennità risarcitoria onnicomprensiva di cui al comma 5).

Tale disciplina, scaturita da un'evidente esigenza di compromesso tra differenti sensibilità politiche, appare basata su un criterio distintivo oggettivamente controvertibile e si caratterizza per una marcata difficoltà interpretativa, che ha dato luogo a diverse letture in dottrina ed in giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo andrebbe ricercata in concreto nella valutazione delle risultanze probatorie di causa, qualora da esse emerga la pretestuosità dell'allegazione datoriale: il giustificato motivo oggettivo «manifestamente insussistente» sarebbe quindi quello che, sulla base del compendio istruttorio, sia risultato di nessuna consistenza e si atteggi a mero pretesto dell'intimato licenziamento (v.

Trib

unale

Milano, 05.11.2012

, in Riv. it. dir. lav.

,

2013, II, 654). Il carattere manifesto dell'eventuale insussistenza del fatto afferirebbe pertanto anche all'aspetto della non ricollocabilità del lavoratore in altro posto in azienda, configurandosi il

repechage

(cui è equiparabile la violazione dei doveri

di correttezza e buona fede

) quale elemento costitutivo dell'esistenza del giustificato motivo oggettivo, la cui violazione imporrebbe dunque la tutela reintegratoria (v.

Tribunale Reggio Calabria, sez. lav., 03/06/2013

).

Secondo altra impostazione, invece, la prima espressione (“manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”) si riferirebbe all'ipotesi in cui il datore di lavoro abbia addotto motivi economici inesistenti nella comunicazione del licenziamento (fatto dal quale esula ogni valutazione circa il rispetto del repechage e l'applicazione dei criteri di correttezza e buona fede), mentre la seconda espressione (non ricorrenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo) sarebbe riconducibile al caso in cui, pur in presenza di validi motivi economici, il datore di lavoro non abbia rispettato le altre regole che rientrano nella nozione di giustificato motivo oggettivo circa la possibilità di reimpiegare altrimenti il lavoratore e circa il rispetto degli

artt. 1175

e

1375 c.c.

(e quindi dei criteri di scelta

di cui all'

art. 5 l. 223/91

)

(v.

Trib

unale

Milano,

ord.

2

8

.11.2012

, in

Nuovo not. giur. 2013, 1, 45;

Tribunale Roma, ord. 08/08/2013, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 2014, 1, II, 167; Tribunale Modena, ord. 26/06/2013).

La decisione in commento si fonda su un differente percorso logico-argomentativo.

La S.C., infatti, muove dalla considerazione che

la cd. tutela reintegratoria “attenuata” può trovare applicazione “esclusivamente nel caso in cui il "fatto posto a base del licenziamento" non solo non sussista, ma anche a condizione che detta "insussistenza" sia "manifesta"”, giungendo così alla conclusione che “l'intenzione del legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella di riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per motivi economici”. In buona sostanza, la sentenza in commento ricostruisce il rapporto tra la tutela indennitaria (quinto comma) e la tutela reintegratoria “attenuata” (quarto comma) in termini di rapporto regola/eccezione, qualificando così il ripristino del rapporto di lavoro quale ipotesi residuale rispetto alla regola generale della tutela risarcitoria.

In questa prospettiva,

la S.C., ritenuta l'effettività della motivazione economica posta a base del recesso ed accertato che il datore di lavoro non aveva

rispettato i criteri di scelta

di cui all'

art.5

della legge

223/91

nell'individuazione dei lavoratori da licenziare (e quindi

i canoni di correttezza e buona fede di cui agli

artt. 1175

e

1375 c.c.

), ha ricondotto

tale ipotesi “non a quella peculiare che postula un connotato di particolare evidenza nell'insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso, bensì a quella di portata generale per la quale è sufficiente che "non ricorrano gli estremi del predetto giustificato motivo" oggettivo, con conseguente applicazione della tutela indennitaria di cui dell'art. 18, comma 5 modificato”.

La sentenza chiarisce infine che, al fine della applicabilità della tutela reintegratoria “attenuata”, non è percorribile neanche la strada, sostenuta in dottrina (v. Valerio Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra law and economics e giurisprudenza, 2013, pag.44), di una interpretazione estensiva della disposizione contenuta di cui all'

art.5, terzo comma, della L

egge n.

223/1991

, come sostituito dalla

L

egge

n.92 del 2012

, a norma del quale “in caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma dell'art. 18”. E ciò proprio perché, come si è detto, l'utilizzo di detti criteri legali di selezione “serve solo ad offrire uno standard idoneo a rispettare l'

art. 1175 c.c.

, nel caso di recesso per giustificato motivo oggettivo di personale in condizione di fungibilità di mansioni, ma non rappresenta direttamente la fonte di disciplina del licenziamento individuale plurimo, per cui ad esso non è applicabile l'apparato sanzionatorio stabilito per i licenziamenti collettivi”.