Condominio: il trattamento sanzionatorio penale delle infedeltà amministrative
28 Settembre 2017
Il quadro normativo
Appare utile richiamare il solido orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui il delitto di appropriazione indebita si realizza quando il soggetto agente, avendo a propria disposizione in via autonoma denaro o cose mobili altrui, dà loro una destinazione incompatibile con il titolo, le ragioni o gli scopi per i quali erano state a lui conferite. Nel caso del condominio, l'amministratore è soggetto alle norme specifiche degli artt. 1129 ss. c.c. quanto a quelle sul mandato, richiamate proprio dall'art. 1129 c.c.. Dunque, commette il delitto di appropriazione indebita - in quanto mandatario - l'amministratore condominiale che, violando le disposizioni impartitegli dal condominio o comunque di legge o regolamento, si appropri del denaro ricevuto utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante, con sostanziale irrilevanza della destinazione finale di tali somme. Non v'è dubbio che il reato in oggetto sia sempre procedibile d'ufficio, stante la ritenuta applicabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11, c.p., ovvero dell'abuso di prestazione d'opera. Al di là della ormai pacifica riconducibiità dell'illecito distrattivo dell'amministratore nell'alveo del reato di cui all'art. 646 c.p., sono stati individuati due tipi di condotte in relazione all'oggetto: l'appropriazione indebita di somme e quella di documenti. Le appropriazioni indebite di danaro e documenti
Quanto alla prima, il delitto di appropriazione indebita - per sua natura reato istantaneo - si consuma con la prima condotta appropriativa nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, mentre rimane irrilevante l'epoca in cui si viene a conoscenza del comportamento illecito. nel caso in cui l'agente abbia la disponibilità di denaro altrui in virtù dello svolgimento di un incarico gestorio il reato di appropriazione indebita è integrato dall'interversione del possesso, che si manifesta quando l'autore si comporta uti dominus. Secondo recente arresto proprio attinente ad un caso di appropriazione indebita commessa dall'amministratore condominiale, la consumazione del reato avverrebbe nel momento in cui l'autore si comporta uti dominus non restituendo senza giustificazione le somme detenute, che non ha più ragione di trattenere, in modo da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l'elemento soggettivo del reato (Cass. pen., sez. II, 21 aprile 2017, n. 25444). Anche Cass. pen., sez. II, 11 maggio 2016, n. 27363, riferisce che l'utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell'amministratore durante il mandato non profila l'interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione. E difatti avendo l'amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell'appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l'interversione nel possesso. Il reato in parola ricorre anche nel caso in cui l'amministratore utilizzi quanto versato dai condomini di un condominio per il pagamento dei debiti di altro condominio dal medesimo soggetto professionale amministrato e non soltanto, quindi, nel caso in cui la distrazione sia finalizzata esclusivamente a soddisfare interessi personali e privati dell'amministratore (Trib. Bologna 17 marzo 2014). Dal profilo del momento soggettivo, esso consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità, con esclusione dunque di rilevanza penale di ogni condotta colposa, ovvero di atti di distrazione dovuti a errori contabili o materiali. Va inoltre rilevato che «l'intenzione di restituire il maltolto può far venire meno il dolo che informa il delitto di appropriazione indebita, solo a condizione che si manifesti al momento dell'abuso del possesso e sia accompagnata dalla certezza della possibilità di restituzione» (così Cass. pen., sez. II, 2 febbraio 1977 n. 7442). Da tale profilo, proprio in un particolare caso di contestata appropriazione indebita di somme mediante distrazione per fare fronte a spese e oneri di altri condominii, è stato deciso che si tratterebbe al più di appropriazione d'uso, ossia di un uso indebito di denaro posseduto, condotta che non potrebbe essere qualificata come appropriazione indebita perché compatibile con la manifesta volontà di restituirla, come nel caso di specie era in breve puntualmente avvenuto (Trib. Varese 28 marzo 2012). Più particolare la appropriazione indebita di documentazione contabile, reato che si colloca statisticamente nella patologia del passaggio delle consegne fra amministratore uscente e amministratore entrante. Si ritiene generalmente perfezionato il delitto di appropriazione indebita della documentazione relativa al condominio da parte di colui che ne era stato amministratore, non nel momento della revoca dello stesso e della nomina del successore, bensì nel momento in cui l'agente, volontariamente negando la restituzione della contabilità detenuta, si comporta uti dominus rispetto alla res (Cass. pen., sez. II, 11 maggio 2016, n. 27363; conf., Cass. pen., sez. II, 17 maggio 2013, n. 29451, che ha individuato - alla stregua dell'accertamento in punto di fatto compiuto dai giudici di merito - tale momento nella notifica del precetto che dava seguito all'ordinanza del Tribunale che ordinava la consegna della documentazione). La omessa restituzione della cosa alla controparte che ne ha fatto richiesta in pendenza di un rapporto contrattuale non integra, di per sé, il reato di cui all'art. 646 c.p., in quanto non modifica il rapporto tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione uti dominus e l'intenzione soggettiva di interversione del possesso, ma si riflette in un inadempimento di esclusiva rilevanza civilistica (Cass. pen., sez. II, 17 febbraio 2015 n. 12077: fattispecie relativa ad un meccanico, che, ricevuto in consegna un ciclomotore per procedere alle necessarie riparazioni, non vi provvedeva, nonostante le sollecitazioni del proprietario, rendendosi irreperibile e lasciando il mezzo quasi completamente smontato nell'officina; conf. Trib. Lecce 22 maggio 2017, per cui non commette il reato di appropriazione indebita l'imputato che non restituisce la documentazione in quanto affetto da grave patologia e trascurato ogni aspetto professionale non comunicava di non voler restituire la documentazione, ma faceva perdere le sue tracce, rendendosi irreperibile, venendo sicuramente meno ai propri doveri professionali, ma non comportandosi uti dominus rispetto alla res). Ai fini della configurabilità del danno patrimoniale di rilevante gravità, che fonda l'aumento di pena previsto dall'aggravante qui in esame, il danno deve esser valutato nella sua interezza e non parcellizzato in relazione alla «quota-danno» incidente sui singoli condomini. Il fatto che il condominio sia un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini (Cass. civ., sez. VI/II, n. 177/2012; Cass. civ., S.U., n. 9148/2008), i quali sono rappresentati dall'amministratore, non comporta la parcellizzazione del danno, essendo, di contro, rilevante il danno complessivo che il rappresentante degli interessi dei condomini ha causato svolgendo la sua funzione di amministratore dell'ente-condominio (Cass. pen., sez. II, 18 giugno 2015, n. 37666). Anche secondo la recente Cass. pen., sez. II, 21 aprile 2017, n. 25444, il danno cagionato al condominio dall'appropriazione indebita commessa dall'amministratore va valutato sulla scorta del principio della unitarietà, per cui la sussistenza o meno dell'aggravante del danno di rilevante gravità non dipende dal danno cagionato da ogni singola violazione, ma da quello complessivo causato dalla somma delle violazioni. La mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice
L'art. 1129 c.c. prevede che alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini. Ai casi di naturale scadenza del mandato, di dimissioni si aggiunge quello della revoca, che può avvenire in qualsiasi tempo e non richiede la menzione o la sussistenza di una giusta causa, dato che il rapporto tra amministratore ed assemblea riposa esclusivamente sulla fiducia che i partecipanti al condominio nutrono nei suoi confronti (Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1991, n. 11472). L'amministratore cessato deve dunque far pervenire tempestivamente al nuovo amministratore tutta detta documentazione, in suo possesso unicamente in ragione della sua veste di mandatario e che, comunque, è di esclusiva pertinenza del mandante. L'inottemperanza di tale obbligo legittima il nuovo amministratore ad agire in giudizio, al fine di ottenere la condanna del vecchio amministratore all'esecuzione specifica dell'obbligo, finanche in assenza di una delibera assembleare di autorizzazione e finanche con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., che ordini al precedente amministratore la consegna di tutta la documentazione condominiale necessaria per espletamento dell'incarico gestionale (ancora Cass. n. 11472/1991). È appena il caso di osservare che la documentazione contabile ed amministrativa relativa al Condominio risulta indispensabile per consentire al nuovo amministratore di espletare il proprio incarico (Trib. Torino 8 luglio 2014). Emesso il provvedimento che ordina la consegna della documentazione condominiale al nuovo amministratore o comunque al condominio, l'ottemperanza al medesimo risulta obbligo penalmente sanzionato. Il che è stato affermato in riferimento ad un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rivolto ad un amministratore cessato. Difatti tra i provvedimenti del giudice civile che prescrivono misure cautelari, la cui inosservanza è penalmente sanzionata dall'art. 388, comma 2, c.p., rientrano anche i provvedimenti di urgenza emessi a norma dell'art. 700 c.p.c., ma a condizione che essi attengano alla difesa della proprietà, del possesso o del credito. L'ordinanza ex art. 700 c.p.c. di consegna della documentazione contabile inerente all'amministrazione di un condominio incide sulla proprietà condominiale, impedendone la corretta amministrazione, rientrado dunque nel novero dei provvedimenti la cui esecuzione è penalmente tutelata. E' stato affermato che il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388, comma 2, c.p. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, dovendo riscontrarsi l'ulteriore elemento della esigenza di necessaria collaborazione dell'obbligato. Nel caso di specie tale necessità sussiste, difatti la raccolta e consegna dei documenti contabili dal vecchio al nuovo amministratore richiede certamente la collaborazione del detentore (Cass. pen., sez. II, 16 aprile 2014 n. 31192). Qualora il giudice abbia sospeso l'esecuzione di una delibera dell'assemblea condominiale, della quale sia contestata nel merito la legittimità, è illecito ogni comportamento elusivo della sospensione, e dunque è illecita l'esecuzione di una delibera successiva con il medesimo oggetto, ancorché asseritamente emendata dei vizi originari, prima sia disposta la revoca giudiziale della sospensiva o, comunque, stabilita la cessazione della materia del contendere (Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2014 n. 33227, fattispecie in cui è stato ascritto all'amministratore condominiale il delitto di cui all'art. 388, comma 2, c.p., per avere avendo dato esecuzione, nella propria qualità di amministratore di un condominio milanese, ad una delibera assembleare che comportava l'esecuzione di lavori su parti comuni, sebbene fosse stata disposta dal giudice civile la sospensione dell'esecuzione di precedenti delibere con il medesimo oggetto). In conclusione
Le condotte riconducibili a tale paradigma sono connotate da una falsa rappresentazione di spese o prestazioni professionali da parte dell'amministratore, che inducono i condomini ad autorizzare o convalidare richieste di contribuzioni e conseguenti prelievi, che lungi dal corrispondere a spese nell'interesse comune mascherano invece disposizioni patrimoniali destinate al patrimonio personale dell'amministratore o di terzi estranei agli interessi del condominio. Come affermato da Cass. pen., sez. II, 21 aprile 2017, n. 25444, configura il reato di truffa ai danni del condominio la condotta dell'amministratore che pretenda il pagamento di compensi per prestazioni professionali fasulle, con seguente addebito al condominio degli importi fatturati. Il perfezionamento del reato deve ritenersi compiuto nel momento in cui l'indebito esborso e il correlato ingiusto profitto si verificano, a prescindere dalla sua constatazione da parte del nuovo amministratore. Il tempus commissi delicti si colloca dunque in coincidenza con l'indebito esborso dei condomini e il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'amministratore. |