Modalità di calcolo dell'aggiornamento del canone
18 Ottobre 2017
Il quadro normativo
Premesso che l'aggiornamento del canone non integra un effetto legale naturale del contratto di locazione, bensì presuppone la stipula di una specifica clausola di aggiornamento, eventualmente convenuta anche in un accordo successivo all'insorgere del rapporto locativo, non essendo richiesta la contestualità, l'art. 32 della l. n. 392/1978 (legge sull'equo canone) sancisce che «le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira. Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'art. 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati». A sua volta, l'art. 33 della medesima legge prevede che «il canone delle locazioni stagionali può essere aggiornato con le modalità di cui all'art. 32». Si rammenta che, ai sensi dell'art. 3 comma 11, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, «nel caso in cui il locatore opti per l'applicazione della cedolare secca è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell'opzione, la facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'ISTAT dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell'anno precedente. L'opzione non ha effetto se di essa il locatore non ha dato preventiva comunicazione al conduttore con lettera raccomandata, con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone a qualsiasi titolo. Le disposizioni di cui al presente comma sono inderogabili». Come visto, la disposizione legislativa prevede che le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'art. 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Tale previsione è assistita dalla norma di salvaguardia di cui all'art. 79, che sanzione con la nullità di «ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto» ovvero «ad attribuire al locatore un canone maggiore» o, infine, «ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni» della l. n. 392/1978. Pertanto, non possono che esser nulle le clausole con le quali si convenga che l'aggiornamento annuale del canone sia calcolato in una percentuale delle variazioni dell'indice ISTAT superiore alla misura del 75%. La nullità di dette pattuizioni (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2015, n. 19524; Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2015, n. 5849) non comporta l'invalidità dell'intero negozio, né dell'intera clausola che regola l'aggiornamento, operando in tal caso il meccanismo di integrazione automatica del contratto di cui al combinato disposto degli artt. 1339 e 1419 c. c., con la conseguenza che l'aggiornamento del canone, pur in presenza di contraria pattuizione, deve essere effettuato nei limiti stabiliti dall'art. 32, comma 2, della legge sull'equo canone (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2002, n. 14655; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1995, n. 9458; Cass. civ. sez. III, 25 maggio 1992, n. 6246). Tuttavia, il limite al 75% contenuto nella previsione della legge dell'equo canone non si applica per quanto riguarda le locazioni ad uso diverso pattuite a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 41, comma 16- duodecies, della l. n. 14/2009 - legge di conversione del c.d. decreto milleproroghe - secondo cui per i nuovi contratti di locazione a uso non abitativo in cui sia pattuita una durata superiore al minimo di legge (6 anni per immobili industriali, commerciali e artigianali o di interesse turistico o adibiti all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo e 9 anni per immobile adibito ad attività alberghiera) la variazione in aumento del canone può essere liberamente convenuta dalle parti anche in misura superiore al limite del 75% della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati stabilita dall'ISTAT (quindi, ragionevolmente, anche in misura pari al 100%). Ne segue che, per effetto di tale riforma, il limite di aggiornamento del 75%, cui erano già assoggettati tutti i contratti di locazione regolati dalla l. n. 392/1978, è ora applicabile ai soli contratti ad uso non abitativo «stipulati per una durata non superiore» a quella legale. La nuova disposizione si applica anche «anche ai contratti in corso al momento dell'entrata in vigore del limite di aggiornamento» che secondo una rigorosa interpretazione letterale sono quelli in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 392/1978 che tale limite introduceva, ma che deve intendersi estesa ai contratti successivi, non potendosi ritenere che il legislatore abbia inteso limitare con questa espressione (introdotta peraltro dalla congiunzione «anche») l'efficacia retroattiva della novella a contratti molto risalenti con esclusione di altri anch'essi già in essere, ma più recenti. Occorre ovviamente, stante l'ontologico rapporto sinallagmatico fra la deroga al limite di aggiornamento al 75% e il vantaggio per il conduttore di poter disporre dell'immobile per una durata superiore a quella minima legale, che l'aggiornamento del canone sino al 100% della variazione ISTAT sia pattiziamente previsto contestualmente ad una durata superiore a quella di cui all'art. 27, comma 2 della l. n. 392/1978. Base di calcolo
In particolare, per quanto attiene la base e le modalità di calcolo di tale quid pluris, è opinione di Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2004, n. 15034 che, per potersi parlare di aggiornamento del canone originario, è indispensabile che, sia pure con le cadenze e nei termini previsti, esso sia rideterminato in base all'intera variazione monetaria (salvo poi a ridurla al 75%), verificatasi tra il momento iniziale del canone di partenza ed il momento di decorrenza di tale variazione (su richiesta), secondo il criterio della c.d. variazione assoluta, che correntemente si applica in tema di aggiornamento del canone delle locazioni ad uso non abitativo (così si legge nella parte motiva di tale pronuncia: «per potersi parlare di aggiornamento del canone originario è necessario che, sia pure con le cadenze e nei termini previsti, esso sia rideterminato in base all'intera variazione monetaria (salvo poi a ridurla al 75%), verificatasi tra il momento iniziale del canone di partenza ed il momento di decorrenza di tale variazione (su richiesta), secondo il criterio della c.d. variazione assoluta, che correntemente si applica in tema di aggiornamento del canone delle locazioni ad uso non abitativo» (Cass. n. 9283/1987; Cass. n. 6604/1986; Cass. n. 626/1988). Solo in tal modo il corrispettivo originariamente pattuito può dirsi aggiornato effettivamente e realmente (per quanto nei limiti del 75%), mentre nel caso di applicazione della variazione intermedia esclusivamente ai canoni precedentemente rivalutati, ed a maggior ragione, in assenza di richiesta di aggiornamento per l'anno intermedio precedente, al canone nell'entità in cui era pagato nell'anno precedente alla richiesta di aggiornamento, vengono ad essere aggiornate solo dette diverse entità, ma non quella originariamente convenuta in contratto, come previsto dalla legge, mutando peraltro l'oggetto dell'aggiornamento. Ciò comporta che, poiché la corresponsione dell'aggiornamento del canone ne presuppone la richiesta, poiché solo da tale richiesta decorre l'aggiornamento, se detta richiesta è stata tardivamente proposta, risulta definitivamente perduta la facoltà di richiedere gli aggiornamenti per le mensilità ormai passate (in buona sostanza non possono essere richiesti «gli arretrati» dell'aggiornamento del canone). Infatti, si reputa che unicamente in tal guisa si rispetta il dato normativo che impone che unicamente il corrispettivo originariamente pattuito debba essere aggiornato in via effettiva e reale, sia pure nei limiti del 75%. Diversamente, nel caso di applicazione della variazione intermedia esclusivamente ai canoni precedentemente rivalutati, ed a maggior ragione, in assenza di richiesta di aggiornamento per l'anno intermedio precedente, al canone nell'entità in cui era pagato nell'anno precedente alla richiesta di aggiornamento, sono aggiornate solo dette diverse entità, e non anche quella originariamente convenuta in contratto, come previsto dalla legge, mutando peraltro l'oggetto dell'aggiornamento. Ciò implica che, poiché la corresponsione dell'aggiornamento del canone ne presuppone la richiesta, poiché solo da tale richiesta decorre l'aggiornamento, se essa è stata tardivamente proposta, risulta definitivamente perduta la facoltà di richiedere gli aggiornamenti per le mensilità ormai passate (in buona sostanza non possono essere richiesti «gli arretrati» dell'aggiornamento del canone) (in tal senso si pone anche Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11675, che così motiva per quanto qui interessa: «il canone da prendere a base di calcolo per la determinazione dell'indennità per ritardato rilascio del bene già locato è quello concordato, per tale intendendosi quello effettivamente corrisposto nel corso del rapporto. Se infatti l'aumento in base all'indice ISTAT è dovuto per legge (per le locazioni ad uso abitativo), esso deve anche essere richiesto dal locatore, se il locatore non lo ha mai richiesto e non ne ha quindi mai goduto per tutto il rapporto, la misura del risarcimento non può essere superiore rispetto a quanto egli avrebbe effettivamente percepito in corso di rapporto, in difetto di prova del maggior danno. Inoltre, come osserva esattamente il Comune nel controricorso e come osservato dal P.G. in udienza, nel caso di specie trattasi di locazione non abitativa, per cui l'aumento ISTAT non era dovuto in ogni caso ma soltanto se convenuto tra le parti, l. n. 392/1978, ex art. 32. Infatti, nelle locazioni non abitative, in base all'art. 32, l. n. 392/1978, così come novellato dal d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-sexies, convertito in l. 5 aprile 1985, n. 118, il locatore, solo in caso di conforme pattuizione con il conduttore (Cass. nn. 5008/1996 e 11649/02) e abilitato a (richiedere annualmente l'aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta. Non risulta e non è stato neppure allegato che tale pattuizione fosse stata inserita nel contratto di locazione ad uso diverso concluso tra le parti». Inoltre si può aggiungere che in tema di locazione, la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e ciò sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell'art. 32 della legge cosiddetto sull'equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex art. 24 stessa legge. Poiché le parti non avevano convenuto l'aggiornamento, di conseguenza esso non era dovuto, e in ogni caso non era mai stato richiesto, quindi quel diritto non era mai sorto, pertanto il parametro economico da prendere a riferimento per la quantificazione dell'indennità da ritardato rilascio dell'immobile era il canone originariamente concordato. Neppure si può ritenere che sulla debenza di tale aggiornamento si sia ormai formato il giudicato non avendo la parte ricorrente documentato che la questione sia stata oggetto di specifico accertamento.). Tuttavia dalla data di tale richiesta, il canone va aggiornato, sia pure nella misura del 75% dell'inflazione, sempre con riferimento al canone base iniziale fino alla data della richiesta, con la conseguenza che, ai fini della determinazione dell'entità della percentuale di aggiornamento, dovendo la stessa essere calcolata con riferimento al canone iniziale, dovrà tenersi conto dell'intero periodo e del corrispondente tasso di inflazione, anche se esso sia relativo ad annualità per le quali la domanda di aggiornamento non era stata proposta. In altri termini, la mancanza della domanda di aggiornamento del canone iniziale per determinati periodi intermedi, impedisce che per gli stessi possa ottenersi successivamente la corresponsione dell'aggiornamento, ma non influenza l'entità dell'aggiornamento dovuto dal mese successivo a quello della richiesta, poiché, dovendosi detto aggiornamento effettuare sempre con riferimento alla perdita (sia pure nella misura del 75%) del valore reale del canone iniziale, i periodi intermedi vanno egualmente calcolati al fine di ottenere la percentuale di aggiornamento del canone iniziale, corrispondente alla percentuale di inflazione calcolata dall'ISTAT (ridotta al 75%). In altri termini, applicando il criterio della variazione assoluta, la locuzione «aggiornamento del canone» è declinata nel senso di intendere non già l'aggiornamento del canone dell'anno precedente, aggiornato o meno che fosse a sua volta, bensì sempre l'aggiornamento del canone iniziale. Specificamente, in tale ambito, è opinione consolidata quella per cui la richiesta del locatore costituisce condizione per il sorgere del diritto, di modo che il locatore può pretendere il canone aggiornato solo dal momento della stessa, perché anteriormente al suo attivarsi non esiste alcun credito per l'aggiornamento. Ne segue che, proprio perché si tratta di un regime transitorio disposto per legge, nell'ipotesi prevista dal citato art. 71 è la richiesta (unilaterale) del locatore che inserisce nel contratto la clausola ISTAT. Pertanto, in mancanza di detta richiesta, il diritto non sorge. Al contrario, nel regime ordinario, la clausola di aggiornamento, essendo già inserita nel contratto come da accordo che le parti in tal senso hanno raggiunto, opera come la disposizione normativa di cui all'art. 24, con la sola particolarità che in quest'ultima ipotesi è la legge stessa che la prevede, mentre nell'ipotesi di cui all'art. 32 l'aggiornamento è previsto dal contratto (il quale ha tra le parti la forza di legge, ex art. 1372, comma 1, c.c.). Ne deriva che il diritto all'aggiornamento tanto nell'ipotesi di cui all'art. 24, quanto in quella di cui all'art. 32 della l. n. 392/1978, non ha la sua fonte nella richiesta del locatore, ma questa serve solo per renderlo esigibile ed individuare da quale momento esso è dovuto, ma non per il calcolo dell'entità dello stesso. Infatti l'aggiornamento attiene al canone iniziale e non al canone dell'anno precedente. Non è un caso che detta posizione è stata successivamente ribadita da Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2005, n. 2417, secondo cui, «in base all'art. 32 della l. n. 392/1978, così come novellato dall'art. 1, comma 9-sexies del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito in l. 5 aprile 1985, n. 118, il locatore, su conforme pattuizione con il conduttore, è abilitato a richiedere annualmente l'aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta; pertanto, è contraria al disposto normativo la clausola che preveda una richiesta preventiva dell'aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni ISTAT che interverranno nel corso del rapporto ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e ciò perché la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto». Allo stesso modo, Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2527; Cass. civ., sez. III 7 ottobre 2008, n. 24753, nonché Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 3014, per la quale «la clausola di un contratto di locazione, con la quale le parti convengano l'aggiornamento automatico del canone su base annuale (a seguito della modifica dell'art. 32 l. n. 392/1978 operata dall'art. 1 del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modifiche, dalla l. n. 118/1985) senza necessità di richiesta espressa del locatore, è affetta da nullità, in base al combinato disposto degli artt. 32 e 79 della legge sull'equo canone, perché il citato art. 32 (non prevedendo più, come nella sua originaria formulazione, la possibilità di aggiornamento soltanto biennale, svincolato da ogni riferimento alla richiesta del locatore) introduce, all'esito della modifica, la possibilità di aggiornamenti annuali, presupponendo che gli aumenti possano avvenire soltanto su specifica richiesta del locatore, da operarsi successivamente all'avvenuta variazione degli indici di riferimento». Da ciò consegue ulteriormente che, anche se il canone dell'anno precedente è stato già aggiornato, egualmente non è corretto l'aggiornamento che abbia come base detta annualità precedente, in quanto, non avendo il legislatore riconosciuto la rivalutazione nella misura intera, ma in quella del 75% dell'inflazione, l'aggiornamento, calcolato sulla base del canone dell'anno intermedio precedente, viene ad essere calcolato su una somma già falcidiata, con la conseguenza che nel tempo si sommano gli effetti riduttivi rispetto alla perdita reale. Di diversa opinione si mostra, invece, Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2003, n. 14673, che in motivazione così argomenta: «Questa Corte, con riferimento all'art. 71, concernente l'aggiornamento nel periodo transitorio, ha statuito che la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore può pretendere il canone aggiornato solo dal momento della stessa, senza che sia configurabile un suo diritto od ottenere il pagamento degli arretrati (sent. n. 325/87; n. 8159/91; n. 2490/92; n. 8780/95). Ed il principio è valido anche nel regime ordinario, in relazione all'art. 32, che richiede anch'esso la richiesta (così come l'art. 24 per le locazioni abitative). Nel caso in esame il canone avrebbe dovuto essere aggiornato quindi con esclusivo riguardo alla variazione ISTAT verificatasi rispetto all'anno antecedente la richiesta di aggiornamento». Dunque, essa, pur ritenendo esattamente non dovuti gli «arretrati», reputa che l'aggiornamento del canone ex art. 32 della l. n. 392/78 sia da effettuarsi con esclusivo riguardo alla variazione ISTAT, verificatasi rispetto all'anno antecedente alla richiesta di aggiornamento (sistema della c.d. variazione relativa). Così opinando, tale arresto non si disallinea al costante orientamento osservato dalla Suprema Corte in tema di aggiornamento del canone previsto nel regime transitorio dall'art. 71 della l. n. 392/1978 (Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1995, n. 8780; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1990, n. 482; Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1987, n. 325). In effetti, com'è stato osservato, tale tesi parte dalla legislazione vincolistica sulle locazioni urbane e, di conseguenza, sostiene che siffatto criterio è rimasto in vigore in quanto la normativa dell'equo canone costituirebbe in sostanza, secondo tale opinione, un'ulteriore proroga legale disposta per le locazioni urbane. Il che si sposa con l'ulteriore considerazione per cui, una volta corrisposto, l'aggiornamento diviene quota parte del canone, non distinguibile da questo, quale corrispettivo per il godimento del bene locato. In tal senso, si sono pronunciate Cass. civ., sez. III, 7 aprile 1989, n. 1687, per cui «in tema di contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello abitativo, il calcolo per gli aumenti del canone successivi al primo, previsti dall'art. 68 della l. 27 luglio 1978 n. 392, va operato con riferimento non al canone spettante alla data del 30 luglio 1978, ma a quello dovuto al momento del computo, e cioè - secondo il dato testuale della richiamata norma - al canone corrisposto, che è quello risultante dal canone base più l'aumento già praticato» (nella giurisprudenza di merito, merita menzione Pret. Monza 12 febbraio 1993). Si rammenta, infine, che l'art. 32 della l. n. 392/78 vieta ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 cit., ma veri e propri aumenti del canone deve ritenersi nulla ex art. 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti ISTAT, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto, persiste durante l'intero corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell'immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2008, n. 2932). In conclusione
Anche per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo, prevale nella giurisprudenza di legittimità l'indicazione, come legittima modalità di calcolo dell'aggiornamento ISTAT, del criterio della variazione assoluta, vale a dire con applicazione delle variazioni ISTAT per l'intero periodo di riferimento sul canone originariamente concordato, anche se nella prassi contrattuale è invalso l'uso di calcolare detto aggiornamento facendo riferimento alle variazioni afferenti l'anno precedente e prendendo a base il canone già aggiornato. Triola, Immobili ad uso diverso da quello di abitazione: aumento del canone, in Immob. & proprietà, 2008, 5; Cuffaro, Le clausole di determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Corr. giur., 2017, fasc. 3, 310; Grassi, L'aggiornamento del canone nelle locazioni di immobili urbani ad uso non abitativo, in Nuova giur. civ. comm., 2011, fasc. 11, 11133; Goione, Patti di aumento del canone di locazione: clausole nulle o strumenti di gestione delle sopravvenienze?, in Contratti, 2016, fasc. 10, 923; Re - Sala, Adeguamento canone Istat, in Immob. & proprietà, 2008, 10; Barlassina - Sagliaschi, Aggiornamento del canone e patti di aumento, in Immob. & proprietà, 2010, 3. |