Il contraddittorio endoprocedimentale: riflessioni sul dialogo tra fisco e contribuente

16 Ottobre 2017

Il tema del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente, da sempre al centro di attenzioni e dibattiti, negli ultimi tempi si è arricchito di spunti innovativi che sembrano prendere le distanze dalle tradizionali posizioni antitetiche per valorizzare nuove dinamiche nella valutazione di interessi non necessariamente contrapposti e spesso convergenti. In attesa del giudizio della Corte Costituzionale, promosso da alcune Commissioni tributarie, può essere utile corroborare le copiose elaborazioni teoriche sul tema con qualche riflessione di taglio pratico, centrata prevalentemente sugli effetti e le implicazioni gestionali delle varie soluzioni prospettate, secondo un approccio inusuale e raramente sperimentato nel dibattito giuridico.
Premessa

Il tema del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente, da sempre al centro di attenzioni e dibattiti, negli ultimi tempi si è arricchito di spunti innovativi che sembrano prendere le distanze dalle tradizionali posizioni antitetiche per valorizzare nuove dinamiche nella valutazione di interessi non necessariamente contrapposti e spesso convergenti.

Negli ambienti della stessa Amministrazione prende sempre più consistenza l'idea che le misure di contrasto dell'evasione e delle frodi tributarie possano trovare rinnovata efficacia grazie al dialogo e alla collaborazione reciproca con i contribuenti. L'obiettivo è quello di incentivare la compliance fiscale, intesa quale adempimento spontaneo alle obbligazioni tributarie, con conseguente riduzione dei rinvii, tuttora copiosi, alla fase contenziosa.

In quest'ottica, s'inserisce l'istituto del c.d. ravvedimento operoso - art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 -, il cui ambito applicativo è stato notevolmente allargato dalla Legge di Stabilita 2015, che consente al contribuente, a talune condizioni ed entro determinati limiti temporali, di regolarizzare le violazioni tributarie, ancorché già constatate nella fase istruttoria, usufruendo al contempo di una riduzione significativa delle sanzioni.

Notevole rilievo assume altresì il regime dell'adempimento collaborativo, previsto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, recante “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente” (c.d. cooperative compliance), volto a promuovere l'adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale”, con benefici per le imprese che si dotano “di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell'ordinamento tributario” (così l'art. 3, comma 1, del citato D.Lgs. n. 128/2015).

Anche il concetto di Tax Assurance, elaborato a “garanzia” della posizione fiscale delle società nei confronti degli stakeholder, così come risultante dai dati contenuti nelle scritture contabili, può trovare più ampia e compiuta affermazione se include anche le relazioni con le Autorità fiscali.

Resta inteso che l'evoluzione del processo in atto non dipende solo dalle parti dialoganti. Un ruolo determinate ai fini della diffusione di un clima di reciproca fiducia compete al legislatore, che si vorrebbe definitivamente impegnato in una reale (e non solo proclamata) opera di chiarificazione e semplificazione delle “regole d'ingaggio” e, in particolare, degli adempimenti connessi alla gestione dei tributi.

Benché il dialogo tra il contribuente, inteso in senso lato, e l'Amministrazione finanziaria abbia avuto una prima, generale regolamentazione normativa nello Statuto del contribuente*, nel sistema tributario italiano manca tuttora una disposizione generale che sancisca la partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento dei tributi, ossia il diritto di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento che gli rechi pregiudizio.

*In evidenza:

Lo Statuto del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212) prevede, tra le altre disposizioni:

  • all'art. 6, comma 2, che “L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito”,
  • all'art. 6, comma 5, che “Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma”;
  • all'art. 10, comma 1, che “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”;
  • all'art. 10-bis, comma 6, che “senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l'abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto”;
  • all'art. 11, comma 1, che “Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all'amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse...”;
  • all'art. 12, comma 7, che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”.

In ordine, invece, alla immanenza nel sistema tributario dell'obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, le opinioni sono discordanti: è in corso un ampio dibattito che continua a dividere dottrina e giurisprudenza, alimentato anche dagli orientamenti non univoci della Corte di Cassazione.

In attesa del giudizio della Corte Costituzionale, promosso da alcune Commissioni tributarie**, può essere utile – come si tenterà di fare in appresso – corroborare le copiose elaborazioni teoriche sul tema con qualche riflessione di taglio pratico, centrata prevalentemente sugli effetti e le implicazioni gestionali delle varie soluzioni prospettate, secondo un approccio inusuale e raramente sperimentato nel dibattito giuridico.

**cfr. con ordinanze nn. 187, 188 e 189 del 13 luglio 2017, la Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibili i quesiti sollevati dalla CTR Toscana, dalla CTP di Siracusa e dalla CTR Campania.

Il formalismo giuridico nella disciplina del contraddittorio

Come si accennava, nel nostro ordinamento tributario manca una norma che prescriva espressamente e in via generalizzata l'obbligo del contraddittorio preventivo.

Per la verità non è rinvenibile neppure una disciplina sistematica ed unitaria del procedimento di accertamento: il legislatore si limita a disciplinare singoli adempimenti istruttori o singole fattispecie procedimentali in relazione alle diverse tipologie di accertamento.

Lo stesso nucleo centrale della Legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo è stato dichiarato inapplicabile al procedimento tributario, quasi a volerne sottolineare la peculiarità che, a mio parere, caratterizza la gestione massiva dei controlli fiscali e le difficoltà di gestione della fiscalità di massa.

Il potenziamento dell'obbligo del contraddittorio era contemplato in uno dei principi e criteri direttivi della legge delega di riforma fiscale n. 23/2014, che il legislatore delegato non ha tuttavia recepito.

Anche lo Statuto dei diritti del contribuente, approvato con Legge 27 luglio 2000, n. 212, pur affermando importanti principi generali (cooperazione, collaborazione, affidamento, trasparenza, ecc.) afferma l'obbligo del contraddittorio in via non generalizzata, ma limitatamente agli accertamenti preceduti da accessi, ispezioni e verifichenei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali” (art. 12, comma 1). La previsione dell'obbligo in argomento si desume indirettamente dal disposto dell'art. 12, comma 7, secondo cui “Nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Infine, l'obbligo del contraddittorio è previsto espressamente per l'accertamento sintetico o basato sugli studi di settore nonché per l'accertamento antielusivo. È da ritenere che analogo obbligo vige per gli accertamenti basati su indagini bancarie, non potendo diversamente trovare applicazione l'art. 32, primo comma, n. 2) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, laddove si prevede che i dati relativi ai rapporti bancari “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti… se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto… o che non hanno rilevanza…”. Tale dimostrazione, invero, non può che rendersi in contraddittorio, nella fase istruttoria del procedimento amministrativo.

Ancora una volta, quindi, il legislatore ha optato per le formulazioni casistiche, rinunciando a regole generali in grado di risolvere adeguatamente le questioni laddove la norma non arriva o non può arrivare. Da qui la obiettiva difficoltà nel definire il trattamento di numerose fattispecie che si sottraggono ad una puntuale disciplina giuridica. È ampiamente diffusa la tendenza a risolvere le questioni con l'emanazione di nuove norme, a disciplinare nei dettagli le fattispecie concrete, ad esasperare il principio di legittimità, inteso come argine allo strapotere dell'Amministrazione finanziaria.

A ben guardare, da questa tendenza origina gran parte delle complessità e asistematicità del sistema normativo tributario. Ma vi è di più. La tendenza al formalismo giuridico spesso fa perdere di vista gli effetti sostanziali delle soluzioni, favorendo i disegni degli evasori più attrezzati e pericolosi, ma anche atteggiamenti di chiusura e ottusità da parte dell'Amministrazione.

Gli scompensi di tale tendenza sono sotto gli occhi di tutti e affiorano con sistematicità, ieri ai fini dell'azione di contrasto delle pratiche abusive, oggi nella gestione del procedimento amministrativo di controllo, nella trattazione delle questioni più disparate, condotta sul filo di un rigoroso formalismo giuridico che non ha riscontri nei paesi a più avanzata civiltà giuridica.

Basti pensare che quando si è posto il problema di contrastare l'abuso del diritto, da subito la Corte di Giustizia ne ha ammesso la legittimità, senza mezzi termini, muovendo semplicemente dai principi generali in tema di detrazione dell'IVA (sentenza Halifax C-255/02 del 21 febbraio 2006). Da noi, al contrario, si è invocato ed ottenuto l'intervento normativo, con un effetto di complicazione che traspare nettamente dalla formulazione del nuovo articolo 10-bis dello Statuto del contribuente e che – è una mia personale opinione – non mancherà di alimentare ulteriori contenziosi ed ostacolare l'azione di contrasto delle pratiche abusive.

Gli orientamenti contrastanti della giurisprudenza

Anche la Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/2015*, hanno accusato difficoltà nell'affermare l'immanenza nel sistema tributario nazionale di un diritto generalizzato del contribuente al contraddittorio, come diretta applicazione dei principi costituzionali relativi al diritto di difesa (presidiato dall'art. 24), al buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97), alla capacità contributiva (art. 53) e all'uguaglianza (art. 3).

Tant'è che ha risolto la questione del contraddittorio facendo pedissequa applicazione di singole norme, anziché di principi generali, ed escludendo l'obbligo laddove manchi una puntuale, espressa previsione normativa.

Al riguardo le Sezioni Unite, con la citata pronuncia n. 24823/2015, hanno concluso nel senso che l'obbligo di attivare il contraddittorio sussiste sicuramente per le imposte armonizzate (perché così ha affermato dalla CG), ma non anche per i tributi disciplinati dal diritto nazionale, come le imposte sui redditi e l'IRAP. Per il diritto nazionale l'obbligo sussiste, secondo la Suprema Corte, solo nei casi tassativamente previsti dalla norma. Come dire: il sistema tributario comunitario è informato a regole e principi diversi da quelli rinvenibili nel diritto nazionale.

È evidente come la conclusione tratta dalla Cassazione appaia ibrida e foriera di serie difficoltà applicative, non essendo proponibili in concreto soluzioni differenziate in relazione a tributi che risultano accertati con procedimento unitario e, il più delle volte, sulla base della medesima motivazione.

Non vi è dubbio che, come affermato dalla stessa Corte di Cassazione in altre pronunce**, l'obbligo del contraddittorio si ricollega a principi fondamentali immanenti anche al sistema comunitario***, infatti, la Corte Europea dei Diritti dell'uomo aveva escluso che le regole del giusto processo potessero estendersi alle controversie tributarie in quanto il tributo rientra nel potere di sovranità dello Stato (sentenza del 12 luglio 2001). Successivamente con la sentenza Grande Camera del 23 novembre 2006, la CEDU ha ritenuto sussumibile sotto l'art. 6 delle Convenzione, le controversie che abbiano ad oggetto tanto l'irrogazione di sanzioni tributarie quanto gli aspetti afferenti la determinazione dell'imposta. Non è pacifico, tuttavia, che le regole del giusto processo tributario si estendano anche al procedimento amministrativo quanto a quello nazionale, riconducibili in particolare ai canoni di cui agli artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione.

**In evidenza: altre pronunce
sia prima Cass. civ., ss.uu., n. 19667/2014 che dopo Cass. civ., ordinanze n. 2879/2016, n. 3801/2017) l'arresto giurisprudenziale di cui alla sentenza ss.uu. n. 2482/2015, la Suprema Corte è approdata a conclusioni diverse rispetto a quest'ultima.

***In evidenza: Contraddittorio nel sistema comunitario
L'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, rubricato “Diritto ad una buona amministrazione”, sancisce tra l'altro “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”.

*cfr., in senso conforme alla Cass. civ. n. 24823/2015: Cass. civ. n. 16036/2015, n. 26197/2015, n. 6232/2015 e n. 5632/2015

L'esempio della Corte di Giustizia

Un'ennesima dimostrazione di buon senso e saggezza giuridica l'ha offerta la Corte di Giustizia con la sentenza Kamino laddove, pur riconoscendo, in linea con la sentenza Sopropè (Corte di Giustizia 349/07 del 18 dicembre 2008), il diritto al contraddittorio in termini ampi e generalizzati, specifica che la violazione del “principio del rispetto dei diritti della difesa” e del diritto al contraddittorio che ne deriva determina l'annullamento dell'avviso di accertamento, qualora il contribuente dimostri, in giudizio, che il contraddittorio avrebbe potuto favorire una conclusione diversa del procedimento amministrativo.

In evidenza: Corte di Giustizia, cause riunite 129/12 e 130/13 del 3 luglio 2014
Si afferma nella sentenza Kamino che “Il principio del rispetto dei diritti della difesa da parte dell'Amministrazione e il diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell'adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi […] possono essere fatti valere direttamente, dai singoli, dinanzi ai giudici nazionali […]. L'obbligo che incombe al giudice nazionale di garantire pienamente l'effetto del diritto dell'Unione non comporta la conseguenza d'imporre che una decisione impugnata, poiché adottata in violazione dei diritti della difesa, segnatamente del diritto di essere sentiti, sia annullata nella totalità dei casi […]. Difatti, secondo il diritto dell'Unione, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l'annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso […]. Di conseguenza, una violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa comporta l'annullamento della decisione di cui trattasi soltanto quando, senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente”.

In breve, il diritto al contraddittorio non può trovare legittimazione quando, in relazione alla fattispecie concreta, “si riveli inutile e pretestuoso, tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo, rispetto alla finalità di concreta tutela dell'interesse sostanziale per le quali è stato predisposto” (nei termini riportati, la Cass. civ., SS.UU. n. 24823/2015, ha efficacemente esplicitato l'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia nella pronuncia Kamino, facendolo proprio, sia pure con esclusivo riferimento al procedimento relativo a tributi armonizzati).

La conclusione verrà tratta volta per volta dal giudice, il quale procederà all'annullamento dell'atto impugnato qualora riscontri che le ragioni addotte dal contribuente, (spendibili in sede di contraddittorio endoprocedimentale ma di fatto rappresentate per la prima volta in giudizio), avrebbero potuto favorire una conclusione diversa della fase amministrativa e si rivelino, quindi, tali da motivare una qualsiasi modifica dell'accertamento in sede giurisdizionale.

È un rischio che l'AF assume consapevolmente nei casi in cui omette il contraddittorio.

Residue criticità ed auspicabili indicazioni operative

Ancorché la Corte di Cassazione non abbia ritenuto di estendere l'orientamento della Corte di Giustizia ai tributi non armonizzati, credo che l'A.F., al di là dei casi previsti dalla norma, farà bene a dialogare preventivamente qualora intenda basare l'accertamento su indizi o presunzioni, siano esse semplici o qualificate.

La mente va alle sentenze “gemelle” della Cassazione del 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, che – in modo assai convincente – hanno decretato la illegittimità di accertamenti basati sugli studi di settore, non preceduti da un preventivo confronto con il contribuente, nell'assunto che “la procedura di accertamento per standard [ma si potrebbe dire, per la generalità degli accertamenti indiziari o presuntivi] costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente”.

I ripetuti inviti degli organi centrali dell'A.F ad attivare con sistematicità il contraddittorio con i contribuenti (nella circolare 15/E del 2016, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che il contraddittorio assume “nodale e strategica centralità per la compliance e, come tale, dovrà essere considerato un momento significativamente importante del procedimento e non un mero adempimento formale”), andrebbero riferiti anche agli accertamenti c.d. “a tavolino”, fornendo indicazioni univoche affinché gli uffici redigano sistematicamente il processo verbale di constatazione al termine dell'esame delle scritture contabili condotto in ufficio.

Invero, la difficoltà ad affermare l'obbligo generalizzato di attivare il contraddittorio endoprocedimentale non dipende dalla pervicace volontà di conculcare il diritto di difesa del contribuente, ma essenzialmente alla difficoltà pratica di gestire, in determinati casi, siffatto contraddittorio.

Il tema per ciò stesso diventa affascinante perché postula la necessità di coniugare interessi diversi, ma ugualmente tutelati dalla Costituzione, che si ricollegano, da una parte, al diritto di difesa del contribuente, dall'altra, al buon funzionamento dell'amministrazione (in particolare alle esigenze di speditezza dell'azione accertatrice). Una mirabile sintesi dei predetti interessi è declinata nella “soluzione Kamino”, apparentemente articolata, ma sicuramente preferibile rispetto alla generalizzata affermazione dell'obbligo del contraddittorio, in sé più lineare ma, come si dirà, foriera di gravi inconvenienti.

Occorre prendere atto, invero, che l'A.F. non è in grado di attivare il contraddittorio, in particolare, per gli accertamenti parziali automatizzati, basati su dati elementari presenti in Anagrafe tributaria. In questi casi la gestione del contraddittorio finirebbe per appesantire il procedimento, fino a ridurre drasticamente il numero e, quindi, l'efficacia deterrente dei controlli. D'altra parte, si tratta di elementi di accertamento difficilmente contestabili, in ordine ai quali il contraddittorio è normalmente inutile.

In realtà, ove si escludano gli accertamenti “a tavolino”, per i quali valgano le considerazioni svolte in precedenza, il problema del contraddittorio si pone quasi esclusivamente per gli accertamenti automatizzati basati su elementi presenti in Anagrafe.

Per coniugare il diritto di difesa del contribuente con le esigenze di semplificazione e speditezza (che sono alla base della gestione propria della fiscalità di massa), non credo sia necessario mettere mano ad una ennesima norma: è sufficiente riproporre, in chiave interpretativa, il percorso argomentativo della sentenza Kamino.

Riflessi del contraddittorio sul ravvedimento operoso

Il tema in argomento merita una riflessione supplementare, ove si consideri che l'attivazione del contraddittorio endoprocedimentale dà attuazione al diritto di difesa non solo, ma consente di avvalersi del ravvedimento operoso a condizioni più favorevoli.

Il contraddittorio e, più precisamente, il PVC che ne riflette gli esiti, è propedeutico all'interesse del contribuente ad avvalersi del ravvedimento operoso, ossia ad integrare la dichiarazione sulla base delle risultanze istruttorie e, di fatto, a prevenire l'accertamento, con il beneficio della riduzione delle sanzioni a 1/5. In assenza di contraddittorio e del PVC, invece, l'unica soluzione parallela offerta al contribuente è l'acquiescenza all'accertamento che, al contrario, prevede la riduzione delle sanzioni a 1/3.

Da qui l'interesse al contraddittorio come veicolo per conoscere anticipatamente, sulla base delle risultanze del PVC, i probabili contenuti dell'accertamento e, quindi, prevenire la notifica dell'avviso di accertamento.

Sia chiaro, questo in commento non è un espediente, ma una facoltà consentita dalla legge. Invero, il diritto ad avvalersi del ravvedimento non può essere condizionato dalle scelte dell'Amministrazione, a seconda che si decida di attivare o meno il contraddittorio. Da qui la necessità che l'Amministrazione individui preventivamente le fattispecie di accertamento per le quali attivare uniformemente il contraddittorio, evitando ogni disparità di trattamento tra contribuenti.

L'effettività del contraddittorio

Più che insistere sull'obbligo del contraddittorio che, come si è detto, ormai trova applicazione pressoché generalizzata, ove si escludano gli accertamenti automatizzati, credo sia più importante soffermarsi sull'effettività del contraddittorio.

È un argomento che spesse volte trova impreparata l'A.F., nonostante le ripetute dichiarazioni di apertura al dialogo. Non basta sedersi su di un tavolo. Occorre saper dialogare, ascoltare e valutare le ragioni del contribuente, assumersi le responsabilità di una decisione (che non sia preconcetta e tendenzialmente negativa).

Significativi passi avanti in questa direzione sono stati fatti con la gestione della mediazione tributaria. In questo caso l'effettività e proficuità del contraddittorio sono state favorite dalla prospettazione formale (nel ricorso) delle ragioni del contribuente (le stesse ragioni che, se non accolte dall'AF in mediazione, verrebbero accolte dal giudice con condanna rafforzata alle spese di lite).

Si ricorda, infine, che l'effettività del contraddittorio implica l'obbligo di esplicitare nell'avviso di accertamento i motivi che hanno indotto l'AF a disattendere le ragioni del contribuente*.

In mancanza, l'accertamento è annullabile per carenza di motivazione. Come dire che l'attivazione di un dialogo apparente non soddisfa l'obbligo del contraddittorio.

*cfr., in tal senso Cass. civ., ss.uu., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638.

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