Punitive damages e ordinamento italiano: una prima apertura verso il riconoscimento

Cristina Cengia
11 Ottobre 2017

L'istituto dei punitive damages è sempre meno estraneo agli ordinamenti di civil law che, seppur in limitate ipotesi, offrono un riconoscimento giuridico alla fattispecie. Nel corso dell'ultimo decennio il legislatore italiano è intervenuto introducendo alcune figure di risarcimento del danno – definite da alcuni autori come “ultracompensative” - che presentano elementi per certi versi similari a quelli che contraddistinguono i punitive damages degli ordinamenti di common law. La giurisprudenza di legittimità è sempre stata costante nel ritenere i danni punitivi incompatibili con il sistema interno. Recentemente, tuttavia, con la pronuncia a Sezioni Unite n. 16601/2017, la Suprema Corte ha manifestato una significativa apertura verso il riconoscimento nel nostro ordinamento.
I punitive damages: inquadramento della fattispecie

Per punitive damages (danni punitivi) si intendeun istituto giuridico secondo cui, quando si verificano profili di responsabilità civile in capo ad una persona fisica o giuridica per danni conseguenti a condotte da parte di quest'ultima, è possibile prevedere la condanna ad una sanzione pecuniaria a carattere punitivo ulteriore rispetto alla sanzione compensativa necessaria a ristorare il danneggiato del danno effettivamente subito.

I punitive damages trovano la propria fonte nell'ordinamento anglosassone del XIV secolo e vengono delineati per la prima volta nelle sentenze Wilkes v. Wood del 1763 (in Eng. rep., 1763, 489) e Rookes v. Barnarde del 1964 (House of Lords, 21 gennaio 1964, AC 1129, 1 All. ER 367). La fattispecie si è poi evoluta principalmente nell'ordinamento statunitense grazie all'intervento della giurisprudenza che ha contribuito a tracciarne caratteristiche e limiti.

I danni punitivi costituiscono dunque un istituto tipico degli ordinamenti di common law e hanno lo scopo primario di sanzionare il responsabile di condotte lesive in ragione del carattere particolarmente doloso delle stesse ovvero della gravità del danno sociale arrecato, tutelando contestualmente anche gli interessi patrimoniali della vittima ed ottenendo un effetto deterrente nei confronti di altri potenziali trasgressori (in questi termini, cfr. G. Ponzanelli, I punitive damages nell'esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ. 1983, I, 438; e ancora D. Corvi, Punitive Damages, in Contr. e Impr., 2014, 4-5, 859). La condotta dalla quale scaturiscono condanne al pagamento dei danni punitivi, infatti, è integrata da malice – dolo - o gross negligence - colpa grave - (cfr. F. Spillare, I danni punitivi: mito o realtà? in Attualità e Saggi, Studium Iuris 12/2014, 1407).

La finalità dell'istituto è, in un certo senso, vicina a quella della sanzione penale, pur rimanendo comunque una fattispecie civilistica derivante da un illecito di natura extracontrattuale che oggi trova applicazione soprattutto in ambito di responsabilità del produttore per danni da prodotto difettoso.

La determinazione dell'ammontare dei danni punitivi non è effettuata sulla base di parametri algebrici, bensì rimessa alla discrezionalità dell'organo giudicante che deve tenere conto - inter alia – anche della situazione patrimoniale del responsabile.

Nel sistema statunitense la liquidazione della somma da corrispondere soggiace, in primo luogo, alla giurisdizione dei singoli Stati e viene di regola compiuta da giurie popolari le quali tradizionalmente godono di ampia discrezionalità nell'individuazione del quantum.

Tale discrezionalità, tuttavia, ha condotto a condanne anche molto severe e al rischio di un possibile abuso dell'istituto mediante la proliferazione dei cd. frivolous lawsuit, azioni legali con scarso fondamento giuridico attivate nella speranza di veder riconosciuti risarcimenti anche se non giustificati.

La Corte Suprema Federale degli Stati Uniti - chiamata a pronunciarsi in numerose occasioni riguardo la legittimità di pronunce emesse in materia di danni punitivi - è dovuta pertanto intervenire per porre un freno al crescente numero di azioni e all'entità delle condanne, stabilendo che queste ultime possano essere comminate solo in caso di particolare gravità della condotta tenuta dal danneggiante, dovendo in ogni caso mantenersi una ragionevole proporzione tra danni compensativi e punitivi, nonché considerare il rapporto tra danni punitivi ed altre sanzioni suscettibili di essere applicate nel caso concreto (F. Spillare, I danni punitivi: mito o realtà? in Attualità e Saggi, Studium Iuris 12/2014, 1408 e ss.).

L'istituto in analisi sta diventando sempre meno estraneo agli ordinamenti di civil law che, seppur in limitate ipotesi, offrono un riconoscimento giuridico alla fattispecie.

Un esempio è rinvenibile nell'ordinamento argentino che nel 2008 ha codificato l'istituto dei danni punitivi all'art. 52 bis della Ley n. 26361 come azione a difesa del consumatore (cfr. D. Corvi, Dibattiti, in Contratto e Impresa, 4-5/2014, 866).

Quanto alla Francia, la tematica dei danni punitivi è in costante evoluzione e, nonostante gli stessi non siano codificati quali vere e proprie figure di danno, sono ritenuti compatibili con l'ordinamento francese (F. Benatti, La circolazione dei danni punitivi due modelli a confronto, in Corr. Giur., 2012, 267).

Punitive damages e ordinamento italiano: tra ordine pubblico e funzione della responsabilità civile

Come osservato supra, l'istituto in esame si pone al confine tra la sanzione penale – evidentemente caratterizzata da una ratio preventiva e deterrente – e la sanzione civile tradizionalmente qualificata da dottrina e giurisprudenza come tesa ad una funzione risarcitoria e ripristinatoria (cfr. G. Ponzanelli, I punitive damages nell'esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ. 1983, I, 438; e ancora D. Corvi, Punitive Damages in Contr. e Impr., 2014, 4-5, 859).

Stante il principio della separazione, nel nostro ordinamento, tra diritto civile e diritto penale, si pone la necessità di valutare se ed in che limiti i punitive damages possano rapportarsi con il diritto italiano ed essere comminati a persone fisiche o giuridiche in forza di sentenze straniere per le quali venga depositato ricorso per delibazione.

A tal fine, prima di procedere con l'analisi degli orientamenti ermeneutici in materia, si rende preliminarmente opportuno chiarire il significato di due distinti concetti che fungono da presupposti imprescindibili per l'analisi che ci si appresta a compiere, ossia:

  • la nozione di ordine pubblico, quale limite al riconoscimento in Italia di sentenze straniere in forza degli artt. 64 ss. L. n. 218/1995;
  • la natura e la funzione della responsabilità civile nell'ordinamento interno, al fine di valutare la compatibilità con l'istituto dei danni punitivi anche in rapporto con alcune fattispecie di diritto italiano aventi una funzione similare ai punitive damages.
(Segue) Il concetto di ordine pubblico

La nozione di ordine pubblico, come noto, è piuttosto complessa e sfuggente in quanto esprime un concetto derivante dalla combinazione tra fattori di carattere sociale, etico e politico con fattori di natura storica e giuridica (in tal senso, cfr. Feraci, L'ordine pubblico nel diritto dell'Unione Europea, Milano, 2012, 11).

Nonostante si tratti di un'accezione ampia e mutevole, è possibile affermare - sulla scorta delle indicazioni dottrinali - che con ordine pubblico si intenda il sistema dei valori che connotano un certo ordinamento giuridico, la cui osservanza è ritenuta indispensabile per l'esistenza stessa dell'ordinamento (cfr. Livio Paladin, Ordine Pubblico, in Novissimo Dig., XII, Torino, 1965; Cass. Civ., n. 7613/2015; E. Lucchini Guastalla, La compatibilità dei danni punitivi con l'ordine pubblico alla luce della funzione sanzionatoria di alcune disposizioni normative processual-civilistiche, in Resp. Civ. e Prev., 2016, 5, 1474).

L'ordine pubblico rappresenta dunque l'insieme dei principi fondamentali di un sistema giuridico e si pone come limite al riconoscimento di fattispecie estranee e incoerenti rispetto a detti principi, come statuito espressamente dall'art. 16 L. n. 218/1995.

Esso assolve infatti la funzione di arginare l'ingresso nel nostro ordinamento, per il tramite del processo di riconoscimento di pronunce straniere, di istituti incompatibili con i fondamenti del diritto domestico.

Invero, la Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 18 del 2 febbraio 1982, ha sancito il principio della indefettibilità, sul piano costituzionale, del controllo giudiziario sulla non contrarietà delle sentenze straniere all'ordine pubblico processuale e sostanziale italiano (cfr. G. Salmè, L'ordine pubblico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile - Atti dei Convegni Roma, 18 marzo 2016 - Genova, 27 maggio 2016 - Vicenza, 1 luglio 2016 - n. 1/2016). I giudici italiani, chiamati ad esprimersi in tema di riconoscimento di istituti di derivazione straniera – quali per l'appunto i punitive damages – prima di pronunciarsi in senso favorevole o contrario devono effettuare una preliminare valutazione di compatibilità tra tali istituti e la struttura del nostro ordinamento.

(Segue) La funzione della responsabilità civile

Come detto, i punitive damages riconoscono al danneggiato un risarcimento ulteriore rispetto a quello volto a compensare il danno subito nei casi in cui il danneggiante abbia agito con malice (dolo) o gross negligence (colpa grave). Essi presuppongono dunque la sussistenza della responsabilità civile del danneggiante.

La natura della responsabilità civile nell'ordinamento italiano è da sempre oggetto di differenti interpretazioni. In particolare, si segnalano i seguenti filoni dottrinali:

  • la corrente che ritiene che la responsabilità abbia funzione compensativa, volta a riparare la perdita economica subita dal danneggiato, ripristinando lo stato nel quale questi si trovava prima che si verificasse il fatto illecito (cfr. ex multis A. Zaccaria, sub art. 1223 c.c., in Comm. Cian-Trabucchi, X ed., a cura di G. Cian, Padova 2011, 1276);
  • l'orientamento che dà valore alla funzione satisfattiva, ossia quella di ristorare il danneggiato per il fatto di avere subito la lesione di un bene giuridico tutelato (cfr. C. Salvi, La responsabilità civile, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 2005, 302);
  • coloro che ritengono che la responsabilità civile abbia funzione preventiva o deterrente, ossia quella di dissuadere il danneggiante, e più ampiamente la collettività, dal compiere illeciti (P. Sirena (a cura di), La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, Milano, 2011);
  • l'orientamento che valorizza la polifunzionalità della sanzione civile (sul punto, cfr. infra).

Tra le diverse correnti dottrinali ut supra sinteticamente delineate è preminente la prima, che individua quale finalità tipica della responsabilità civile quella compensativa, avendo la sanzione del risarcimento del danno il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione mediante l'attribuzione di una somma che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito.

Il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non avrebbe quindi né caratteristiche né finalità punitive, restando tendenzialmente estranea al sistema interno l'idea della punizione-sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta: ciò che rileva è l'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso.

(Segue) La polifunzionalità della responsabilità civile e le c.d. figure ultracompensative del danno

Non può tuttavia sottacersi che, nel corso dell'ultimo decennio, il legislatore è intervenuto introducendo delle fattispecie con elementi per certi versi similari a quelli che contraddistinguono i punitive damages.

Alcuni autori sono dunque giunti a sostenere che la responsabilità civile abbia assunto caratteri di polifunzionalità mediante l'inserimento di figure c.d. ultracompensative di danno (cfr. F. Spillare, I danni punitivi: mito o realtà? in Attualità e Saggi, Studium Iuris 12/2014, 1407; P. Perlingeri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ. 2011, 1, 119; P.G. Montaneri, La responsabilità civile, Torino 1998, 19; G. Alpa, La responsabilità civile, Trattato di diritto civile, Milano 1999, 132).

Un primo esempio riportato dalla dottrina è quello dell'art. 125 del Codice della Proprietà Industriale (D. Lgs. n. 30/2005), che attribuisce al danneggiato la facoltà di ottenere, oltre al risarcimento del danno emergente anche - per la parte eccedente il lucro cessante o in alternativa a questo - la restituzione degli utili illecitamente conseguiti dall'autore tramite la violazione del diritto di proprietà intellettuale. Tale strumento quindi accosta la funzione riparatoria della responsabilità civile ad una funzione para-sanzionatoria (come precisato da Cass. Civ. sentenze n. 8730/2011 e n. 11353/2010; in dottrina, cfr. F. Spillare, I danni punitivi: mito o realtà?, cit., 1407; A. Riccio, I danni punitivi non sono quindi in contrasto con l'ordine pubblico interno in Contr. e Impr., 2009, 4-5, 854).

Ancora, l'art. 614-bis c.p.c. rubricato “Misure di coercizione indiretta”,introduce nel nostro ordinamento l'istituto di origine francese del c.d. astreinte. Trattasi di una fattispecie sanzionatoria di derivazione giurisprudenziale, destinata a coartare indirettamente il debitore nell'esecuzione di obblighi (non coercibili in forma specifica) derivanti da decisioni delle autorità giudiziarie. Più nello specifico, consiste in una somma che il debitore inadempiente deve pagare qualora si rifiuti di ottemperare all'ordine giudiziario.

La ratio dell'art. 614-bis c.p.c. è volta a fare sì che il debitore adempia ad un provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro. Al debitore inadempiente è infatti ordinato - in caso di suo rifiuto ad eseguire la prestazione specificata nel provvedimento - il pagamento di una somma in caso di violazione e/o ritardo (cfr. A. Venchiarutti, Le astreintes sono compatibili con l'ordine pubblico interno. E i punitive damages? in Resp. Civ. e Prev., 2015, 6, 1899).

La quantificazione della somma è valutata non in base al danno subito dal creditore, bensì in relazione alla capacità patrimoniale dell'inadempiente ed a parametri ulteriori quali, ad esempio, il grado di colpa (cfr. A. Riccio, I danni punitivi non sono quindi in contrasto con l'ordine pubblico interno in Contr. e Impr., 2009, 4-5, 854; E. Lucchini Guastalla, La compatibilità dei danni punitivi con l'ordine pubblico alla luce della funzione sanzionatoria di alcune disposizioni normative processual-civilistiche in Resp. Civ. e Prev., 2016, 5, 1474).

Merita inoltre menzione anche l'art. 96, comma 3, c.p.c. dettato in tema di condanna per lite temeraria. Tale norma prevede una responsabilità aggravata per quei casi in cui sia instaurato un contenzioso ingiustificato: in una tale circostanza il giudice – anche d'ufficio e in via equitativa – può irrogare una sanzione alla parte che abbia, in violazione dei generali obblighi di diligenza, abusato dello strumento processuale, con lo scopo di ottenere anche un effetto deterrente rispetto al futuro verificarsi di condotte del medesimo tenore (cfr. F. Spillare, I danni punitivi: mito o realtà? in Attualità e Saggi, Studium Iuris 12/2014, 1407; F. Quarta, Illecito civile, danni punitivi e ordine pubblico, in Resp. Civ e Prev., 2016, 4, 1159).

Un'ulteriore norma invocabile a sostegno della polifunzionalità della responsabilità civile è generalmente individuata nel disposto di cui all'art. 709-ter, comma 2, c.p.c. in tema di controversie tra genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento della prole. A riguardo, la prevalente giurisprudenza e dottrina hanno ritenuto che il legislatore, introducendo una forma di risarcimento danni a carico del genitore che commetta gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, abbia inteso perseguire finalità deterrenti e sanzionatorie piuttosto che compensative, non essendo necessaria ai fini della condanna ex art. 709-ter c.p.c. la prova del pregiudizio sofferto (cfr. A. Riccio, I danni punitivi non sono quindi in contrasto con l'ordine pubblico interno in Contr. e Impr., 2009, 4-5, 854).

Infine, si segnala l'art. 311 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. n. 152/2006), che dispone che colui che arrechi un danno ambientale sia obbligato al ripristino dello status quo ante e, in mancanza, al pagamento di un risarcimento per equivalente in favore dello Stato (cfr. A. Riccio, I danni punitivi non sono quindi in contrasto con l'ordine pubblico interno in Contr. e Impr., 2009, 4-5, 854).

Incompatibilità dei punitive damages con l'ordinamento italiano: l'orientamento giurisprudenziale delineato dalla Cassazione

Ai fini di meglio comprendere il fenomeno evolutivo che ha caratterizzato l'istituto nell'ambito dell'ordinamento italiano prima della recente pronuncia a Sezioni Unite n. 16601/2017 (cfr. infra), occorre ripercorrere brevemente gli stepspiù significativi dell'evoluzione giurisprudenziale intercorsa, da sempre costante nel ritenere i danni punitivi incompatibili con il sistema interno.

La decisione della Corte di Cassazione, Sez. III, n. 1183 del 19 gennaio 2007

Un primo contributo offerto dalla Suprema Corte sul tema oggetto di indagine si rinviene nella sentenza n. 1183/2007.

Nel caso di specie, una persona fisica aveva adito la Corte d'Appello di Venezia al fine di ottenere la delibazione di una sentenza emessa dalla Corte distrettuale della Contea di Jefferson (Alabama, Stati Uniti). La pronuncia straniera aveva ad oggetto la condanna di una società italiana al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni per essere stato accertato il nesso causale tra un difetto di progettazione e costruzione di alcuni caschi prodotti dalla società italiana e il decesso del figlio del ricorrente a seguito di un incidente.

La Corte d'Appello, ritenendo si trattasse di una condanna per danni punitivi, negava la delibazione della sentenza straniera, sostenendo il mancato riconoscimento nell'ordinamento italiano di tale istituto.

La decisione di rigetto espressa dalla Corte di Venezia veniva dunque impugnata e portata all'attenzione della Suprema Corte, la quale dichiarava incompatibile con il nostro ordinamento l'istituto dei danni punitivi in quanto:

  • il sistema della responsabilità civile previsto dell'ordinamento italiano è estraneo agli istituti di carattere punitivo, fondandosi il risarcimento del danno sull'esistenza di una lesione e sulla prova delle conseguenze negative per il danneggiato;
  • nel nostro ordinamento la risarcibilità del danno è sempre condizionata all'accertamento delle sofferenze e delle lesioni inferte dall'illecita condotta altrui, non potendosi considerare provata in re ipsa;
  • in definitiva, si trattava di un pacifico contrasto con l'ordine pubblico.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 1781 dell'8 febbraio 2012

La Cassazione è successivamente tornata sulla questione con la pronuncia n. 1781/2012, in relazione ad un'azione di risarcimento incardinata da un lavoratore dinanzi alla Corte Suprema di Cambridge (Massachusetts) per ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso subiti a seguito di un infortunio sul lavoro.

Il ricorrente aveva ottenuto dal giudice straniero una pronuncia di condanna nei confronti di entrambe le società produttrici del macchinario difettoso, per un valore nettamente superiore a quanto richiesto.

La Corte di Appello di Torino, adita per riconoscere e dichiarare efficaci in Italia le due identiche pronunce emesse a favore del lavoratore contro le società italiane convenute, riteneva che potesse essere riconosciuta una sola delle due. La società condannata proponeva quindi ricorso per Cassazione; quest'ultima, in accoglimento del gravame, ribaltava tale giudizio di delibazione, ritenendo che la sentenza de qua non potesse essere riconosciuta nel nostro ordinamento, anzitutto per contrarietà con l'ordine pubblico.

I giudici ermellini in tale occasione hanno ribadito che nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, né il medesimo ordinamento consente un “arricchimento” del danneggiato se non sussista una causa giustificatrice dello stesso.

Peraltro, poiché la sentenza statunitense, oltre a riconoscere un ingente risarcimento del danno, non aveva motivato la decisione - né con riferimento ai criteri legali in concreto applicati per qualificare la responsabilità, né in relazione alle voci di danno risarcibile - con la sentenza citata è stato chiarito che, sebbene la mancanza della motivazione della sentenza straniera non costituisca causa ostativa al riconoscimento, tale vizio diviene tuttavia rilevante qualora questa sia indispensabile ai fini di valutare la compatibilità del contenuto della pronuncia con l'ordine pubblico interno.

L'apertura della Cassazione: l'ordinanza di rimessione alle SS.UU. n. 9978 del 2016 e la sentenza a S.U. n. 16601 del 2017

Va anzitutto precisato che la sentenza delle Sezioni Unite n. 16601/2017 è scaturita da una vicenda posta all'attenzione del Primo Presidente della Corte di Cassazione che, ravvisando i presupposti di cui all'art. art. 374, comma 2, c.p.c. ha emesso apposita ordinanza di rimessione n. 9978/2016.

L'ordinanza interlocutoria n. 9978 del 16 maggio 2016: la rimessione alle SS.UU.

Nel caso di specie, un motociclista statunitense riportava gravi danni a causa di un incidente motociclistico per un accertato vizio del casco utilizzato. Tale casco era prodotto da una società italiana e rivenduto in America da una società statunitense.

Quest'ultima, in forza di un accordo transattivo stipulato con il motociclista, versava a costui un'ingente somma di denaro anche a titolo di danno punitivo.

La società statunitense rivenditrice del prodotto adiva le Autorità giudiziarie americane (nello specifico, la Circuit Court of the 17th Judicial Circuit for Broward Count, Florida, in primo grado, e la District Court of Appeal of the State of Florida, in secondo) per ottenere la condanna della società italiana alla manleva e alla conseguente reintegrazione patrimoniale di quanto pagato: i giudici dello Stato della Florida accoglievano le domande svolte dalla ricorrente ed emettevano tre sentenze di condanna nei confronti della produttrice italiana.

La società statunitense instaurava, pertanto, apposito giudizio di delibazione dinanzi alla Corte d'Appello di Venezia atto a dichiarare esecutive in Italia, ai sensi dell'art. 67 L. n. 218/1995, le tre sentenze emesse da giudici dello Stato della Florida.

La Corte veneziana accoglieva la domanda di delibazione ravvisando la conformità delle pronunce straniere all'ordine pubblico interno.

La società italiana soccombente proponeva dunque ricorso per Cassazione articolato in tre motivi di gravame.

Permanendo un potenziale contrasto sulla questione inerente la riconoscibilità - nell'ordinamento nazionale - delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi, la Prima Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, investiva il Primo Presidente per valutare la rimessione alla cognizione delle Sezioni unite. Il Primo Presidente provvedeva ravvisando la configurazione dei presupposti di cui all'art. 374, comma 2, c.p.c.

L'ordinanza in esame ripercorre dapprima le tesi giurisprudenziali sviluppate sul tema osservando, da un lato, una progressiva evoluzione del principio dell'ordine pubblico e, dall'altro, un progressivo ripensamento della funzione riparatorio-compensativa del rimedio risarcitorio per come è strutturato nell'ordinamento italiano.

I giudici evidenziano come la giurisprudenza di legittimità abbia in ogni tempo ritenuto che le pronunce comminatorie di danni punitivi oggetto di procedimento di delibazione siano contrarie all'ordine pubblico in quanto “l'idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno”, posto che alla “responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno arrecato”.

La sezione rimettente auspicava dunque un ripensamento sulla questione alla luce di una revisione del concetto di ordine pubblico affinché fosse eventualmente possibile giungere ad una delibazione delle pronunce estere sulla base di una rinnovata concezione della funzione socio-giuridica del risarcimento del danno, ormai tendente allo svolgimento di un fine anche sanzionatorio e non più solo riparatorio.

La Corte evidenziavano, infine, la dissonanza della giurisprudenza italiana rispetto alle aperture dimostrate da altri giudici europei: in Spagna, Francia, Germania e Slovenia, infatti, si è affermato a più riprese che la valutazione circa la compatibilità dell'istituto debba essere effettuata caso per caso, limitando il riconoscimento di sentenze straniere in tema di punitive damages solo ove la misura della sanzione comminata sia eccessiva.

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 16601 del 5 luglio 2017.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 16601/2017, hanno esaudito l'auspicio della sezione rimettente emettendo una sentenza che si presume costituirà un fondamentale precedente in materia.

La Cassazione afferma nega l'incompatibilità ontologica dell'istituto dei danni punitivi nel nostro ordinamento, purché siano rispettati determinati limiti quali, in via primaria, quello dell'ordine pubblico.

In prima battuta, la Cassazione ripercorre le tendenze giurisprudenziali in materia (cfr. precedente §) per prendere poi posizione sulla nozione di ordine pubblico quale limite al riconoscimento di sentenze straniere rilevante ai fini degli effetti di cui agli artt. 64 ss. L. n. 218/1995.

Tale concetto, precisano le S.S. U.U., ha conosciuto una progressiva evoluzione ed oggi deve essere riconsiderato alla luce di una “europeizzazione del diritto internazionale privato e processuale”. L'ordine pubblico, di conseguenza, “da strumento di tutela dei valori nazionali” deve divenire progressivamente “veicolo di promozione della ricerca di principi comuni agli Stati membri, in relazione ai diritti fondamentali”.

L'ordine pubblico può dunque identificarsi come il complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili dai sistemi di tutela sovranazionali.

In considerazione di quanto sopra il giudice italiano, chiamato a valutare la sussistenza dei presupposti per la delibazione, dovrà verificare preventivamente la compatibilità della norma straniera con i valori essenziali desumibili da norme e principi sovraordinati, costituzionali e internazionali.

Come argomentato nella decisione in commento, “la sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall'ordinamento nazionale, quand'anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell'apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l'ordinamento costituzionale”.

Del resto, una lettura più tradizionale dell'istituto è ormai superata dall'evoluzione che la responsabilità civile ha subito negli ultimi anni a livello europeo, ove a più riprese è stato concesso spazio a rimedi risarcitori con funzione prevalentemente deterrente o sanzionatoria.

Occorre infatti prendere atto della polifunzionalità del sistema della responsabilità civile (cfr. supra) non solo nell'ordinamento interno, ma anche “nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale”.

Nonostante nel nostro ordinamento prevalga la funzione riparatorio-compensativa della responsabilità civile, tale accezione non può più essere la sola attribuibile al rimedio risarcitorio, dovendosi ritenere superata la tesi che ne escludeva qualsiasi attitudine a svolgere anche una funzione “punitiva-deterrente”.

A sostegno di questa lettura, i giudici ermellini evidenziano che nel sistema italiano sono già presenti istituti con funzione non propriamente riparatoria: trattasi degli artt. 709-ter c.p.c., 614-bis c.p.c. e 96, comma 3, c.p.c..

Alla luce di una siffatta concezione, dunque, l'istituto dei punitive damages non può essere ritenuto pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e, quindi, all'ordine pubblico internazionale).

Il riconoscimento tuttavia non è esente da limitazioni e condizioni. La Suprema Corte, infatti, afferma chiaramente che “superato l'ostacolo connesso alla natura della condanna risarcitoria, l'esame va portato sui presupposti che questa condanna deve avere per poter essere importata nel nostro ordinamento senza confliggere con i valori che presidiano la materia, valori riconducibili agli artt. da 23 a 25 Cost.”.

Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere dovrà, tuttavia, essere ancorata a specifiche disposizioni dell'ordinamento straniero (nel rispetto del principio di legalità e giusto processo), che permettano di individuare:

i) la tipicità delle ipotesi di condanna;

ii) la loro prevedibilità;

iii) i limiti di natura quantitativa al risarcimento stesso.

Sul punto precisano gli ermellini che “il principio di legalità postula che una condanna straniera a risarcimenti punitivi provenga da fonte normativa riconoscibile, cioè che il giudice a quo abbia pronunciato sulla scorta di basi normative adeguate, che rispondano ai principi di tipicità e prevedibilità”.

Ancora, ai sensi dell'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, non potranno trascurarsi i principi di legalità e proporzionalità dei reati e delle pene. La sua applicazione comporta che, per rendere riconoscibile la natura della sanzione/punizione, il controllo delle Corti di appello sia portato a verificare la proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra quest'ultimo e la condotta censurata.

Osservazioni conclusive

Nel corso di un lungo e travagliato iter diretto a riconoscimento dei punitive damages nel nostro ordinamento, la pronuncia delle Sezioni Unite n. 16601/2017 costituisce senza dubbio una prima apertura a fronte di una nuova concezione del concetto di ordine pubblico e della funzione della responsabilità civile, oggi interpretata in chiave polifunzionale.

Il riconoscimento di sentenze straniere di condanna al risarcimento di danni punitivi non può certo equivalere al riconoscimento, in generale, della figura risarcitoria punitiva. Tuttavia, la decisione segna inequivocabilmente un cambio di orientamento rilevante e apre la strada ad istituti sino a poco tempo fa del tutto incompatibili con il sistema interno.

L'ingresso dei punitive damages non è certo esente da condizioni: il giudice italiano dovrà infatti accertare che il giudice straniero rispetti i principi di tipicità delle ipotesi di condanna e della loro prevedibilità, nonché individui i limiti quantitativi alla determinazione del risarcimento, dovendo in ogni caso essere rispettato il principio dell'ordine pubblico seppure interpretato in chiave differente rispetto alla tradizionale accezione.

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