14 Giugno 2024

L'infortunio sul lavoro rappresenta l'evento tutelato sin dall'origine dell'assicurazione obbligatoria, che nella vigente normativa indennizza “tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni” (artt. 2, comma 1, e 210, comma 1, D.P.R. n. 1124/1965, settore, rispettivamente, industria e agricoltura). Dal testo delle due norme, di identico contenuto, si ricava che gli elementi caratterizzanti l'infortunio sul lavoro sono: l'occasione di lavoro, la causa violenta e la lesione.

Tra gli eventi indennizzati dall'INAIL rientra pure l'infortunio in itinere, per il quale la giurisprudenza di legittimità ha dettato criteri distinti per l'accertamento dell'occasione di lavoro.

Inquadramento

La prima forma di tutela in materia di infortuni sul lavoro viene garantita, dapprima, tramite un'assicurazione facoltativa (L. 8 luglio 1883, n. 1473), poi con l'istituzione di un'assicurazione obbligatoria (L. 17 marzo 1898, n. 80), fondata sul principio del rischio professionale, inteso come rischio proprio dell'impresa, derivato dalla pericolosità in concreto dell'attività esercitata solo da alcune categorie di lavoratori, impiegati nell'industria, protetti quando si infortunavano in conseguenza dell'uso di macchinari o nel corso dello svolgimento di attività lavorative pericolose.

Successivamente, la tutela sociale contro gli infortuni sul lavoro assume un fondamento costituzionale, con l'obbligo dello Stato di eliminazione dello stato di bisogno derivato dall'infortunio con il riconoscimento in favore dei lavoratori di mezzi adeguati alle esigenze di vita erogati da parte di organi o istituti dallo stesso predisposti o integrati (art. 38 Cost.); ciò nonostante la protezione contro gli infortuni, oggi assicurata dall'INAIL, conserva la logica assicurativa delle origini, tenuto conto che anche nella più recente disciplina previdenziale, contenuta nel D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, l'accesso alla tutela non è universale, ma è rimasto selettivo (Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 17), subordinato ad un requisito oggettivo, quello dell'esercizio di una delle attività protette, a prescindere dalla loro effettiva pericolosità, individuate dall'art. 1, D.P.R. n. 1124/1965, per il settore industria, e dagli artt. 207 e 208, per il settore agricolo, e uno soggettivo, regolato dall'art. 4, per il settore industria, e dall'art. 205, per il settore agricoltura.

Il diritto alle prestazioni in natura e in denaro in caso di infortunio sul lavoro è stato affermato anche in ambito comunitario (artt. 36 e ss., Reg. CE n. 833/2004).

L'infortunio sul lavoro

L'infortunio sul lavoro rappresenta l'evento tutelato sin dall'origine dell'assicurazione obbligatoria, che nella vigente normativa indennizza “tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un 'inabilit à permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un 'inabilit à temporanea assoluta che importi l 'astensione dal lavoro per pi ù di tre giorni(artt. 2, comma 1, e 210, comma 1, D.P.R. n. 1124/1965, settore, rispettivamente, industria e agricoltura). Dal testo delle due norme, di identico contenuto, si ricava che gli elementi caratterizzanti l'infortunio sul lavoro sono: l'occasione di lavoro, la causa violenta e la lesione.

Tra gli eventi indennizzati dall'INAIL rientra pure l'infortunio in itinere, per il quale la giurisprudenza di legittimità ha dettato criteri distinti per l'accertamento dell'occasione di lavoro.

L'occasione di lavoro

L'occasione di lavoro determina il carattere professionale dell'evento e si perfeziona ogniqualvolta lo svolgimento di un'attività lavorativa, pur non essendo causa, costituisce l'occasione dell'infortunio, determinando l'esposizione del soggetto protetto al rischio di esso, dando luogo ad un nesso eziologico, seppur mediato e indiretto, dell'evento con l'attività lavorativa.

In principio, l'occasione di lavoro presupponeva la sussistenza di un rischio specifico diretto o proprio, quello scaturito dalla prestazione lavorativa, oppure di un rischio specifico improprio o generico aggravato che, pur non essendo derivato dal lavoro, era aggravato dall'adempimento degli obblighi lavorativi, restando esclusi gli infortuni scaturiti da un rischio generico, quello che grava indistintamente su qualunque soggetto.

La magistratura superiore ha gradualmente allargato la nozione di occasione di lavoro, ricomprendendo nella tutela anche eventi occorsi in circostanze eccezionali o imprevedibili, ma comunque funzionali all'adempimento della prestazione lavorativa, verificatisi nel corso di un'attività prodromica e strumentale allo svolgimento dello stesso lavoro.

Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, allora, l'occasione di lavoro “ricomprende tutte le condizioni, incluse quelle ambientali e socio economiche in cui l'attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall'apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite del cosiddetto rischio elettivo” (Cass. 20 luglio 2017, n. 17917; Cass. 5 gennaio 2015, n. 6; Cass. 23 luglio 2012, n. 12779). Il nesso di occasionalità necessaria si realizza ogni volta che l'attività lavorativa, considerata tale anche quella prodromica e/o strumentale allo svolgimento della prestazione di lavoro, abbia esposto il lavoratore ad un qualsiasi rischio da cui è scaturito l'evento (Cass. 5 novembre 2021, n. 32257); cosicché l'origine professionale dell'evento si ricava dal semplice legame finalistico con l'attività lavorativa e ciò in ragione della “mancanza di libertà” che discende dall'obbligo del lavoratore di conformare la propria condotta ai tempi della prestazione (Cass. 26 novembre 2019, n. 30874; Cass. 22 maggio 2018, n. 12549; Cass. 3 aprile 2017, n. 8597; Cass. 13 maggio 2016, n. 9913; Cass. 13 aprile 2016, n. 7313; Cass. 14 ottobre 2015, n. 20718; Cass. 11 febbraio 2013, n. 3173).

Pertanto, rimane esclusa dalla tutela l'attività non intrinsecamente lavorativa e non coincidente per modalità di tempo o di luogo con le prestazioni dovute, che non sia richiesta dalle modalità di esecuzione imposte dal datore di lavoro o in ogni caso da circostanze di tempo e di luogo che prescindano dalla volontà di scelta del lavoratore [Cass. 8 novembre 2021, n. 32473 (pausa caffè); Cass. 7 dicembre 1996, n. 10910; Cass. 30 maggio 1995, n. 6088; Cass. 9 novembre 1995, n. 11683; Cass. 8 maggio 1996, n. 4298] oppure quando manchi la necessaria e normale contiguità tra attività protetta e attività ulteriore, quest'ultima causa dell'infortunio (Cass. 25 settembre 2023, n. 27276).

L'infortunio derivato da un comportamento doloso dello stesso assicurato, che abbia simulato un infortunio o abbia dolosamente aggravato le conseguenze di esso (art. 65, D.P.R. n. 1124/1965), non è indennizzabile; mentre la colpa dell'infortunato, la quale comprende comportamenti del lavoratore infortunato di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza (Cass. 17 giugno 2014, n. 13733; Cass. 18 marzo 2013, n. 6725; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2624; Cass. 7 maggio 2010, n. 11150; Cass. 10 settembre 2009, n. 19496; Cass. 3 agosto 2005, n. 16282), non fa venir meno il requisito dell'occasione di lavoro, sempre che il rischio che ha generato l'evento non sia stato volontariamente e arbitrariamente provocato dallo stesso lavoratore; in tal caso siamo in presenza di un rischio elettivo, che esclude l'indennizzabilità dell'evento (Cass. 25 settembre 2023, n. 27290; Cass. 3 agosto 2005, n. 16282; Cass. 22 aprile 2002, n. 5841; Cass. 13 aprile 2002, n. 5354; Cass. 9 gennaio 2002, n. 190; Cass. 8 marzo 2001, n. 3363; Cass. 9 ottobre 2000, n. 13447; Cass. 2 giugno 1999, n. 5419), allorquando ricorre il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti:

In evidenza: gli elementi caratterizzanti il rischio elettivo

a) vi deve essere non solo un atto volontario (in contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive;

b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, ed anche contrarie alle direttive datoriali, ma motivate da finalità produttive);

c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicché l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. 19 marzo 2019, n. 7649; Cass. 5 settembre 2014, n. 18786; Cass. 18 maggio 2009, n. 11417; Cass. 4 luglio 2007, n. 15047).

La causa violenta

La causa violenta si identifica nell'azione di qualunque fattore dotato di rapidità e intensità, anche di carattere non straordinario o eccezionale che, agendo dall'esterno verso l'interno dell'organismo, deve essere idoneo a determinare un'alterazione del suo equilibrio (Cass. 30 dicembre 2009, n. 27831; Cass. 26 maggio 2006, n. 12559; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682; Cass. 16 ottobre 2000, n. 13741; Cass. 5 ottobre 1998, n. 9888; Cass. 27 maggio 1994, n. 5198; Cass. 2 aprile 1990, n. 2634). Si tratta di requisito indispensabile per la configurazione dell'infortunio e assente nelle malattie professionali, per le quali la causa si definisce lenta. Il carattere della rapidità deve essere riferito all'azione della causa e non alle sue conseguenze, che possono, invece, manifestarsi anche a distanza di tempo dall'evento.

In conseguenza della rapidità ed intensità di azione sull'organismo del lavoratore si considera infortunio quello derivato da fattori microbici o virali, esprimendo un'eziologia concentrata in un breve arco temporale e determinando l'alterazione dell'equilibrio anatomo-fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione (Cass. 10 ottobre 2022, n. 29435; Cass. 12 maggio 2005, n. 9968; Cass. 28 ottobre 2004, n. 20941; Cass. 8 aprile 2004, n. 6899; Cass. 1° giugno 2000, n. 7306; Cass. 27 giugno 1998, n. 6390; Cass. 13 marzo 1992, n. 3090; Cass. 19 luglio 1991, n. 8058). Non è necessario riscontrare l'esistenza di uno specifico episodio o contatto infettante in occasione di lavoro, poiché il rapporto tra l'infezione e l'attività lavorativa può essere dimostrato anche mediante presunzioni semplici, basate sulle conoscenze scientifiche, su dati statistici, sul tipo di infezione contratta dall'interessato, sulle caratteristiche dell'ambiente lavorativo, sulle mansioni cui lo stesso era addetto (Cass. 10 ottobre 2022, n. 29435). Per questa ragione il Legislatore ha considerato infortunio anche il contagio da virus Sars-Cov–2, che ha determinato l'epidemia da COVID-19 (art. 42, comma 2, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27).

In evidenza: lo sforzo fisico e lo stress che producono un infarto

Nella causa violenta rientra lo sforzo fisico, compiuto dal lavoratore per vincere una resistenza della prestazione o dell'ambiente di lavoro, quando ne scaturisce un infarto (Cass. 22 febbraio 2022, n. 5814; Cass. 13 marzo 2017, n. 6451; Cass. 27 settembre 2013, n. 22257; Cass. 28 luglio 2010, n. 17649; Cass. 16 ottobre 2000, n. 13741).

Lo sforzo non deve avere un'intensità maggiore rispetto a quella normalmente richiesta dalla prestazione (Cass. 25 agosto 2003, n. 12476; Cass. 21 maggio 2003, n. 8019; Cass. 10 gennaio 2003, n. 239; Cass. 24 ottobre 2000, n. 13982; Cass. 27 settembre 2000, n. 12798; Cass. 14 maggio 1994, n. 4736; Cass. 2 aprile 1990, n. 2639; Cass. 7 febbraio 1989, n. 754; Cass. 4 novembre 1988, n. 5966; Cass. 16 novembre 1987, n. 8388) e deve essere concentrato in un breve arco temporale (Cass. 20 giugno 2006, n. 14119; Cass. 10 gennaio 2003, n. 239; Cass. 26 ottobre 2000, n. 14085), identificato dalla magistratura anche nel turno di lavoro (Cass. 10 gennaio 2003, n. 239).

Tra i fattori rientranti nella causa violenta si annovera pure lo stress che determina un infarto (Cass. 22 febbraio 2022, n. 5814; Cass. 25 marzo 2019, n. 8301; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682). La preesistente condizione patologica dell'infortunato non esclude il ruolo concausale dello stress, potendo rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l'attività lavorativa e l'infortunio (Cass. 22 febbraio 2022, n. 5814; Cass. 11 giugno 2015, n. 12121; Cass. 10 gennaio 2005, n. 279; Cass. 24 luglio 2004, n. 13928; Cass. 29 maggio 2004, n. 10448; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682; Cass. 21 maggio 2003, n. 8019).

La lesione

Dall'infortunio deve scaturire “la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni” (artt. 2, comma 1, e 210, comma 1, D.P.R. n. 1124/1965, settore, rispettivamente, industria e agricoltura).

Per quanto riguarda l'inabilità permanente, per gli eventi accaduti sino al 25 luglio 2000, l'INAIL ha indennizzato solo la perdita, totale o parziale, dell'attitudine al lavoro (art. 74, D.P.R. n. 1124/1965). Con il consolidamento, nel panorama giurisprudenziale, del danno biologico, divenuto nel frattempo la principale posta di danno alla persona risarcibile, la Corte costituzionale ha sostenuto l'esigenza, avvertita dalla coscienza sociale, di abbandonare definitivamente la vetusta categoria dell'attitudine al lavoro (alias capacità lavorativa generica) (C. cost. 15 febbraio 1991, n. 87). In ottemperanza all'invito della Consulta si è proceduto, allora, alla socializzazione del danno biologico all'inizio del terzo millennio. Esattamente, nel 1999 il Parlamento affidava al Governo, con legge di delega, il riordino della normativa che disciplina l'INAIL, con “la previsione, nell'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e nell'ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di un'idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi” (art. 55, comma 1, lett. s), L. 15 maggio 1999, n. 144). Il Legislatore delegato dava quindi puntuale esecuzione alla delega, mandando in soffitta il riferimento all'attitudine al lavoro, sostituita con il danno biologico, definito, per la prima volta nel diritto positivo, nel rispetto della nozione coniata dal diritto vivente, come “la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico — legale” (art. 13, comma 1, D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38). L'iter legislativo si perfezionava, infine, con la pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale del 25 luglio 2000, del D.M. 12 luglio 2000, n. 877500, di approvazione della Tabella delle menomazioni, della Tabella indennizzo danno biologico e della Tabella dei coefficienti, di cui alla delibera del Consiglio di Amministrazione dell'INAIL n. 133 del 23 marzo 2000. Con tali tabelle, aventi valore regolamentare (Cass. 5 gennaio 2022, n. 181), venivano quantificate le percentuali d'invalidità e di danno biologico, nonché i valori monetari corrispondenti a ciascun grado di danno biologico riconosciuto e la misura della rendita annua per i gradi di inabilità superiori al 16 per cento.

Dal combinato disposto dell'art. 66, D.P.R. n. 1124/1965 e dell'art. 13, D. Lgs. n. 38/2000, la Cassazione ha ricavato che “il danno biologico coperto dall'Istituto si riferisca esclusivamente e soltanto alla menomazione permanente dell'integrità psico-fisica, che si protrae, cioè, per tutta la vita, che può essere assoluta o parziale e decorre dal giorno successivo a quello della cessazione dell'inabilità temporanea”, escludendo “dal sistema assicurativo, sia il danno biologico temporaneo che il cd. danno morale” (Cass. 30 novembre 2022, n. 35228; Cass. 28 febbraio 2022, n. 6503).

L'infortunio in itinere

L'infortunio in itinere rappresenta una speciale tipologia di infortunio che colpisce il lavoratore assicurato nel tragitto che conduce dal luogo di abitazione al luogo di lavoro e viceversa. Trattandosi di azione di spostamento sul territorio eseguita nel compiere il percorso tra abitazione e luogo di lavoro, strumentale e preparatoria alla prestazione di lavoro vera e propria, l'infortunio accaduto sulle vie del lavoro è stato da sempre ritenuto indennizzabile perché considerato un prolungamento dell'assicurazione obbligatoria (Corte cost. 3 ottobre 1990, n. 429), nonostante che per lungo tempo esso non abbia ricevuto un riconoscimento normativo, fatto salvo quello contemplato per i marittimi (art. 6, D.P.R. n. 1124/1965); cosicché la giurisprudenza è stata chiamata a colmare la lacuna ordinamentale, servendosi della nozione di occasione di lavoro.

In concomitanza all'allargamento dei confini della nozione di occasione di lavoro, il cui ambito è stato esteso fino a ricomprendere tutte le esposizioni a rischio per finalità lavorative, a prescindere dalla sussistenza di circostanze esterne che ne determinano un aggravamento, la Corte di cassazione ha iniziato a riconoscere l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere sol perché esso si fosse verificato durante il viaggio che ha come fine il lavoro, anche in mancanza, perciò, di un aggravamento del rischio generico della strada o, più correttamente, ha considerato il rapporto finalistico necessario da solo sufficiente ad integrare il quid pluris richiesto perché l'infortunio in itinere assumesse una connotazione eziologica professionale, non essendo più indispensabile la presenza di una maggiore pericolosità rispetto al comune rischio della strada.

Sul finire del secondo millennio i tempi si sono rivelati maturi per il passaggio dal diritto vivente al diritto vigente; infatti, con una legge di delega, basata proprio sul recepimento dei principi giurisprudenziali, che nel frattempo si erano consolidati, il Legislatore ha invitato il Governo a prevedere una specifica disposizione per la tutela dell'infortunio in itinere (art. 55, comma 1, lett. u), L. 17 maggio 1999, n. 144), poi collocata nell'art. 2, per la gestione industria, e nell'art. 210, per la gestione agricoltura, D.P.R. n. 1124/1965 (art. 12,D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38), che recita, nel testo in vigore:

art. 12, D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38

Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. L'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato. Restano in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.

Nella norma che disciplina l'infortunio in itinere, dunque, il rischio assicurato è quello derivante dallo spostamento spaziale del lavoratore eseguito in connessione con lo svolgimento dell'attività lavorativa; quel rischio generico, inerente al percorso seguito dal lavoratore per recarsi al lavoro, cui soggiace qualsiasi persona che lavori (Cass. 7 ottobre 2022, n. 29300; Cass. 22 febbraio 2022, n. 5814). La Cassazione ha riconosciuto l'indennizzabilità anche quando l'infortunio in itinere si sia verificato durante la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali, “atteso che il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell'attività lavorativa nell'interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità che è tipico degli altri” (Cass. 8 settembre 2020, n. 18659).

Rientrano nella tutela assicurativa tutti gli infortuni occorsi durante il normale percorso, che la giurisprudenza individua sulla base dell'elemento topografico, reputando meritevole di tutela l'evento accaduto durante il percorso più breve (Cass. 21 settembre 2010, n. 19937; Cass. 1° febbraio 2002, n. 1320) oppure giustificando il percorso più lungo sulla base del diverso criterio della normalità della percorrenza dell'itinerario (Cass. 24 settembre 2010, n. 20221; Cass. 13 dicembre 2003, n. 19118), trattandosi di un tragitto abituale scelto per ragioni collegate all'attività lavorativa (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3376; Cass. 13 gennaio 2014, n. 475; Cass. 24 settembre 2010 n. 20221).

In caso di interruzione o di deviazione del tutto indipendente dal lavoro o, comunque, non necessitata, quando, cioè non è dovuta a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti, realizzate dal lavoratore nel tragitto tra luogo di lavoro e luogo di abitazione e viceversa, il Legislatore esclude la tutela sociale dell'infortunio in itinere.

In evidenza: la deviazione

Con la deviazione il lavoratore si allontana dal tragitto normale percorso per recarsi al luogo di abitazione o al luogo di lavoro, facendo venir meno il requisito dell'occasione di lavoro (Cass. 22 gennaio 2013, n. 1458; Cass. 15 luglio 1999, n. 7486). Se la deviazione è operata per ragioni di lavoro o per adempiere a delle direttive del datore di lavoro (Cass. 4 aprile 1994, n. 9099) oppure per prestare soccorso ad una persona vittima di un incidente stradale (Cass. 13 marzo 2024, n. 6716; Cass. 12 maggio 1990, n. 4076), la Suprema Corte ha ritenuto tali deviazioni necessitate, ammettendo all'indennizzo l'infortunio occorso in tale spazio temporale; mentre ha negato il riconoscimento del diritto alla rendita a superstiti ai congiunti di un lavoratore deceduto a seguito di un incidente stradale mentre rientrava a casa dopo aver effettuato una deviazione del tragitto per aver accompagnato un collega al termine di un turno di lavoro (Cass. 3 agosto 2021, n. 22180).

In evidenza: l'interruzione

Per interruzione si intende una sosta, più o meno lunga, durante il percorso tutelato, in cui non rientrano le brevi soste, quando non provocano una modificazione del rischio (C. cost. 11 gennaio 2005 n. 1); in particolare, le soste voluttuarie di pochi minuti, insuscettibili di modificare le condizioni di rischio, non escludono la tutela dell'infortunio in itinere (Cass. 18 luglio 2007, n. 15973).

La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere, subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione e il luogo di lavoro o viceversa, purché l'uso fosse necessitato, in conseguenza dell'incompatibilità dei suoi orari di lavoro con quelli dei pubblici servizi di trasporto (Cass. 27 maggio 2009, n. 12326; Cass. 23 maggio 2008, n. 13376; Cass. 23 aprile 2004, n. 7717; Cass. 1° febbraio 2002, n. 1320; Cass. 2 aprile 1992, n. 4062). Tale limitazione nella tutela è stata recepita anche nel diritto positivo, laddove è stabilito che “l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato” (art. 2, comma 3, D.P.R. n. 1124/1965), interpretato dalla giurisprudenza di legittimità come una necessità relativa, “emergente anche attraverso la deduzione e la prova, a carico del lavoratore, di molteplici fattori, non definibili in astratto, che condizionano l'uso del mezzo privato rispetto a quello pubblico, quali esigenze personali e familiari, o altri interessi meritevoli di tutela” (Cass. 14 luglio 2023, n. 20227; Cass. 7 luglio 2017, n. 16835; Cass. 18 febbraio 2015, n. 3292; Cass. 7 settembre 2012, n. 15059; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2642; Cass. 3 novembre 2011, n. 22759; Cass. 29 luglio 2009, n. 17655).

In caso di uso del mezzo privato, l'infortunio non viene indennizzato se è direttamente cagionato dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni (Cass. 27 agosto 2021, n. 23527). Nessuna tutela, inoltre, in favore del conducente privo di patente, trattandosi di un aggravamento del rischio del percorso (Cass. 6 agosto 2003, n. 11885; Cass. 18 marzo 2004, n. 5525) oppure in caso di guida con patente diversa da quella richiesta per il tipo di veicolo guidato (Cass. 8 aprile 2021, n. 9375).

La denuncia di infortunio sul lavoro

Il lavoratore è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro (art. 52, comma 1, D.P.R. n. 1124/65).

La mancata denuncia non comporta la perdita definitiva dell'indennità, ma solo per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell'infortunio (art. 52, comma 1, D.P.R. n. 1124/65); neanche la rendita da infortunio sul lavoro può decorrere da data anteriore a quella della domanda amministrativa(Cass. 8 marzo 2019, n. 6891; Cass. 1° giugno 2018, n. 14053; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2285; Cass. 31 agosto 2011, n. 17909; Cass. 29 maggio 1998, n. 5353).

Anche i titolari di aziende artigiane, nonché i lavoratori autonomi coltivatori diretti, rimasti infortunati, devono assolvere all'obbligo di denuncia, a meno che non si trovino nell'impossibilità fisica di farlo; in quest'ultimo caso tale adempimento ricade sul sanitario che per primo ha constatato le conseguenze dell'infortunio (art. 203, D.P.R. n. 1124/65).

Una volta venuto a conoscenza dell'infortunio, il datore di lavoro è tenuto a denunciare all'Istituto assicuratore – entro due giorni da quello in cui ne ha avuto notizia– gli infortuni da cui siano colpiti i dipendenti prestatori d'opera, e che siano prognosticati non guaribili entro tre giorni, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l'indennizzabilità (art. 53, comma 1, D.P.R. n. 1124/65).

La denuncia di infortunio deve essere corredata dei riferimenti al certificato medico già trasmesso all'INAIL per via telematica direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria competente al rilascio (art. 53, comma 1, D.P.R. n. 1124/65), “nell'arco temporale massimo delle ore 24 del giorno successivo alla prestazione effettuata” (Ministero della salute, circ. 17 marzo 2016, n. 7348. Sull'invio telematico dei certificati medici di infortunio sul lavoro cfr. circ. INAIL 14 giugno 2022, n. 25).

I riferimenti al certificato medico sono comunicati al datore di lavoro dal lavoratore che fornisce il numero identificativo del certificato, la data della sua emissione e i giorni di prognosi relativi all'evento oppure sono messi a disposizione, sempre telematicamente, dall'INAIL.

Quanto al contenuto della denuncia e del certificato medico, essi devono indicare “oltre alle generalità dell'operaio, il giorno e l'ora in cui è avvenuto l'infortunio, le cause e le circostanze di esso, anche in riferimento ad eventuali deficienze di misure di igiene e di prevenzione, la natura e la precisa sede anatomica della lesione, il rapporto con le cause denunciate, le eventuali alterazioni preesistenti oltre alle generalità dell'operaio” (art. 53, comma 4, D.P.R. n. 1124/65).

La mancata o tardiva denuncia di infortunio o malattia professionale è punita con la sanzione amministrativa, da un minimo di € 1.290,00 ad un massimo di € 7.745,00 (art. 53, comma 8, D.P.R. n. 1124/65; art. 2, comma 1, lett. b), L. n. 561/1993; circ. INAIL 9 settembre 2021, n. 24).

L'omessa o ritardata denuncia non determina la definitiva perdita del diritto alle prestazioni previdenziali, non solo perché il testo legislativo prevede espressamente che l'inadempimento comporti la perdita dell'indennità ma solo per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell'infortunio (art. 52, comma 1), ma soprattutto in quanto il sistema assicurativo garantisce all'assicurato le prestazioni economiche a prescindere dall'iniziativa del datore di lavoro, essendo destinatario della protezione sociale ex lege, non appena si realizzano i presupposti di ammissione alla tutela.

La prescrizione del diritto alle prestazioni

L'azione per conseguire le prestazioni si prescrive nel termine di tre anni che decorre dal giorno dell'infortunio (art. 112, comma 1, D.P.R. n. 1124/65). In caso di inerzia il lavoratore perde il diritto all'erogazione di tutte le prestazioni economiche.

Il termine triennale di prescrizione rimane sospeso durante la pendenza del procedimento amministrativo per la liquidazione dell'indennità (art. 111, comma 2, D.P.R. n. 1124/65)e la domanda giudiziaria non può proporsi se non quando sia esaurito il procedimento amministrativo curato dall'INAIL (art. 111, comma 1). La sospensione del termine di prescrizione ha una durata massima di centocinquanta giorni, fino all'adozione di un provvedimento di accoglimento o diniego che conclude il procedimento amministrativo di liquidazione delle indennità e riprende a decorrere dalla comunicazione del provvedimento espresso dell'Istituto e, in particolare, dal momento in cui tale provvedimento, di accoglimento o diniego, perviene nella sfera di conoscibilità dell'assicurato (Cass. 11 ottobre 2022, n. 29532).

La decorrenza della prescrizione può essere interrotta non solo con il ricorso giudiziario, ma anche nel corso della fase amministrativa con la presentazione della domanda amministrativao di una diffida (Cass. s.u. 16 novembre 1999, n. 783; Cass. 4 maggio 2000, n. 5609).

Trattandosi di eccezione in senso stretto , l'estinzione dell'azione deve essere avanzata nella memoria difensiva (art. 416 c.p.c.). La contro-eccezione di avvenuta interruzione del termine di prescrizione rientra, invece, tra le eccezioni in senso lato , le quali, come chiarito dalle Sezioni unite, impongono all'interessato la produzione rituale dei documenti che comprovino l'avvenuta interruzione, senza necessità di una specifica allegazione a riguardo, trattandosi di un fatto che può essere rilevato d'ufficio dal giudice in qualunque stato e grado(Cass. s.u. 27 luglio 2005, n. 15661).

Riferimenti

Normativa:

Per i recenti orientamenti sul tema, v. D ecreto Lavoro (d.l. n. 48/2023)

  • L. 30 dicembre 2018, n. 145
  • D.M. 25 maggio 2016 n. 183
  • L. 28 dicembre 2015, n. 208, commi 303, 312, 862

Giurisprudenza:

Per i recenti orientamenti sul tema, v.  Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2024, n. 4210 con commento D. PIVA, Infortuni sul lavoro: accertamento dell' “interesse o vantaggio” e della “colpa di organizzazione” tra “oggettivo” e “soggettivo” nella responsabilità della società; Cass., sez. lav., 25 settembre 2023, n. 27279 con commento T. ZAPPIA, Infortunio sul lavoro: l'assicurazione può coprire il danno se le lesioni sono provocate da terzi?

Prassi:

Per i recenti orientamenti sul tema, v.  INAIL, Circolare 12 settembre 2023, n. 40

  • INAIL, Circolare 11 gennaio 2019, n. 1
  • INAIL, Circolare 12 ottobre 2017, n. 42

Per approfondimenti:

A. De Matteis, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 2024, Giuffré Francis Levebvre;

S. Giubboni, G. Ludovico, A. Rossi, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 2023, Cedam Wolters Kluwer

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